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martedì 5 marzo 2024

MONDO CANE

1448_MONDO CANE. Italia, 1962; Regia di Gualtiero Jacopetti, Paolo Cavara e Franco Prosperi.

Il folgorante esordio in regia di Gualtiero Jacopetti, affiancato da Franco Prosperi e Paolo Cavara, fu un successo clamoroso, totalmente inatteso, in tutto il mondo. Può sembrare strano, oggi, ma al tempo della sua uscita Mondo Cane ebbe, nel complesso, un positivo riscontro anche dalla critica, almeno stando alle parole dello stesso Jacopetti [intervista trasmessa da Rai Cinema World e visibile su YouTube]. In base a quanto dichiarato dal giornalista/regista, perfino Dino Buzzati, punta di diamante del Corriere della Sera, espresse un giudizio positivo e sono comunque un dato di fatto la considerazione che il film ottenne nei vari festival cinematografici. Candidato in concorso a Cannes per la Palma d’oro, fu in lizza anche agli Academy Awards, ai Grammy Awards e ai Laurel Awards, in questi casi per l’eccezionale musica di Riz Ortolani, Nino Oliviero e Norman Newell. A Taormina, ai David di Donatello, Mondo Cane si prese la soddisfazione di vincere il premio alla Miglior Produzione. Tuttavia la critica fu molto severa con il film, e, negli anni, si inasprirà ancor più. Restando a Morando Morandini, e al suo già citato Il Dizionario dei film 2003, Mondo Cane è “immorale, perché falsifica la realtà, la corregge a scopi spettacolari, (…) film ignobile, di grande successo”. Qui, per la verità, sorge un dubbio: se ci atteniamo a quanto dichiarato da Jacopetti, ad esempio nell’intervista già presa in esame e reperibile su YouTube, il materiale che compone il film è tutto genuino; semmai ci sono degli aggiustamenti in sede di montaggio. Per quanto non si debba mettere in discussione la veridicità delle parole di nessuno, si può anche comprendere che qualche passaggio del film sia stato preparato ad arte per l’occasione. Tuttavia, nel suo complesso, l’opera sembra davvero essere composta da scene che, per la maggior parte, siano reali. Alcune sequenze sarebbero, oltretutto, difficili da realizzare da uno studio di produzione cinematografica, e possiamo immaginare che credito, in termini di budget, possano aver avuto tre esordienti in regia. Eppure i critici sembrano sicuri: Mondo Cane falsifica la realtà, tanto che diverrà il riferimento per un genere di film nuovi, i citati mondo movie, che vengono abitualmente definiti pseudo-documentari. Il problema è che, pur partendo dal vitale presupposto che non bisogna mai prendere per oro colato quello che vediamo sullo schermo –perfino in un documentario, figuriamoci in un’opera che la critica presenta come pseudo-documentario– guardando la pellicola oggi, l’affermazione di Jacopetti, “Mondo Cane è tutto genuino” [cit. Gualtiero Jacopetti, nell’intervista reperibile al link riportato in precedenza] sembra più attendibile della valutazione di Morandini. Intendiamoci: non è che la breve recensione del critico sia del tutto inesatta, Mondo Cane fa del sensazionalismo la sua cifra stilistica, questo è evidente. “La scoperta dell’insolito e la rappresentazione della crudeltà non possono prescindere dal rispetto per l’uomo” scrive ancora il Morandini ed è forse qui che, il critico, cerca di mettere a fuoco il problema. Ma se il film, nella sostanza, è attendibile, come sostiene Jacopetti, allora non è un problema del film ma delle realtà che il film descrive. Se, viceversa, il film racconta un mucchio di fandonie, che gli autori sono stati bravissimi ad assemblare dando l’idea di realismo, allora si tratta di un banale film di finzione. 

Ci sono decine, anzi, centinaia, di esempi di film che sostengono di essere tratti da episodi veri e che, al contrario, sono del tutto fittizi. E poi c’è perfino Orson Welles che, nel suo adattamento radiofonico The War of the Worlds, spaventò mezza America, che credette davvero che stessero arrivando gli extraterrestri; ma nessuno si sogna, per questo, di stroncare il geniale autore statunitense. Allora, cos’è che non va, in Mondo Cane? L’utilizzo strumentale delle immagini? Il commento –del mitico Stefano Sibaldi, uno dei maestri del doppiaggio italiano– a tratti quasi beffardo, e, forse, per questo, interpretabile come poco rispettoso? Curioso che, nel caso, sostanzialmente nessuno se ne accorse al momento dell’uscita nelle sale. Se diamo retta ai censori, a suo tempo, Mondo Cane non ebbe infatti tutte queste noie. Stando a Jacopetti, i problemi principali furono di natura politica e legati alla scena in cui veniva inaugurata una statua dedicata all’attore Rodolfo Valentino in quel di Castellaneta, paese natale del celebre interprete. Alla cerimonia furono chiamati a presenziare Sua Eccellenza l’Onorevole Alberto Folchi e il Sottosegretario allo Spettacolo Gabriele Semeraro; ironia della sorte, Folchi era appunto il Ministro del Turismo dello Spettacolo, proprio l’organo che si occupava della censura, e Jacopetti e company dovettero fare un passo indietro e accontentarsi del sottosegretario. Pare, infatti, che con l’aiuto di una musica al ritmo di tango, l’eloquio del politico risultasse leggermente umoristico e la cosa non fu particolarmente gradita ai revisori del ministero. In realtà, stando ai documenti della Censura [reperibili sul sito Cinecensura.com] la Cineriz, la casa di produzione, dovette fare anche altri interventi. Venne tolta la scena con protagonista una prostituta, furono tagliate le parti più efferate dove venivano uccisi alcuni maiali a colpi di bastone, vennero alleggerite le immagini più sanguinanti dei “Vattienti”, di Nocera Terinese, in provincia di Catanzaro, oltre alla citata eliminazione di ogni riferimento all’onorevole Folchi. 

Tuttavia, a parte la scena della prostituta –che, peraltro, pare non fosse niente di particolare, mostrava mutande e giarrettiere– l’attenuazione delle citate scene non rende quei segmenti narrativi poi molto meno significativi. E, comunque, ci sono altri spezzoni, che sono ugualmente “forti”: la decapitazione dei tori nel Nepal e, per restare in tema bovino, la Festa del Colete Encarnato a Vila Franca de Xira, in Portogallo. In questa singolare corrida i tori vengono affrontati a mani nude, prima da rappresentanti dei proletari e poi dei nobili, con esiti particolarmente tragici. Anche la vendetta dei pescatori malesi contro gli squali, rei di aver ucciso un ragazzo e puniti facendogli ingoiare ricci velenosi, lascia esterrefatti per la crudeltà mostrata senza reticenza. In ogni caso, non è l’efferatezza delle immagini a condizionare negativamente il giudizio della critica italiana che ha stroncato senza appello Mondo Cane. Quello che scandalizza, nel film di Jacoppi, Prosperi e Cavara, è che gli autori utilizzino strumentalmente le immagini per mostrare come, ad ogni latitudine, il mondo sia violento e, sostanzialmente, senza speranza. Nel 1962, con l’Italia ancora nel boom economico, la cosa poteva stupire ma, a conti fatti, visto il successo e le scarse noie con la censura, evidentemente, il film poteva essere accettato come interessante punto di vista inusuale. Quando la rivoluzione sessantottina sgombererà definitivamente il campo dalla vecchia e stanca ideologia dogmatica per sostituirla con l’ottimismo ancor più dogmatico di cui era intrisa, cominciarono i problemi. Mondo Cane usa il metodo di mostrare le lacune delle società considerate meno evolute per evidenziare come, di fondo, non ci siano poi tutte queste differenze con la progredita società occidentale. Se la critica al capitalismo, era certamente condivisa dall’intellighenzia italica, questa aveva, e ha, evidentemente necessità di credere nella teoria del “buon selvaggio” per giustificare le proprie convinzioni. 

Forse, in questo modo è possibile attribuire al capitalismo tutte le colpe, confrontando le ingiustizie della moderna società con una visione edulcorata di una fantomatica età dell’oro del passato, che si deve giocoforza abbinare a tutte quelle culture che il capitalismo non ha ancora del tutto corrotto. La conseguenza di questa teoria è la legittimazione di una regolamentazione ferrea che vada a compensare, a suon di codici e leggi, ogni minima sfumatura della vita quotidiana. In sostanza, la società del 2024, dove l’onnipresente Politicamente Corretto è alla costante e frenetica ricerca di ogni possibile alterazione del livellamento, intesa sempre e comunque come ingiustizia, in ogni campo e materia, sociale, culturale, sessuale, ecc. ecc. Queste cose, oggi, si stagliano in modo certamente più limpido, anche per via del clamoroso fallimento di teorie come la globalizzazione, che sono state il frutto di questo modo omologato di pensare. Ai tempi della Contestazione Sessantina, il futuro era ancora da scrivere e l’idea che il comunismo –magari in una versione illuminata, d’accordo– fosse l’inevitabile Destino a cui sarebbe andata incontro l’Umanità, una volta superato il periodo barbaro del Capitalismo, era ancora assolutamente saldo. Se erano accettabili, in un certo senso, le posizioni più reazionarie, di destra o clericali, perché facilmente criticabili come semplici tentativi di difendere il privilegio, un testo come Mondo Cane dava davvero fastidio. Si poteva definire di destra –o fascista, com’era ed è, in uso dire in Italia qualunque cosa non rientri nel concetto accettato come progressista– il lungometraggio? Difficile, perché lo scopo di Jacopetti, Prosperi e Cavara è proprio quello di mostrare come, nonostante le apparenze, non ci sia sostanziale differenza tra il mondo cosiddetto civilizzato e le altre culture più primitive o naturali, che dir si vogliano. 

Certamente Mondo Cane non era nemmeno di sinistra, proprio per il suo essere senza speranza o, almeno, non mostrare un avvenire splendente giusto dietro l’angolo, come invece si auspicavano i comunisti et similia. Il documentario –o lo pseudo-documentario, se diamo retta ai suoi detrattori– non ha, per la verità, una connotazione politica così scontata, ma fu probabilmente osteggiato per questo motivo, per il suo essere scomodo per l’élite culturale del Belpaese. Mondo Cane critica la moderna società e il capitalismo, ma senza dare la sponda alle idee rivoluzionarie, per cui era indispensabile l’apologia delle culture alternative. E questo può anche essere un limite, del lungometraggio, sia chiaro; ma un limite onesto. Non c’è motivo di essere ottimisti, sembrano dire gli autori, e quindi non lo furono. Sono passati sessant’anni e si può anche dire, per altro, che non è che avessero tutti i torti, in questo senso. Tuttavia Mondo Cane è, al netto della questione politica che gli costò la pessima fama che l’accompagna, tecnicamente un capolavoro. Innanzitutto si basa su un’idea geniale: perché inventarsi storie di finzione, quando nel mondo esistono innumerevoli spunti reali –se prendiamo per buone le parole di Jacopetti– che possono reggere già da soli un lungometraggio? A questo punto, la maestria degli autori subentra alla genialità, perché poi è il superbo montaggio a trasformare nell’eccellente film i vari segmenti raccolti in giro per il mondo. Il montaggio, ovvero l’anima stessa del cinema, è, in Mondo Cane, l’arma vincente, unitamente alla musica. Certo, anche la fotografia, di Antonio Climati e Benito Frattari, o gli ironici testi recitati da Sibaldi, sono di ottimo livello, ma insieme al lavoro in sala taglio, è la colonna sonora di Riz Ortolani e Nino Oliviero a fare davvero la differenza. 

Celeberrima la traccia più nota, divenuta famosa con il titolo Ti guarderò nel cuore: nella colonna sonora è in realtà intitolata Models in blue/Modelle in blu, facendo riferimento ad uno dei segmenti narrativi di cui è composto il film. In seguito, visto il dilagante successo, la versione inglese intitolata More, con il testo composto da Norman Newell, dopo essere divenuta uno standard in uso ai jazzisti, venne incisa perfino da Frank Sinatra. Tuttavia, il brano forse migliore che si può ascoltare nel film, che accompagna ed esalta il passaggio più importante e riuscito del lungometraggio, non è clamorosamente inserito nella Colonna Sonora Ufficiale. Siamo verso la fine di Mondo Cane, gli autori hanno già fatto capire i loro intenti, anche se hanno in canna un paio di momenti mica da ridere, quello dei tori decapitati e la loro successiva “vendetta” portoghese, ma non solo. In ogni caso, Jacopetti e compagni decidono di inserire un segmento leggero, che non è certo l’unico, sia chiaro: siamo alle Hawaii, dove i vecchi americani, ad occhio tutti rigorosamente WASP (White Anglo-Saxon Protestant), si concedono una vacanza. Qui scopriamo le assai presunte proprietà terapeutiche della Hula, la danza polinesiana in voga nell’arcipelago, di cui vediamo un rapido saggio della danzatrice più brava, capace, stando al narratore fuori campo, di guarire anche dalla poliomielite a furia di ballare. Per quanto sia evidente che il ballo e il movimento siano salubri, nel suo tono enfatico il passaggio è bonariamente ironico, ed è abbastanza chiaro. L’inquadratura si sposta quindi sul pubblico di vegliardi americani, che applaude convinto l’esibizione delle danzatrici; poi, arriva il loro turno. La voce di Sibaldi si fa particolarmente melliflua e, al tempo stesso, graffiante. “Hanno applaudito, si sono divertiti e commossi, proprio come era scritto nel programma”. E già arriva la prima zampata, quasi che, per l’americano, l’uomo moderno per definizione, la commozione sia un sentimento pianificabile.

 “E ora che il programma prevede una lezione di Hula, vanno ad imparare la Hula, docili e tranquilli”, continua Sibaldi, e quel “docili e tranquilli”, siamo negli anni Sessanta, associato a degli statunitensi, è quantomeno ambiguo. Mentre la musica melodica della Hula si fa via via più intensa, gli anziani in vacanza, uomini e donne, si alzano uno dopo l’altro dalla tribunetta per partecipare alla danza. Sibaldi riprende il commento convinto: “crede nella Hula, in sé stessa, nella propria e nell’altrui felicità, questa candida generazione che ha lavorato sodo in gioventù e si permette un po’ di massacrante riposo soltanto al primo insorgere dei reumatismi”. L’ironia del commento sembra alleggerirsi, divagando sulle faticosità delle vacanze o sull’ottimismo tipicamente yankee, ma Jacopetti e compagni, in realtà, stanno preparando il terreno. “Crede ancora in questo ex paradiso tropicale che essa stessa ha distrutto” boom! qui gli autori arrivano dritti al punto, accusando ancora gli States della loro politica, dopo che, in precedenza, erano stati mostrati anche gli effetti degli esperimenti radioattivi nelle isole dell’Oceano Pacifico. Ma qui la critica è più feroce ed efficace, perché non è associata a qualche organismo politico o militare, ma a degli, all’apparenza, innocui anziani. “E dove oggi l’unica, vera, genuina, danza indigena, alla quale si può ancora assistere, è questa” e su queste parole, gli arzilli vecchietti cominciano ad ancheggiare seguendo pedestremente, o provandoci, i movimenti dell’attempata maestra hawaiana. Il finale del commento per questo segmento narrativo è solo fintamente indulgente: “l’unica, vera, genuina, danza indigena” sottintende che le manifestazioni degli isolani siano ormai mercificate e unicamente turistiche nel senso negativo del termine. Di contro, i maldestri e sgraziati movimenti degli anziani americani hanno davvero qualcosa di autentico: la loro goffaggine nel ballare, nel “sentire” la musica, in buona sostanza, l’incapacità di capirla. Un’incapacità che, come risultato, permette loro di ritenersi superficialmente ma sinceramente soddisfatti e appagati del loro rozzo e posticcio scimmiottamento privo di qualsivoglia vera e autentica emozione. Una contraddizione emblematica. Ad aiutare magistralmente il concretizzarsi di questa feroce disamina, la musica strepitosa di Ortolani e Oliviero trasforma la soave musica hawaiana in una sorta di marcia sinfonica che, nella sua maestosità, celebra la razza dominante del pianeta, gli anziani americani. “Ma non sono che vecchietti che ballano fuori tempo!” verrebbe da obiettare. È invece qui, è in questo passaggio, che Mondo Cane rivela tutta la sua grandezza: si vedano i recenti presidenti USA, e le loro politiche, per cogliere la lungimiranza di Jacopetti, Prosperi e Cavara. 




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