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martedì 18 maggio 2021

GLI INDOMABILI DELL'ARIZONA

817_GLI INDOMABILI DELL'ARIZONA (The Rounders)Stati Uniti, 1965; Regia di Burt Kennedy.

In genere, in un’opera, la coerenza interna è una qualità. In questo caso, a proposito di Gli indomabili dell’Arizona, dobbiamo fare un’eccezione e ringraziare Burt Kennedy, il regista, di attenuare via via, e di molto, certe caratteristiche con cui il film si era presentato. L’attacco di Gli indomabili dell’Arizona lascia infatti un poco atterriti: per la verità, una volta saputo della presenza di Glenn Ford ed Henry Fonda, si è perfino rassicurati dalla fotografia calda di Paul Vogel e dalle note della musica sui titoli di testa che sembrano preannunciarci un tentativo di andare sul classico. E poi, tutto sommato, il nome di Burt Kennedy in sceneggiatura oltre che in regia, è una buona garanzia: un autore convenzionale, d’accordo, ma affidabile. Ma, a questo punto, un roano, uno dei cavalli sullo schermo, si mette a parlarci in catanese. Si, ovvio, questo è un colpo ancora più basso, rispetto alla versione originale, che ci riservano i distributori italiani del film, scegliendo un gergo dialettale molto peculiare tra quelli della nostra penisola per interpretare i pensieri del bizzoso cavallo. Mentre l’equino in questione non tace un attimo, l’attenzione finalmente si sposta sui due prim’attori: ma, quando questi cominciano a dialogare, la scarsa residua fiducia che si può ancora avere nella riuscita dell’opera finisce sotto i tacchi. Marion, (Henry Fonda) è un vecchio cowboy che prova a fare lo spiritoso sparando balle improponibili mentre il suo degno compare Ben (Glenn Ford) infila uno strafalcione dietro l’altro. Il film è del 1965 e il western classico è ormai superato e Kennedy prova così ad esplorare nuove strade, la commedia demenziale, in questo specifico caso. 

Come si diceva il regista, pur se un nome minore ad Hollywood, è una buona garanzia, almeno a livello teorico, anche solo per aver sceneggiato molti film di Budd Boetticher; ne Gli indomabili dell’Arizona cura anche la scrittura e, in effetti, dopo il traumatizzante inizio, la storia prende una scorrevolezza almeno sufficiente. Questo perché, e qui è la mancanza di coerenza di cui si diceva (e, appunto come si diceva, in questo caso benemerita), gli interventi del cavallo pensante si diradano e anche gli strampalati dialoghi tra i due vecchi cowboy smettono di essere esageratamente surreali. Insomma Fonda e Ford sono troppo poco credibili, nei ruoli che riserva loro lo stravagante copione ma, quando questi aspetti si attenuano, il mestiere ovviamente lo conoscono e il film lo portano comunque avanti senza eccessivi sforzi. Con questo non si può certo dire che il film sia riuscito, nonostante il tentativo di rianimarlo con una corposa presenza femminile. Si va dalla deliziosa Joan Freeman, alla stravagante Kathlen Freeman (sorelle solo nella finzione cinematografica) per finire con le due autostoppiste Sue Ane Langdon e Hope Holiday, le cui grazie posteriori adornano alcuni manifesti del film. Scelta discutibile? Mai come il cavallo che pensa in catanese.    











Joan Freeman


Sue Ane Langdon



Hope Holliday


Kathleen Freeman

2 commenti:

  1. oddio, forse a questo punto tanto valeva andare fino in fondo su quel registro demenziale :P

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  2. Boh, io ho 'resistito' alla visione e penso d'averlo fatto perchè si è fatta meno astrusa, diversamente non saprei :)

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