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domenica 2 maggio 2021

LA PRINCIPESSA SISSI (a seguire QUANDO LA STORIA...)

133_LA PRINCIPESSA SISSI (Sissi). Austria, 1955;  Regia di Ernst Marischka.

Il regista austriaco Ernst Marischka aveva già diretto una Romy Schneider sedicenne in L’amore di una grande regina, dove l’attrice connazionale interpretava una giovanissima regina Vittoria. Pur con tutto il rispetto dovuto alla sovrana, la bellezza della favolosa attrice austriaca era davvero sprecata nel ruolo della futura monarca britannica. E di questo se ne deve essere accorto anche Marichka, che infatti rispolverò Sissi, al secolo Elisabetta di Baviera, ovvero una regnante la cui leggendaria bellezza potesse credibilmente essere resa sullo schermo dalla folgorante figura di Romy Schneider. La Schneider, al tempo diciassettenne, era ancora un po’ acerba, ma era perfetta per portare aria fresca nei palazzi della nobiltà asburgica, raffigurati con dedizione dalla produzione austriaca del film. Film che non è certamente niente di trascendentale, ma è girato con cura, brio e una massiccia dose di ironia. Ci sono alcuni passaggi molto interessanti e anche delicati, come il momento in cui l’imperatore Francesco Giuseppe (Karlheinz Böhm) annuncia il suo fidanzamento con Sissi, a discapito della sorella Elena (Uta Franz), che era la candidata ufficiale a quel ruolo. In nome del bon ton nobiliare, la tensione scaturita rimane tutta interiore e non viene mostrata in modo plateale, ma il regista riesce con abilità a rendere la drammaticità della situazione. Insomma, una favola piacevole e che prova a coniugare le agiatezze di una vita principesca con l’insofferenza per le regole, in modo molto semplice ma genuino. Peccato che, alle tutto sommato perdonabili licenze poetiche che un film romanzato come questo si concede in materia storica, si aggiunga quella gratuita del distributore italiano che promuove a principessa Sissi quanto questa era una semplice duchessa. 

Al termine della galleria fotografica del film, QUANDO LA STORIA... l'appendice storica di Antonio Gatti: 
SISSI E IL VAGABONDO.



Romy Schneider





Appendice storica.
QUANDO LA STORIA... a cura di Antonio Gatti.

SISSI E IL VAGABONDO

A volte la storia ci insegna come il disagio e l’alienazione siano trasversali alle classi sociali; come si possano trovare tanto nei palazzi nobiliari quanto in squallidi orfanotrofi parigini. La storia di Elisabetta d’Austria, detta Sissi, e del suo assassino Luigi Lucheni, è semplicemente una delle tante conferme di quanto sopra.
Intorno a Sissi cominciò a coagularsi l’attenzione di molti -oggi diremmo un fandom- già durante la sua vita: le vicende romantiche e tragiche che visse, il carattere forte e combattivo, al limite del ribelle, la leggendaria bellezza, il fatto che fosse insomma una donna vera, reale, capace di distinguersi al di sopra e al di là del ruolo di imperatrice d’Austria non sfuggì ai suoi contemporanei. Non sfuggì, invero, neppure alla corte viennese, che cercò di usare la sua figura per dimostrare come, in fondo, esistesse una corrente “liberale”, meno austera, anche in seno alla famiglia imperiale.
Sissi nasce il 24 dicembre 1837 nella famiglia reale bavarese dei Wittelsbach, all’interno della quale gli imperatori d’Austria molto spesso cercavano le loro spose: la comune lingua tedesca e il solido cattolicesimo bavarese, oltre a ragioni di alleanze e giochi di potere, facevano delle Wittelsbach un ottimo partito per gli Asburgo. Sissi suscita scalpore fin da giovane quando con la sua bellezza e con il suo carattere dolce e timido assieme riesce a far perdere la testa persino a un uomo compassato e tutto d’un pezzo come Francesco Giuseppe: il sovrano austriaco infatti, inizialmente promesso sposo alla sorella di Sissi, Elena, si innamora però follemente della Nostra ed entra persino in rotta con la madre Sofia -a sua volta una bavarese- minacciando clamorosi gesti come quello di non sposarsi affatto, se la madre non gli avrebbe concesso Sissi.

Lo scontro, particolarmente aspro visto il carattere forte di Sofia, si concluse in maniera clamorosa con la vittoria di Francesco Giuseppe, parimenti testardo, che ebbe infine il permesso della madre: forse i futuri contrasti di Sissi con la suocera si possono far risalire a questo primo, apparentemente insignificante, incidente.
Sissi arrivò a Vienna nell’era post-1848, un’era che per gli Asburgo era caratterizzata da una attenzione quasi nevrotica per il simbolismo imperiale, del quale l’etichetta di corte era un fattore tutt’altro che marginale: a torto o a ragione, si pensava che lo splendore e l’autorità della corona fossero un fattore decisivo della politica interna, un collante che proteggeva lo stato dalle insorgenze liberali e dai nazionalismi. Il suddito, specialmente il suddito meno dotato culturalmente, doveva sentirsi affascinato, legato a doppio filo a quel mondo, a quei sovrani: doveva vederli come dei buoni padri in grado di soccorrerlo e supportarlo qualora ce ne fosse stato bisogno. L’etichetta veniva così esasperata, specialmente in pubblico: la gerarchia famigliare era rigidissima anche all’interno del palazzo, però, e la suocera Sofia divenne ben presto un autentico incubo per Sissi: era una lotta non solo tra due personalità così diverse, ma tra due mondi; forse è eccessivo vedere in Sissi una sorta di protofemminismo, ma è certo però che la sua anima era più moderna, tendeva già a quella fin de siécle con la sua nuova sensibilità estetica, le sue passioni più profondamente irrequiete; Sofia, dal suo canto, era la donna del passato, con le sue incrollabili certezze per le quali era pronta a sacrificare tutto, inclusa la felicità sua e dei suoi. 

Francesco Giuseppe, l’arbitro della contesa, in un certo senso non aveva il carattere e la visione delle due donne e preferì rifugiarsi nei suoi doveri di imperatore. Amava la moglie, certamente, ma forse non si rivelò profondo abbastanza da catturare un’anima complessa come quella di Sissi. Tra le angherie della suocera e alcune tragedie personali, come la morte della primogenita Sofia, Sissi si trovava sempre più a disagio, sempre più stritolata dalla soffocante vita di corte: anima istintivamente avventurosa, cercò rifugio nella natura, nella letteratura, negli studi e nella scrittura di delicate poesie. Viaggiò con lo spirito laddove non le era sempre consentito con la persona.
La vita non fu tenera con l’imperatrice a dispetto della sua posizione privilegiata: il cognato Massimiliano, uno dei pochi all’interno della famiglia con la quale Sissi conversava volentieri, fu ucciso durante la sventurata avventura messicana. Il figlio Rodolfo si suicidò a Mayerling, un evento dal quale Sissi mai più si riprese, di fatto sempre più alienandosi dal marito e dalla vita di corte. La vita non fu tenera neanche con Luigi Lucheni, il vagabondo assassino di Sissi: abbandonato dalla madre in un orfanotrofio parigino, Lucheni girovagò per Italia e Svizzera: militare durante la guerra in Africa Orientale, attendente, manovale e molto altro, infine il destino lo fece incontrare col movimento anarchico.

Oggi l’impatto storico del movimento anarchico ci sembra inferiore a quello dei movimenti socialisti/marxisti, ma non dobbiamo farci ingannare: i rivali anarchici furono vittima di una vera e propria epurazione da parte dello stalinismo e dei suoi seguaci, che cercarono di ridimensionarne anche la portata storica. Ai tempi di Sissi e di Lucheni gli anarchici erano tuttavia ancora molti; privi di un forte collante ideologico come poteva essere il marxismo per i comunisti, privi anche dell’organizzazione partitica tipica dei socialisti, gli anarchici eccellevano però in una attività: il terrorismo. Molte erano state e saranno le vittime illustri degli anarchici, il fenomeno porterà addirittura l’anarchico cristiano Tolstoj a scrivere il magnifico opuscolo Non uccidere nel 1900 all’indomani della morte del re d’Italia Umberto, ucciso da Gaetano Bresci (e negli anni precedenti erano stati assassinati Sissi, il politico francese Carnot , lo zar Alessandro II e altri). Tolstoj rilevava due punti deboli nel terrorismo anarchico, uno era di tipo morale: chi voleva farsi costruttore del nuovo mondo non poteva pretendere di erigerlo con gli stessi metodi degli Umberti e degli Alessandri, dei re e degli zar; l’altro era di tipo puramente pratico: a che serviva uccidere un sovrano quando poi questi veniva sostituito il giorno dopo e tutto ritornava come prima? A Lucheni, probabilmente, questi ragionamenti sarebbero apparsi come fastidiosi; per lui, nel pianificare il regicidio, contava solo il rancore verso i privilegiati. Forse anche la rabbia per una vita che non era andata come avrebbe dovuto fin dai primi secondi, in quell’orfanotrofio parigino, abbandonato dalla madre. Per lui Elisabetta d’Austria detta Sissi era solamente una donna che dalla vita aveva avuto tutto quello che a lui era stato negato. 

Amaramente ironico il fatto che Sissi, tra tutti i sovrani d’Europa, sarebbe stata probabilmente l’unica a poter comprendere Lucheni. A rispettarlo, forse anche. 
In quel primo pomeriggio del 10 settembre 1898 a incontrarsi a Ginevra furono due persone spezzate dalla vita: Lucheni, così povero che come arma poteva permettersi solo una piccola lima; e Sissi ancora vestita a lutto per la morte del figlio, a sua volta vagabonda per la Svizzera in incognito, accompagnata dalla contessa Sztàray, e con nessuna scorta.
La lima di Lucheni colpì l’imperatrice sessantenne, fissando in eterno la bellezza che stava sfiorendo; lo vediamo in una foto, dopo l’arresto, sorridente e soddisfatto del gesto. La sua lima gli aveva garantito finalmente un piccolo posto nel mondo “dei ricchi”.
La fine triste in carcere, probabilmente suicidio, rivela la vacuità di quel sorriso, la sofferenza che aveva invano provato a nascondere. 
Lucheni disse che volle colpire una corona non una donna.
Non immaginava certo l’assassino che distruggendo quella corona, consegnava la donna all’immortalità.



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