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mercoledì 26 maggio 2021

LIGABUE (1977)

821_LIGABUE . Italia, 1977; Regia di Salvatore Nocita.

Alla fine dello sceneggiato Rai del 1977, il pittore Ligabue (uno straordinario Flavio Bucci) muore prima di aver fatto anche un solo quadro per il suo amico Cachi (Alessandro Haber). E dire che questi era stato forse l’unico ad essergli stato veramente amico, a rimanergli accanto sin dal suo arrivo dalla Svizzera a Gualtieri, in Emilia Romagna. Ma Ligabue era diffidente e quando, tempo prima, Cachi gli aveva timidamente chiesto un dipinto, l’aveva presa male, aveva creduto che la sua amicizia fosse interessata. Anche Cachi, come tutti gli altri, voleva semplicemente approfittarsi di lui. Non era vero. Cachi era un vero amico, almeno quello dello sceneggiato di Salvatore Nocita e nell’incapacità di capire anche la semplice e sincera amicizia di un altro uomo, che si era peraltro mostrata in più di un’occasione, c’era forse una delle chiavi per capire da dove arrivava la forza che spigionava il Ligabue pittore nella sua opera. Certo, una lettura più ovvia potrebbe ricondurre la potente espressività dell’arte del bizzarro pittore proprio alla sua diversità, alla sua asocialità, ai problemi legati al non essere accettato dalla collettività. Ma, fosse così, per quale motivo rifiutare un misero dipinto all’unico che ti si è sempre dimostrato amico? Certamente la visione personalissima e primaria, quasi primitiva (più che ingenua), che nella sua arte si manifestava facendolo accostare a volte ai pittori naif, era anche legata alle sue bizzarre particolarità e alla sua incapacità di socializzare. Ma, almeno stando allo sceneggiato, l’idea che sorge è che la potenza della sua pittura nasca da un devastante contrasto. 

Quello tra la sua sfrenata autostima e la costante frustrazione nel non vedersi riconosciuto come grande artista e forse anche come grande uomo. Nell’ingenuità con cui si presenta, elegantemente vestito e con la macchina, pensando di impalmare facilmente Cesarina (Andréa Ferréol) c’è tutta l’incapacità di Ligabue di comprendere il mondo e le sue dinamiche; per quanto questo, per via della sua infatuazione per la donna, sia uno dei momenti in cui ci sia un’attenuante davvero rilevante o oggettiva. Meno facile credere che, anche una persona ingenua, possa non rendersi conto dell’amicizia di un uomo semplice come Cachi; anzi, a ben vedere è proprio questo che lascia perplessi. Un ingenuo è una persona che si fida: Ligabue era la quintessenza della diffidenza. Diffidare di un vero amico è un fatto grave, come l’incapacità di perdonare il padre, un uomo ormai anziano; figuriamoci negarli il perdono dopo che questi era morto. 

Naturalmente ci si riferisce all’immagine di Ligabue che traspare dallo sceneggiato Rai, dalla quale, oltre alla superficiale simpatia che si può provare per i grotteschi modi bruschi e scontrosi del pittore non si può andare. Lo sceneggiato è molto ben curato e tiene conto anche della lezione del cinema di genere italiano, si veda il tipo di umorismo che permea il racconto, dove si trovano audaci riferimenti anche scatologici che rimandano agli spaghetti western. Un personaggio come quello del pittore italiano, con le sue intemperanti stravaganze, è sfruttato a dovere da Nocita che lo rende il protagonista divertente della sua opera. Divertente, ma mica tanto simpatico, a veder bene. Non è, infatti, un tipo che suscita grande commiserazione e nemmeno stima sul piano umano, Ligabue: certo, era un pittore dotato di una indiscutibile forza espressiva. Forse un pazzo; nel qual caso, gli si potrebbe perdonare qualsiasi cosa. Ma lo sceneggiato sembra propendere, piuttosto, per un uomo che in vita aveva sofferto tanto e, di fronte alla sofferenza, c’è sempre da porsi con rispetto. Tuttavia i suoi maggiori problemi erano legati all’incapacità di quello scendere a compromessi che, in questo ambito, va sotto il nome di socializzare. Chi più chi meno tutti ci si deve adeguare mentre Ligabue tirò dritto per la sua strada e quel poco di vita sociale riuscì a ritagliarsela perché la gente lo stimava come artista. E questo, proprio per la citata autostima di Ligabue, otteneva allora la sua approvazione. Chi lo considerava semplicemente un amico, invece, rimase sostanzialmente poco considerato dal pittore e non certo per la questione del quadro, che funge solo da emblematico esempio. Chissà, forse è proprio questo il prezzo dell’arte. 

2 commenti:

  1. sì, assolutamente... un artista non può mai omologarsi a quello che è il "sentire comune", sarebbe la fine...
    poi ci sarebbe anche altro da dire, sul fatto di trattare gli artisti come emarginati, soprattutto nel paese che ha avuto il rinascimento...

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  2. Beh, oddio, gli artisti del rinascimento erano fuoriclasse. E, tra l'altro, proprio loro erano i migliori interpreti di quel "sentire comune" di cui parli, ovviamente nella sua forma più elevata. Oggi non saprei dire se il movimento artistico, se mai ce n’è uno o ci sia qualcosa di simile, abbia gli stessi intenti.

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