Translate

martedì 1 ottobre 2024

QUI SQUADRA MOBILE - RAPINA A MANO ARMATA

1554_QUI SQUADRA MOBILE - RAPINA A MANO ARMATA . Italia 1973; Regia di Anton Giulio Majano

Il secondo episodio di Qui Squadra Mobile sembra rispondere all’esigenza di aumentare il grado di intensità del racconto come si può già intuire dal titolo, Rapina a mano armata. La puntata comincia subito con il pedale dell’acceleratore premuto, con la scena della rapina in cui gli spietati criminali non esitano a freddare uno degli impiegati. Alcuni passaggi, come le telecamere di sorveglianza dell’istituto di credito in grado di rilevare la targa dell’auto dei banditi in fuga – operazione tecnicamente all’epoca quasi impossibile – lasciano intravvedere eccessivamente uno degli scopi alla base della serie, ovvero infondere fiducia e sicurezza nelle forze dell’ordine. Non si fatica a credere che, come riportano le cronache, a collaborare ai soggetti come consulente tecnico fosse l’ex capo della Squadra Mobile di Roma Salvatore Palmieri. [Qui Squadra Mobile, secondo episodio: Rapina a mano armata, Radiocorriere TV, n. 20, 13 maggio 1973, pagina 57, Edizioni ERI, Torino]. In effetti l’enfasi con cui si sottolinea l’efficienza della Polizia, in questo episodio ma in generale nella serie, è perfino eccessiva, al punto da correre il rischio di far passare come una sorta di spot promozionale l’intera produzione. In ogni caso, la storia procede più speditamente, avendo alle spalle già la puntata precedente e, di conseguenza, i personaggi sono già stati adeguatamente introdotti. Oltre a Carraro, che tira la fila delle indagini, tra i tanti membri della squadra comincia a farsi sempre più strada l’esuberante umanità di Solmi. Anche del capo della Sezione Omicidi, interpretato da Orazio Orlando, veniamo a conoscenza della vita privata, nel suo caso incentrata quasi unicamente sul figlioletto Matteo (Francesco Baldi); Solmi è infatti rimasto vedovo e anche per lui, come per Carraro, non è semplice conciliare la vita famigliare con le esigenze professionali. Tuttavia l’attore napoletano, assecondato dal regista, ebbe carta bianca riuscendo a tratteggiare un personaggio credibile: “Non volevo ripetere i canoni”, dichiarò ad una intervista, “non volevo rifare Maigret; ho tentato di uscire fuori da certi modelli sfruttando le mie corde. Il regista Majano m’ha accordato fiducia ed il mio temperamento ha fatto il resto. Costruire un personaggio è un’impresa ardua ma eccitante; darne una connotazione attraverso i gesti, con l’intonazione della voce, penetrare i blocchi di realtà con tutte le sue parvenze, questo è quello che bisogna tentare”. [Intervista a Orazio Orlando, da Salvatore Bianco, Un napoletano che beve tè, Radiocorriere TV, n. 23, 3 giugno 1973, pagina 92, Edizioni ERI, Torino]. Il risultato è molto buono: Orlando sfrutta in modo misurato ma convincente la propria natura napoletana, intercalando l’eloquio del commissario Solmi con qualche espressione tipicamente partenopea che contribuisce nell’opera di caratterizzazione del personaggio, senza sconfinare mai nella caricatura. Curioso che anche l’attore si riferisca a Maigret come modello da evitare quando, nella serie, per ricondurlo al lavoro di equipe, Carraro più volte lo redarguisca con un perentorio “Smetti di fare il Maigret!”. In un episodio che quindi registra un passo in avanti dal punto di vista qualitativo rispetto al già positivo esordio, si possono segnalare altri due membri del variegato gruppo di protagonisti: il Procuratore Lancia (interpretato dal bravo Carlo Alighiero) è un magistrato con cui Carraro riesce ad avere una discreta sintonia. Quella delle difficoltà d’intenti tra poliziotti e magistrati sarà un tema che emergerà più avanti, nella serie e, per il momento, Lancia lascia quasi sorpresi per quanto sia accomodante nei confronti della Squadra Mobile. Una figura che non ha poi molto spazio, ma è trattato con deferenza sia dai personaggi del racconto che dal racconto stesso, è Angelo De Maria (Gianfranco Mauri), dirigente della Polizia Scientifica. La fiducia nella scienza è, in effetti, un altro compito che si era posta da sempre la Rai e che si prefiggeva anche Qui Squadra Mobile: dall’onnipresente Sala Operativa, con tanto di Cervello Elettronico interrogato con puntualità, e particolarmente attivo in questa puntata, alle analisi biologiche o balistiche dell’unità guidata da De Maria. Si è detto della consulenza tecnica alla serie di Palmieri, ex capo della Mobile di Roma, e il suo operato è perfettamente leggibile nello schema che sorregge il canovaccio dell’episodio. Nel film, viene praticamente escluso sin da subito che una rapina di tale ferocia, con un impiegato ucciso per pura crudeltà, sia opera della malavita romana, al tempo scarsamente organizzata. In effetti, l’utilizzo dei sistemi scientifici, aiuta a capire velocemente che uno dei rapinatori sia un «marsigliese» proveniente dal nord Italia. Questo passaggio narrativo fa riferimento ad un momento storico: come detto Roma, fino all’alba degli anni Settanta, era un terreno ancora relativamente vergine per la malavita organizzata. Alcuni evasi, ricercati e pregiudicati appartenenti al Milieu Marsigliese, uno dei cartelli criminali francesi, erano entrati in Italia cercando nuovi territori e, dopo aver bazzicato un po’ nel nord del Paese, erano infine approdati a Roma. Si trattava del celebre Clan dei Marsigliesi, in buona sostanza la prima organizzazione criminale attiva nella capitale italiana. Un passaggio epocale nella vita sociale italiana e averlo colto con tale puntualità e precisione è un altro segno del valore degli autori di Qui Squadra Mobile.   


Nessun commento:

Posta un commento