428_E' ARRIVATO MIO FRATELLO ; Italia, 1985. Regia di Castellano e Pipolo.
Renato Pozzetto ritrova alla regia Castellano e Pipolo, solo
l’anno successivo de Il ragazzo di
campagna, ma nemmeno la fortunata alchimia sembra riuscire a rallentare la
parabola discendente intrapresa dalla carriera del comico; men che meno quella
della commedia italiana del periodo. E’
arrivato mio fratello è un film certamente meno valido del precedente
citato, sebbene abbia ancora alcuni spunti interessanti, oltre a passaggi
spassosi e, nel complesso, una certa attenzione in fase di scrittura, legata all’estrazione dei registi che arrivano dalla
sceneggiatura. Uno dei problemi del nostro cinema leggero è la incapacità
interpretativa degli attori: condizione, purtroppo, confermata in E’ arrivato mio fratello. Il
protagonista del film è, ovviamente, Renato Pozzetto nei panni di Ovidio; ma il
comico di Laveno interpreta anche il fratello gemello di Ovidio, ovvero
Raffaele/Raf Benson. In genere, Pozzetto, che pure non è un mostro di
recitazione, se la cava con una verve surreale che risulta assai funzionale ma,
per differenziare i due personaggi, si produce in una prova davvero disastrosa
nelle vesti di Raffaele, attingendo ad una comicità assai più pacchiana (addirittura
insopportabile la sua risata). La storia è ovviamente un pretesto per vedere
all’opera Pozzetto, anche se qualcosa di interessante, oltre alla soave e
surreale comicità del buon Renato, c’è: ad esempio, nel film viene riproposta
una tipica coppia di fratelli del nostro cinema, quello timido e remissivo che
si contrappone allo sfacciato e spendaccione. I casi più clamorosi del nostro
passato in pellicola sono stati, probabilmente, Totò e Peppino De Filippo, si
vedano Totò, Peppino e la Malafemmina (Camillo
Mastrocinque, 1956) e Signori si nasce
(Mario Mattoli, 1960).
Naturalmente, in quei film, il protagonista era sempre
Totò, ovvero il fratello furbo,
mentre in E’ arrivato mio fratello seguiamo
maggiormente il punto di vista di Ovidio, tra i due quello più a modo. Se, al tempo, il nostro cinema leggero, da sempre più ruffiano
che educativo nei confronti del
pubblico, sembrava strizzare l’occhio alla furbizia
degli italiani, qui si pensa che, al contrario, il cittadino medio sia talmente
represso da avere bisogno di una scossa. E forse in quel senso va colto il
finale con la fuga a Las Vegas. Ma questa fuga non sembra interpretabile in un
modo negativo, anzi; il concetto è piuttosto che, nella società italiana,
l’individuo corretto è totalmente vessato dalle prepotenze del sistema in tutte le sue sfaccettature:
il preside sul lavoro, la diseducazione dei bambini nella classe, il poliziotto
in questura, la fidanzata nelle relazioni personali, fino al vicino di casa con
l’autolavaggio che arriva con la sua noncuranza ad invadere lo spazio vitale di
Ovidio fin dentro la sua abitazione. Nemmeno la famiglia rappresenta un valore
positivo, visto le discriminazioni interne fatte dai genitori verso i due figli
(a danno, ovviamente, di Ovidio) che forse alludono all’indole italiana del
tutto avulsa dal comune senso di giustizia.
Per paradosso, essendo E’ arrivato mio fratello un film comico
che quindi usa il paradossale come sorta di critica, l’unico ambiente sano è quello della prigione, con i
carcerati interessati alla poesia. Oltre al prevedibile scambio di ruoli tra i
fratelli, con effetti ovviamente comici, il film si basa sulle conseguenze dell’incursione
di Raffaele nell’ordinaria vita di Ovidio. Purtroppo, questa nel complesso
apprezzabile struttura portante del lungometraggio, non è poi sviluppata a
dovere, complice anche un certo impoverimento del nostro cinema sempre più
contagiato dalla sciattezza televisiva dell’epoca.
Del film, rimangono però
alcuni momenti assolutamente cult,
come lo spumante che, romanticamente bevuto nelle scarpe di Esmeralda (Carin MacDonald)
secondo Ovidio ‘sa un po’ di tacco’,
oppure la doppia scena con la poesia La
pioggia nel pineto di Gabriele D’annunzio. Durante la prima assorta lettura
di Ovidio, gli alunni urinano sul pavimento della classe causando una
reprimenda da parte del preside al povero docente. Memorabile la vendetta
dell’insegnante che, disinibitosi in seguito ai suffumigi alla cocaina (per
errore inalata al posto della polvere di eucalipto), innaffia gli alunni con la
canna dell’idrante del sistema antincendio, recitando la poesia d’annunziana opportunamente modificata: ‘piove - sulle vostre facce da culo’.
Imperdibile.
Corin McDonald
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