Translate

lunedì 31 maggio 2021

IL COLONNELLO REDL (a seguire QUANDO LA STORIA... )

824_IL COLONNELLO REDL (Redl ezredes)Ungheria, Austria, Germania Ovest, 1985; Regia di Istvàn Szabò. 

Dopo i titoli di testa, che arrivano in seguito ad un’immagine dell’obiettivo della macchina da presa, il film comincia con una insistita soggettiva: al cinema questo è un chiaro intento di far immedesimare lo spettatore con il protagonista dell’opera. Ma, vedendo l’incipit de Il colonnello Redl di István Szabó, possiamo notare anche un’altra cosa: se è vero che la visione in soggettiva ci permette di vivere la scena con gli occhi di un personaggio, in questo caso l’uso è un po’ diverso dal solito. Abitualmente, uno o più passaggi in soggettiva alternati alla normale visuale, aumentano il grado di comprensibilità delle immagini, dal momento che si offre un punto di vista ulteriore e diverso. Szabó per il suo inizio lavora in modo differente: abbiamo solo la soggettiva del piccolo Redl per quasi cinque minuti (in pratica tutta la fase ambientata al suo villaggio) e null’altro e allora, seppure le immagini possono essere coinvolgenti, il quadro generale non è del tutto chiaro, potendo vedere noi unicamente ciò che vede il protagonista ma ignorando il contesto. In questo caso, quindi, la soggettiva limita la visione generale anche se mantiene, e forse amplifica da un punto di vista sensoriale, quella personale. E, parlando di un film biografico, non è un particolare trascurabile. Alfred Redl era un colonnello dell’esercito austro-ungarico e al contempo una delle più preziose spie al soldo dei russi. Non è facile indagare sulle motivazioni che spinsero questo ambizioso ufficiale a tradire, anche perché il caso fu gestito con non poche difficoltà e imbarazzi da parte delle autorità: invece di torchiarlo per bene si pensò di spingerlo al suicidio, nel tentativo di lasciar intendere un suo ravvedimento che potesse in qualche modo contenere lo scandalo. Senza riuscirci, per altro ma, in ogni caso, non sembra che questo interessi più di tanto Szabó. Non è infatti una ricostruzione fedele che ci serva sul piatto d’argento le motivazioni che spinsero Redl al tradimento, quello che si trova nel film del regista ungherese. Il chiaro incipit in soggettiva, che come detto termina quando comincia la sua scalata nelle file dell’esercito, sembra dirci che Redl si senta estraneo al suo mondo che infatti vede senza sentirsene parte (di fatto, non compare mai nelle inquadrature). 


Questo speciale rapporto tra il protagonista e la macchina presa era stato addirittura anticipato prima dei titoli di testa quando, alla citata primissima immagine della lente dell’obbiettivo della macchina da presa era accostata quella di Klaus Maria Brandauer (l’attore che impersona in modo straordinario il colonnello Redl adulto), una scelta di montaggio irrealistica che, svelando l’artificio della finzione, preannunciava la didascalia successiva dove si prendevano le distanze da una possibile lettura in chiave documentaristica dell’opera. Svincolatosi dai paletti di una biografia troppo fedele, Szabó si concentra sugli aspetti emozionali fortemente contrastanti che albergavano in Redl e che ben sintetizzavano quelli più generali della società multietnica che viveva nell’Impero. 

Redl, pur provenendo da una famiglia umile, riuscì ad entrare nella Scuola Militare per ufficiali, frequentata solo da figli di famiglie nobili; inoltre le sue origini erano rutene, una popolazione sostanzialmente senza una vera patria, ma si sospettava avesse anche sangue ebreo nelle vene. Questa situazione generale lo metteva in difficoltà al cospetto di compagni che erano tutti aristocratici; a questo si aggiungeranno poi le tendenze omosessuali, al tempo assolutamente vietate, che cercava di mascherare alla meno peggio partecipando alla vita mondana degli altri cadetti. Un episodio a suo modo cruciale fu, ai suoi primi tempi alla Scuola Militare, quando si trovò costretto a fare la spia presso il superiore denunciando uno dei suoi compagni, per evitare di far ricadere la colpa su Kristóf von Kubinyi (Jan Niklas) suo amico del cuore. 

Inopportune
questioni di cuore, a quel tempo in fase solo embrionale (che successivamente si svilupperanno in modo più concreto), si intrecciavano a senso del dovere (denunciare il colpevole) ma anche ad azioni disonorevoli (fare la spia). In quel breve passaggio ci sono tutti gli elementi della vita del colonnello Redl: la sua attrazione omosessuale per l’aristocratico amico, la fedeltà ai superiori e la capacità di farsi delatore e spia senza porsi troppi scrupoli. L’abilità nell’orchestrare al meglio questi elementi, evitando di alimentare le voci sulla sua omosessualità ma mostrando particolare zelo nell’applicazione dei regolamenti o nell’indagare sulla condotta dei suoi sottoposti, lo portarono presto, di promozione in promozione, ai vertici dell’esercito. Il maggiore generale von Roden (Hans Christian Blech) lo aveva ormai scelto come suo pupillo: infatti le umili origini di Redl erano viste come un vantaggio, dal vecchio gerarca. Se non bastava ritenere la gratitudine per i progressi sociali fatti dal giovane grazie alla carriera militare, si poteva osservare come sull’arrivista ufficiale pendesse moralmente la possibilità di essere ricattabile. Che Redl non avesse il sangue blu di nobile famiglia, che lo tutelasse a fronte di qualsivoglia sventura, era perciò per Roden una sorta di garanzia. E, in una storia in cui tutto sembra andare contromano, è proprio la possibilità di essere ricattabile che spinse Redl al tradimento: facendo leva sulla sua omosessualità gli si tese un tranello, in cui l’ufficiale cascò in pieno. 


Anche perché a presentarglielo, il tranello (nella veste di un giovane omosessuale), era stata Katalin (Gudrum  Langrebe), sorella di Kristóf e sua intima amica (molto intima, altro elemento che depone in favore dell’ambiguità del protagonista), forse l’unica persona che non avesse ragioni di rimostranza dei confronti di Redl. D’incanto, almeno agli occhi del Redl protagonista del film di Szabó, il mondo si rovesciò: l’Impero, per il quale aveva ripetutamente rinnegato la sua famiglia e per il quale aveva più volte tradito, lo tradiva a sua volta con una manovra subdola che lo feriva rivelandone tutte le debolezze. Qui la distanza tra la realtà storica appare evidente eppure, coerentemente al registro narrativo del film, è in questo momento che l’opera di Szabó mostra il lato più autentico: raramente si è visto la scena di un suicidio tanto sofferta e disperata. Beffardamente, il film termina con un’allegra rappresentazione dell’attentato di Sarajevo ai danni dell’Arciduca Francesco Ferdinando (Armin Mueller-Stahl) e delle entusiaste truppe austroungariche in marcia allo scoppio delle agognate ostilità. Non sospettando, evidentemente, che Redl li aveva traditi davvero. 

Al termine della galleria fotografica del film QUANDO LA STORIA... l'appendice storica di Antonio Gatti: 
GLI UFFICIALI DELL'AUSTRIA-UNGHERIA E IL CASO REDL




Gudrum  Langrebe



Appendice storica.
QUANDO LA STORIA... a cura di Antonio Gatti.

GLI UFFICIALI DELL'AUSTRIA-UNGHERIA E IL CASO REDL

Considerare l’Austria-Ungheria come un “relitto del medioevo” (Liddell-Hart), o definirla “l’altro malato d’Europa” (il primo essendo l’impero Ottomano) significa leggere la storia di quegli anni secondo il paradigma di valori appartenenti a epoche successive, ma soprattutto vuol dire trascurare o ignorare la politica dell’impero asburgico alla vigilia della Grande Guerra. Politica non certo refrattaria e timida, ma al contrario, aggressiva ed espansionistica; l’Austria aveva approfittato delle guerre balcaniche, questo autentico prologo del conflitto europeo, per annettere la Bosnia e imporsi come attore politico nella vita degli slavi del Sud, arrivando a un inevitabile scontro col nazionalismo slavo, che in quegli anni sostituì quello italiano come nemico giurato del grande impero multietnico. Questa politica estera aggressiva fu soprattutto dovuta al corpo ufficiali dell’esercito; non è questo il luogo per affrontare l’argomento nel dettaglio, ma giova ricordare come tra il 1796 e il 1945, l’età d’oro del militarismo europeo, con eserciti composti di svariate centinaia di migliaia di soldati, poi diventati milioni, con compiti di mantenimento dell’ordine interno dal pericolo rosso, di sicurezza da, ed espansione verso, l’estero, i militari occupavano un ruolo di primo piano nella politica degli stati; la loro influenza era paragonabile a quella che i grandi istituti finanziari e le principali banche private esercitano sui governi ai giorni nostri. 

E il corpo ufficiali dell’Austria-Ungheria non era certo timido nell’esercitare questa influenza, anzi; la sua composizione era eterogenea, sia etnicamente che a livello sociale, ma la sua compattezza era notevole, specie se si tiene conto, per contrasto, dei problemi etnici e sociali che travagliavano l’impero e se si tiene conto, oltretutto, che l’esercito austro-ungarico erano in realtà tre eserciti: uno per così dire imperiale, chiamato “Esercito comune” , e altri due eserciti territoriali corrispondenti alla parte tedesca e ungherese dell’impero. Lo stato maggiore che guidava e delineava le idee e il comportamento del corpo ufficiali tutto, fu a partire dal 1906 presieduto da Franz Conrad von Hotzendorf; personaggio complesso, egli è la dimostrazione di quanto sia sbagliato vedere nell’Austria-Ungheria e nelle ideologie che ne guidavano la politica dell’epoca solo una blanda lotta per la sopravvivenza nascosta dietro il paravento di un conservatorismo di facciata. Conrad era ateo; ammiratore di Darwin, tendeva a trasporre alla società le scoperte scientifiche di quest’ultimo, banalizzandole. Per Conrad, la natura stessa era la dimostrazione che solo i forti potevano vincere nella vita; studioso di Lee e “Stonewall” Jackson, generali confederati nella guerra di secessione americana, fu un tattico teorico rinomato ai suoi tempi e cercò di rafforzare l’esercito asburgico in più settori. Italiani e serbi erano oggetto di un odio viscerale, atavico, da parte di Conrad, il quale più volte cercò di convincere l’arciduca ereditario Francesco Ferdinando ad autorizzare un attacco preventivo nei confronti di queste due nazioni. 

Sanguinoso repressore degli scioperi triestini nel 1902, con tutto il suo darwinismo sociale e la sua venerazione della legge del più forte, Conrad in realtà non aveva un carattere energico. Innamorato di una nobildonna sposata -ironicamente, italiana – egli spese lunghi giorni a compilare lettere d’amore, circa 3000, che non spedì mai per paura dello scandalo che ne sarebbe conseguito se si fossero scoperte; la sua lotta nell’arena della vita si incagliò davanti al terrore dei pettegolezzi dei salotti viennesi rivelando una debolezza di fondo che si rivelerà, in maniera ancora più tragica, durante la mobilitazione per la guerra.
Alfred Redl, in qualche maniera, era un prodotto del corpo ufficiali austriaco dell’epoca che, come si evince dal caso Conrad, si dibatteva continuamente tra modernità e convenzioni sociali sentitissime, tra ottimismo e sfiducia, pescati a metà in un mondo, quello asburgico, che stava già tramontando ma si rifiutava di andarsene senza combattere. Più giovane di Conrad, Redl proveniva da una famiglia modesta, ma si fece strada come persona intelligente e innovativa: esperto di cose militari russe, fu assegnato nel 1900 a presiedere la commissione dedicata alla Russia all’interno dei servizi segreti dello Stato Maggiore. La sua ascesa fu meteorica, anche grazie alle sue innovazioni nell’ambito dello spionaggio e controspionaggio: fotocamere nascoste, cilindri di cera per registrare le conversazioni e un archivio con le impronti digitali furono tutte cose che Redl ebbe l’accortezza di introdurre come regola d’uso dei servizi segreti austriaci. 
Redl sembrava un suddito fedele dell’imperatore ed interamente devoto alla causa dell’esercito ma, come nel caso di Conrad, la sua vicenda andò ad un certo punto ad incagliarsi tra gli scogli delle convenzioni sociali dell’epoca, in una maniera molto più drammatica e irta di conseguenze rispetto a quella del suo superiore.

Il colonnello Nikolai Batyushin, una sorta di corrispettivo russo di Redl, il quale era capo dei servizi segreti zaristi a Varsavia, venne a conoscenza, probabilmente nel 1901, dell’omosessualità di Redl che automaticamente divenne un soggetto ricattabile, visto il disgusto -almeno di facciata- con il quale erano visti gli omosessuali all’epoca in Austria. D’altra parte, è possibile che la vicenda del ricatto abbia solo fornito un primo punto di contatto tra Redl e Batyushin; le negoziazioni poi potrebbero essersi subito dirette attorno ad argomenti più concreti e piacevoli per l’austriaco, ossia le cifre che i russi erano disposti a corrispondere in cambio di informazioni segrete sull’esercito asburgico. Le cifre, come risultò alla fine, non erano di poco conto. Redl cominciò a condurre uno stile di vita incompatibile con il suo background sociale e le sue entrate, ma questo parve non insospettire i suoi superiori. Significativo della voglia di rivalsa sociale che questi parvenu provavano in un mondo dove l’ascesa era molto difficile per chi veniva dal basso, il fatto che Redl non riuscisse a contenersi ma tra vacanze, auto, case e frequentazione di salotti desse fondo a tutti gli introiti che gli giungevano dai russi, accampando poi le più fantasiosi scuse, tra cui l’immancabile eredità ricevuta per miracolo, per giustificare il suo nuovo tenore. 
Il mestiere di spia era tra i più pericolosi: infatti già nel 1902 si aprì una crisi: il servizio segreto austriaco scoprì che qualcuno aveva consegnato ai russi i piani di guerra dell’impero asburgico. Qualcuno doveva investigare e questo qualcuno fu scelto proprio nella persona di Alfred Redl che così divenne il detective incaricato di scoprire il tradimento di sé stesso. Ancora una volta, i russi accorsero in aiuto del loro alleato, consegnandogli una lista di nomi di spie zariste in Austria, sacrificate per far sì che la fiducia dei suoi superiori in Redl non venisse mai meno; “scoprendo” queste spie, anzi, Redl ottenne la direzione del contro-spionaggio militare austriaco nel 1907. La sua stella brillava più che mai: conduceva una vita agiatissima, che persino pochi aristocratici viennesi potevano permettersi, tutti si fidavano di lui.

Nel 1913, però, gli venne assegnato un altro incarico e il contro-spionaggio finì nelle mani del maggiore Maximilian Ronge: questo apparentemente insignificante cambio di uffici all’interno dei servizi segreti, segnò la fine per Redl a causa di una serie di incredibili coincidenze. I russi, pagavano Redl ovviamente in contanti e le buste arrivavano all’ufficio postale centrale di Vienna dopo una lunga e tortuosa peregrinazione per Polonia e Germania, al fine di renderne più ardua la tracciabilità (ai tempi non c’era amazon!). A Vienna, un personaggio chiamato Nikon Nizetas andava a ritirare la busta e la portava a Redl. Nel 1913, Nizetas per qualche motivo non si presentò a ritirare la busta: è possibile che, vista l’eventualità di una guerra europea sempre più vicina, Redl cominciasse a prendere più precauzioni del solito, visto anche che Ronge, il suo successore era piuttosto attivo e intelligente. Sia come sia, la busta non ritirata viene aperta dalla posta e dentro vi si trova una straordinaria somma di denaro contante, che viene immediatamente consegnata a Ronge, dal momento che risulta evidente la possibilità che si tratta del compenso di una qualche spia. Ronge fa installare un pulsante elettrico nell’ufficio postale, che deve essere premuto nel momento in cui qualcuno viene a ritirare la busta. Possiamo immaginare l’ansia con la quale i servizi segreti aspettarono che quel bottone venisse premuto, la loro frenesia quando questo infine accadde; frenesia tale che persero di vista il raccoglitore della busta che salì su un taxi parcheggiato fuori dalla posta e si allontanò. Redl sembrava averla scampata ancora una volta e senza neanche l’aiuto dei russi! Gli agenti del controspionaggio austriaco rimasero a interrogarsi sul da farsi, certi di aver mancato una grossa occasione; stavano già per allontanarsi quando videro tornare lo stesso taxi sul quale era salito l’uomo della busta. Frenetici, chiesero all’autista dove avesse accompagnato il passeggero: egli rispose che lo aveva portato al vicino Hotel Klomser. Salendo sul taxi, gli agenti trovarono la fodera di un coltellino; arrivati all’hotel, chiesero al proprietario di cercare a chi appartenesse quell’oggetto.

Così fu scoperto Alfred Redl, che comparve sorridente a ritirare la sua fodera perduta; Ronge si affrettò ad arrivare all’albergo, dove concesse a Redl il suicidio, incredibilmente fidandosi della parola del traditore, secondo la quale avrebbe trovato tutti i documenti riguardanti i suoi contatti coi russi nella villa di Praga che Redl aveva comprato con la paga di Giuda. Ronge fu molto criticato – e giustamente- per aver permesso il suicidio di Redl; si difese dicendo di averlo fatto per evitare lo scandalo, ma questa sembra più una scusa inventata su due piedi che non una reale motivazione: come sperava Ronge che la scoperta del tradimento di un alto ufficiale e il suo conseguente suicidio, potessero rimanere nascosti dal momento che si erano svolti in un albergo nel centro di una capitale europea? Nella famosa villa di Praga andò pure peggio; gli agenti trovarono una cassaforte nell’abitazione, e chiamarono un fabbro per forzarla. Era una domenica e sfortuna volle che il fabbro fosse anche un giocatore di calcio molto noto a Praga; dopo l’apertura della cassaforte, un giornalista sportivo interrogò il fabbro pallonaro chiedendogli perché avesse saltato la partita e il nostro candidamente disse che non aveva potuto giocare perché stava forzando una cassetta segreta a casa di Alfred Redl. Il bubbone scoppiò. Nella cassaforte, oltre a diversi documenti segreti, furono trovate fotografie di ufficiali austriaci vestiti da donna, o in atti inequivocabilmente omosessuali.

Nella storia ci sono molti punti oscuri, il primo fra i quali è la fiducia costantemente accordata a Redl dai suoi superiori, nonostante la continua fuga di notizie verso la Russia fosse direttamente proporzionale all’aumento delle sue ricchezze. Non credo si debba adombrare un complotto (e cioè che l’estensione del tradimento fosse molto maggiore); a mio parere questo corpo ufficiali così unito, non contemplava l’ipotesi di un tradimento così esteso. E ancora, psicologicamente c’era una certa esitazione a raschiare sotto la superficie dell’apparenza sociale di un individuo; c’era sempre infatti la possibilità di trovare, come nel caso di Redl e dei suoi amanti, qualcosa di particolarmente ripugnante, qualcosa che avrebbe fatto crollare tutta la costruzione morale sulla quale si basava allora la società. Redl, negli anni, comprò una tenuta e diversi appartamenti a Vienna, la villa di Praga, molte automobili. Erano acquisti fatti col sangue di spie austriache in Russia tradite dalle sue soffiate e giustiziate senza pietà. Rimane da appurare l’impatto del tradimento di Redl sulla guerra, un argomento molto dibattuto. Alcuni ritengono Redl l’artefice delle sconfitte iniziali dell’Austria, dal momento che i russi avevano a disposizione i loro piani di guerra. Ipotesi debole: al contrario della Germania e, soprattutto, dei russi stessi, l’Austria-Ungheria aveva poche possibilità di un piano di guerra diverso da quello che infine attuò contro la Russia, ovverosia l’offensiva in Galizia. Riguardo l’estensione dell’esercito asburgico, era un calcolo che i russi potevano facilmente fare da soli sulla base della popolazione dell’impero. Credo che l’apporto principale di Redl , dal punto di vista zarista, sia dovuto soprattutto al suo rivelare il nome delle spie austriache in Russia mentre le sconfitte militari dell’Austria nel 1914 sono principalmente dovute alle incertezze di Conrad, il darwinista sociale. 

Nessun commento:

Posta un commento