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sabato 9 marzo 2024

NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE (2022)

1450_NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE (Im Westen nichts Neues). Germania, 2022; Regia di Edward Berger.

La più forte sensazione che lascia Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger è di colpa. Certo, lo sgomento, l’orrore, la disperazione ha fronte di immagini apocalittiche, che drammaticamente ci suonano famigliari in questo periodo storico, possono essere di maggior impatto, è chiaro. Eppure il cinema, si pensi alla scena dell’incipit, o anche i telegiornali alla Tv, basta uno degli ultimi reportage dalla contemporanea guerra in Ucraina, un po’ finiscono per assuefarci all’orrore di matrice bellica. Per quanto eccezionalmente ben riprodotta, senza alcuno sconto, quella del lungometraggio di Berger è la guerra che già conosciamo fin troppo bene. Il che potrebbe anche far pensare che, in fondo, non è che il suo film sia poi così indispensabile. Oltretutto è una trasposizione di un libro, l’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque, che contava già due adattamenti per lo schermo. E di cui il primo, All’ovest niente di nuovo di Lewis Milestone, considerato universalmente un capolavoro. Eppure ha avuto ragione Edward Berger a rimetterci le mani e a darne per la prima volta una versione tedesca; in fondo il libro era tedesco e qualche aspetto, nelle due precedenti trasposizioni, entrambe americane, era andato perduto. Gli americani nelle loro azioni – e il cinema americano non fa certo eccezione, anzi – hanno sempre un approccio individualista, il sogno americano è fondamentalmente un ingrediente che nel loro cinema troviamo sempre, seppur in minima parte. Il cinema bellico è in questo secondo solo al western e, seppure quello di Milestone era un film smaccatamente pacifista, lo era incarnando perfettamente lo sconcerto dei giovani soldati tedeschi chiamati al fronte dopo essere stati adeguatamente indottrinati addirittura dal proprio maestro. La brutalità della guerra costringeva infatti i ragazzi protagonisti a rendersi conto di quanto fuorviante era stata la propaganda di regime. 

Il remake televisivo di Delbert Mann riprendeva questa linea inserendosi contemporaneamente nel solco antimilitarista in voga negli anni Settanta. L’impressione era di condivisione per la sorte tragica occorsa ai soldati; un moto che, per quanto il cinema, anche quello di matrice televisiva, fosse efficace, andava da una posizione moralmente più alta verso una moralmente più bassa. Gli americani, che avevano vinto e si erano eretti paladini della giustizia mondiale, provavano a fare mea culpa per l’utilizzo della guerra come sistema per redimere le questioni internazionali e per farlo chiamavano in causa il punto di vista tedesco. Un po’ come dire: la guerra è orribile anche per chi quella guerra l’ha scatenata due volte ed è universalmente riconosciuto, soprattutto al cinema, come popolo più incline all’uso della forza militare. E se è orribile per i tedeschi, figuriamoci per gli altri, noi compresi. Un metodo per rinnegare l’uso della violenza militare della guerra ma anche, più sottilmente, per prendere un po’ le distanze dalle responsabilità per averla provocata. O forse potrebbe essere proprio il non voler infierire sul popolo tedesco a tenere alzato il pedale della colpa nei due film americani: perfino ad un capolavoro come All’ovest niente di nuovo manca un sentimento di pentimento vero e forte. I giovani sono stati ingannati dai maestri; la colpa è di qualcun altro. Per gli americani vale ancora il discorso che sono stati i tedeschi; per i tedeschi che sono stati i loro governanti. Manca qualcosa, però. Che forse troviamo in Niente di nuovo sul fronte occidentale di Berger. E non sono le splendide scene di battaglia, le vicende dei soldati, le gesta in prima linea, girate in modo sontuoso ma in fondo non migliori di tanti altri film bellici. Quello che assume significato è il colloquio tra Erzberger (Daniel Brühl), incaricato dai tedeschi di trattare l’armistizio, e il generale Ferdinand Foch (Thibault de Montalembert) comandante supremo degli alleati. Tra i due, il più ostile è il generale francese. Questo è il punto nevralgico: siamo davvero totalmente in disaccordo, con l’intransigente linea tenuta da Foch? O ci rimane qualche dubbio che sia legittima, considerato come la Germani aggredì la Francia quattro anni prima? Nel caso, ecco spiegato perché la logica della guerra è ancora in vigore. 









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