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venerdì 25 ottobre 2024

A PICTURE TO REMEMBER

1566_A PICTURE TO REMEMBER. Ucraina, Francia, Germania 2023; Regia di Olga Chernykh

Ogni film, ogni opera degna di interesse, lascia qualcosa di peculiare nello spettatore. Da un testo che ci racconta di una guerra, in genere, siamo abituati ad attenderci le più diverse reazioni, che naturalmente dipendono dalla sensibilità di ognuno. Se è possibile ipotizzare un tratto comune, tra queste risposte ad un evento traumatico come la guerra, si potrebbe pensare allo stupore, alla sorpresa. Soprattutto se ci si riferisce all’Europa, che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha fatto di tutto, almeno a livello di intenzioni programmatiche dichiarate, per evitare nuovi sanguinosi conflitti sul proprio suolo. In fondo la Comunità Europea nasce da questi intendimenti, evitare una nuova guerra mondiale tra i paesi europei. E, da quel che si può intendere, anche Olga Chernykh non si aspettava l’escalation del 24 febbraio 2022, con l’aggressione russa e l’invasione su larga scala nella sua Ucraina. Eppure, la sensazione che emerge da A picture to remember, documentario con cui la Chernykh racconta, tra le altre cose, di questi tragici avvenimenti, non è quella che ci si aspetta a fronte di una sorpresa. Tutt’altro: quello che filtra dalle variegate immagini che compongono il film, è un misto di rassegnazione e consapevolezza, quasi di prevedibilità o conoscenza a priori di quello che sta accadendo. La regista è originaria di Donetsk e ci ricorda che il motto della regione, il Donbas, è “Nessuno ha mai messo in ginocchio il Donbas, e nessuno lo farà mai”. Esaltante, certo, come proclama, ma viene da chiedersi perché mai un territorio debba aver issato un simile vessillo a difesa della propria indipendenza, se non che la vita abbia insegnato ai cittadini di questo martoriato lembo di terra che la liberà sia, se non proprio una chimera, certamente una conquista da mantenere con i denti ad ogni svincolo della Storia. Ma quello di Olga Chernykh non è un documentario storico o bellico: è un ritratto famigliare, perché il Donbas, come tutti i territori e a maggior ragione quelli sofferti, non è tanto un’entità politica quanto l’umanità che lo abita o lo ha abitato. Non tutti sono rimasti, infatti: ad esempio Olga, insieme alla madre Alyona, se n’è andata a Kyiv, lasciando nonna Zorya a Donetsk. Alyona, un’anatomo patologa che lavora in un obitorio nella capitale, sempre super attiva e professionalmente indaffarata, può essere un buon esempio di donna ucraina: sgobba sodo ed è capace nel proprio lavoro. Come tutti gli abitanti del Donbas immigrati nell’ovest dell’Ucraina –ci fu un grande esodo dopo il 2014 legato ai primi scontri negli Oblast’ orientali– non era vista di buon occhio, dagli emancipati cittadini della capitale. Si son dovuti ricredere, a conti fatti. Ma, forse, è nonna Zorya ad incarnare meglio lo spirito del Donbas e, per estensione, dell’intera Ucraina. La simpatica vecchietta, che vediamo dialogare in videochiamate con figlia e nipote, è sempre pronta a stemperare la tragicità della situazione –“bombardano giorno e notte” è la sua descrizione dello stato delle cose a Donetsk– con una rassegnata ironia intrisa di fatalismo. Attraverso il racconto filmico di A picture to remember possiamo arrivare a comprendere l’origine di questa desolata accettazione delle avversità: Olga sfoglia l’album di famiglia e nei filmini amatoriali facciamo conoscenza anche con gli uomini della famiglia, il padre Oleg, dinamico ed elegante, e nonno Stasik, un marcantonio che amava gli affreschi di Giotto e ridere e scherzare. Piccole vicende che scorrono davanti alla Storia dell’Ucraina, il socialismo, l’industrializzazione di stato, illusioni che nel tempo si sono sgretolate. Mentre a Kyiv figlia e nipote malinconicamente festeggiano il fatto di essere vive nonostante i bombardamenti arrivati fino alla capitale, bevendo uno champagne tirato fuori da chissà dove, nonna Zorya, nella sua Donetsk, non molla. Ha cambiato i vetri alle finestre, il riscaldamento del suo appartamento non funziona ma il suo spirito non si è affatto piegato. Lo dice anche il motto del Donbas, no?       

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