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venerdì 19 giugno 2020

LA GANG

586_LA GANG (The Racket); Stati Uniti, 1951. Regia di John  Cromwell.

La cosa che lascia più spiazzati nel guardare oggi La gang, film americano del 1951 di John Cromwell è, più che il grado di corruzione delle istituzioni mostrato, la sostanziale noncuranza con cui tutto ciò doveva essere, al tempo dell’uscita nelle sale, accettato. Tralasciamo un attimo sia Robert Mitchum nei panni dell’integerrimo e risoluto capitano Thomas McQuigg, sia il bravo ed onesto agente Johnson (William Talman), ma anche il sadico e crudele gangster Nick Scanlon (Robert Ryan, bene nella parte): questi sono personaggi classici del genere poliziesco. E, a saltare all’occhio, non sono neanche il procuratore Welsh (un viscido Ray Collins) o il poliziotto Turk (l’ambiguo William Conrad), perché di corrotti se ne sono visti a bizzeffe, al cinema. Quello che sorprende è il loro muoversi con disinvoltura all’interno delle istituzioni, sia in senso metaforico che in quello fisico, ovvero nei locali del comando di polizia, perseguendo senza troppi giri di parole i propri doppi scopi. Va detto che questa condizione equivoca degli spazi, ovvero il fatto che due membri delle istituzioni come Welsh e Turk tramino contro la giustizia direttamente all’interno del comando di polizia, potrebbe derivare dall’origine del plot narrativo: il film è il remake di The Racket, 1928, regia di Lewis Milestone, che era tratto a sua volta da una pièce teatrale di Bartlett Cormack. E’ chiaro che a teatro l’unità di luogo del racconto è una necessità tecnica, ma è forse significativo il fatto che questa eredità possa venire lasciata inalterata fino alla versione cinematografica del 1951. 

L’opera era infatti nei teatri di Broadway alla fine degli anni ’20, e certo il regista di La Gang John Cromwell se la doveva ricordare bene visto che era vi recitava come attore principale. Tornando alla storia, quello che si evince è che i modi spicci di Mitch sono quindi l’unica risposta possibile, ma mica tutti possiedono la stoffa d’eroe come il monumentale attore americano; già il povero Johnson paga assai duramente il suo esporsi contro la criminalità organizzata. Il racket è mostrato in molteplici sfaccettature: c’è il vecchio boss invisibile, a simboleggiare come sia conveniente per il male non mettersi mai in luce e, come suo contraltare (comunque negativo), c’è il più attuale Nick Scanlon che invece vuole per sé anche la ribalta. Non c’è sostanziale differenza morale tra i due: il primo è altrettanto sadico e spietato, solo ritiene più opportuno fare le cose con discrezione. 

Scanlon invece preferisce marcare il territorio in modo esplicito, il che sembra significare che ormai la rettitudine morale non è più un riferimento e, anzi, si può farsi vanto di una condizione opposta. Gli scagnozzi di second’ordine si barcamenano come meglio riescono, più o meno con la stessa filosofia di quei tutori delle istituzioni corrotti. In questo quadro piuttosto deprimente, ma probabilmente abbastanza attendibile dell’epoca, ci sono due ulteriore note, di cui solo una inizialmente fuori spartito. Dave Ames (Robert Hutton) è un giovane giornalista e, mosso dall’ammirazione per la cantante Irene Hayes (Lizabeth Scott), si ritrova nello scomodissimo ruolo di testimone contro Scanlon. La ragazza, fidanzata del fratello del boss, prova a dissuaderlo, e la difficoltà con cui l’attrice principale del film, pur se si tratta di un poliziesco a tinte noir, accoglie l’onestà del giovane, non concorre certo nel  fare un po’ di luce ottimista sull’intera vicenda. Per fortuna che Ames ha l’animo pulito come la faccia e, alla fine, riesce a persuadere anche la dark lady che, come da ruolo, si redime denunciando il criminale. Sarà infatti lei a mettere a segno il colpo che mette alle corde Scanlon: d’altra parte la Scott, in materia di presenza scenica, è uno degli elementi portanti dell’opera. Dal canto loro la coppia di corrotti Welsh e Turk si affretteranno nel tentativo di sistemare le cose per non venir coinvolti, ma finiranno comunque indagati; insomma, il finale se non proprio lieto, è perlomeno edificante.     





  
Lizabeth Scott







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