Translate

domenica 17 marzo 2024

YPRES

1453_YPRES . Regno Unito, 1925; Regia di Walter Summers.

Curiosa operazione, almeno da un punto di vista tecnico, Ypres di Walter Summers fu un originale tentativo di raccontare la guerra in un modo che apparisse oggettivo utilizzando il mezzo cinematografico. Certo, il cinema era nato con questi crismi, si pensi ai fratelli Lumière, ma presto la narrativa di finzione aveva preso maggior campo sebbene negli anni venti del XX secolo cominciò a farsi strada un utilizzo del genere documentaristico più consapevole e, in un certo senso, strumentale. Forse Ypres potrebbe rientrare in questi esempi: infatti, è proprio la sua stessa messa in scena, la prospettiva dello sguardo, che ne rivelava la faziosità, la partigianeria, anche comprensibile vista l’epoca di realizzazione. In questo senso il film di Summers amplifica un concetto presente nel genere cinematografico dei veri documentari: il documentario cinematografico sembra una realizzazione oggettiva della realtà, ma non lo è mai. Le scelte autoriali (montaggio, inquadratura, sonoro, eccetera) sono comunque sempre presenti e sono sempre soggettive riferite al regista. Ecco, allo stesso modo ma ancora in maniera più estrema, se come riferimento pensiamo di prendere la realtà, Ypres sembra un documentario, ma non lo è. In sostanza: se il documentario sembra raccontare la realtà ma non è e non può mai essere la cruda cronaca, Ypres prova a spacciarsi per documentario ma non raggiunge neanche quei requisiti necessari. Anche se ci sono scene degli scontri prese dal vero, anche se alcuni protagonisti sono proprio ex combattenti delle varie battaglie di Ypres: questi stratagemmi produttivi indicano unicamente la volontà di spacciare il film come un reale resoconto dei fatti. Ad un certo punto è mostrato un presunto giornale tedesco originale scritto con elaborati caratteri gotici e poi si vede la versione tradotta in inglese realizzata in modo assai più spartano. L’impressione che ne deriva è di puro realismo, sebbene non sembra troppo credibile che la produzione non potesse permettersi di mostrare una pagina tradotta realizzata come l’originale tedesca. Piuttosto la cosa ha il sapore di una pianificata strategia per rendere il tutto più credibile. In quest’ottica si inseriscono le mappe esplicative che mostrano l’evolversi della situazione nei pressi di Ypres, laddove gli alleati resistettero alle offensive tedesche bloccandone l’approdo sulla Manica che, fosse caduto in mano nemica, avrebbe reso assai problematico l’approvvigionamento dall’Inghilterra di viveri, armi, munizioni, oltre che di uomini. Le cartine chiariscono gli avvenimenti e supportano la credibilità storica. 

Anche la scelta della mancanza di una storia privata che si stagli sullo sfondo degli avvenimenti storici, sembra presa nell’ottica di prendere le distanze dalla finzione per rafforzare quella di testo attendibile. Sempre su questa linea strategica si inseriscono le altre scelte produttive: manca completamente un cast come si intende oggi e non c’è nemmeno uno sviluppo narrativo che non sia lo scorrere degli eventi bellici nell’area del Saliente di Ypres nel corso della Grande Guerra. Va ricordato che Ypres è del 1925 e, quindi, è ancora un film muto: questo poneva problemi dal punto di vista della fruizione. Siamo infatti di fronte ad una sorta di documentario di quasi due ore, come detto senza sonoro ma accompagnato eventualmente dal pianoforte, intercalato dalle didascalie su cui gravava già il difficile compito di riassumere i dati salienti nei raccordi storici tra i vari filmati. Per alleviare un po’ la visione c’è più di un passaggio leggero, dalla comica slapstick del soldato che scivola nel fango di una trincea sotto il fuoco di un cecchino, ai giochi di parole utilizzando le didascalie e le incomprensioni tra le lingue differenti delle parti in lotta. All’ironica e retorica domanda di un soldato britannico se ci fosse qualcuno nella ridotta tedesca, i soldati di Guglielmo II rispondono spaventati “Nein! Nein!”, confermando, tra l’altro, l’impressione che il film non li dipinga certo come campioni dell’evoluzione umana. 

Ben più raffinata è la descrizione riservata ai sudditi di sua maestà che, equivocando di proposito sul suono della parola tedesca ‘nein’, fingono di intendere ‘nine’, (ovvero nove, in inglese), e decidono quindi di buttare la bomba a mano. In un certo senso della stessa matrice è lo sdegno mostrato dal comando militare e dalla stampa tedeschi per le incursioni notturne delle Black Troops, gli assaltatori mascherati di nero che terrorizzavano le trincee nemiche. La critica tedesca a questi attacchi è vista come il frignare di un bambino monello che, all’imbrunire, si scopre aver paura del buio. Probabilmente nel computo generale il film è troppo sbilanciato, con l’attenzione alle decorazioni dei valorosi britannici (insigniti della Victoria Cross), l’elogio di ringraziamento alle truppe del Commonwealth, (canadesi e company) mentre nessun titolo di merito viene tributato al nemico. Come detto il docu-fiction era già un genere codificato (Robert J. Flaherty) e, nel complesso, il fatto di essere fazioso non disturba più di tanto, in Ypres, in quanto i tempi legittimavano quel tipo di sguardo sugli eventi. Poi, per carità, La Grande Parata uscì in quello stesso 1925 ma King Vidor come autore era un gigante e nel cinema c’è posto anche per visioni più limitate. Come quella di cui Ypres è intriso. 

Nessun commento:

Posta un commento