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lunedì 26 ottobre 2020

RAMSON - IL RICATTO

656_RAMSON - IL RISCATTO (Ramson). Stati Uniti, 1996. Regia di Ron Howard.

Ron Howard è certamente un bravo regista ma, in genere, gli manca il guizzo decisivo, la capacità di cogliere pienamente i frutti della sua semina, spesso superiore, almeno potenzialmente, al raccolto finale. E’ il caso anche di Ransom – Il riscatto dove, nel momento in cui poteva completare un inquietante aggiornamento del genere crime-movie, (del resto si tratta del remake de Il ricatto più vile di Alex Segal, anno 1956), Howard tentenna e si lascia prendere la mano dal protagonista del suo film, Mel Gibson, che risolve banalmente la questione alla maniera di Arma Letale. La presenza di Gibson nei panni del protagonista della vicenda, il magnate proprietario di una compagnia aerea privata Tom Mullen, era già un campanello di allarme sul possibile andamento muscolare della vicenda ma, almeno fino alla svolta decisiva, la storia sembra molto intrigante. Come intuibile, la questione è legata ad un rapimento, nello specifico del piccolo Sean (Brawley Nolte), il figlio di Mullen, ad opera di una banda criminale organizzata dal detective di polizia Shaker (Gary Sinise). La scena del rapimento al Central Park, la storia è ambientata a New York, con Mullen e la moglie Kate (Rene Russo) prima solo preoccupati e via via sempre più angosciati, è molto buona e instrada bene la storia sui canali di una suspense martellante. Howard è particolarmente duro nelle scene, quelle col ragazzino prigioniero sono piuttosto violente, senza però alcuna ombra di quella complicità tipica di molti film noir anni ’90, aiutato, in questa linea più cruda, dalla fotografia di Piotr Sobocinski e dalle musiche di James Horner e Billy Corgan. 

La faccenda si complica quando veniamo a scoprire che Mullen non è quel pulito self made man che ci avevano presentato nello spot della sua compagnia area, ad inizio pellicola; ha pagato le sue belle mazzette e per di più qualcun altro è in galera al suo posto. Ed è proprio questa sua propensione all’aggiustare le cose aprendo il borsino che induce il detective Shaker ad organizzare il rapimento: Mullen è uno che paga, deduce il poliziotto corrotto.  Il ragionamento non fa una piega: se il magnate ha pagato per salvare l’azienda dallo sciopero a maggior ragione pagherà per la vita del proprio erede; un paio di milioni di dollari, nemmeno tanto. E infatti Mullen si convince a pagare, ma ci sono troppi granelli di sabbia nell’ingranaggio dello scambio riscatto/ragazzino rapito: c’è l’FBI che non se ne sta certo con le mani in mano e ci sono i sequestratori, che hanno l’ordine di uccide comunque l’ostaggio, tra cui la donna di Shaker, Maris (Lili Taylor), è la più risoluta nel proposito di eliminare rapidamente il pericoloso testimone. Fatto sta che lo scambio salta, le intenzioni dei rapitori di uccidere comunque il piccolo Sean sembrano evidenziarsi in modo netto e la situazione si inasprisce pesantemente. A questo punto, guardando una schiera di televisori in vetrina che diffondono il notiziario, Mullen ha una bella pensata: fa un pubblico annuncio televisivo in cui pone i 2 milioni di dollari preparati per il riscatto, come taglia per chi aiuta a catturare il capo dei rapitori. 


Di qui la situazione precipita ulteriormente, anche perché la svolta narrativa si basa su un assunto un po’ azzardato: allo spettatore appare chiaro che i rapitori uccideranno comunque Sean, perché la cosa è ribadita più volte nei dialoghi tra di loro ma è difficile credere che i genitori possano dare per certo un’opzione così devastante. La mossa di Mullen di promettere la taglia è funzionale, in quanto pone in difficoltà i rapitori, ma chi metterebbe ulteriormente a rischio la vita del proprio figlio, potendo cullare la speranza di sbagliarsi nel ritenere che i rapitori lo ucciderebbero comunque? Questa forzatura danneggia soprattutto l’interpretazione di Gibson che esaspera via via il suo registro, finendo per perdere il filo della credibilità; meglio la Russo, in questa per altro complicatissima, da rendere sullo schermo, prova recitativa. 

A quel punto la storia potrebbe ancora salvarsi, quando il detective Shaker decide di ritornare scaltramente dalla parte dei buoni, eliminando i complici e presentandosi addirittura a casa Mullen per ricevere quei famosi milioni di dollari (ora divenuti quattro, in seguito all’escalation generale del film che ha contagiato anche le cifre in ballo) non più come riscatto ma come premio. Sarebbe una beffa atroce, per Mullen, ma anche giusta, in un certo senso; certo, Shaker rapitore di bambini e assassino senza scrupoli che si gode la fama di eroe e i 4 milioni di dollari sarebbe obiettivamente troppo ma anche Mullen che ricompone la famiglia con Sean sano e salvo, mentre qualcuno marcisce ingiustamente in prigione al suo posto (il tipo implicato nella vicenda delle mazzette per lo sciopero, non ce lo dimentichiamo), non è che sia poi così edificante. 

E poi, da un certo punto di vista, il parallelo tra le due condizioni di Muller e Shaker, potrebbe essere salubre: evidenzierebbe il marcio nella posizione del magnate capitalista. Invece Howard e Gibson preferiscono dare una risistemata a colpi di pistola e cazzotti, con Mullen che si riscopre arma letale e batte sul tempo tutti gli agenti di polizia per freddare il rivale. Alla fine, il colore della pellicola si desatura quasi fino al bianco e nero, riportandoci alle immagini iniziali, quelle che sembravano materializzare il racconto, citato anche da Shaker, La macchina del tempo di H.G. Wells, quello con il mondo diviso in due livelli, quello superiore abitato dai nobili Eloi e il sottosuolo abitato dai mostruosi Morlock. L’immagine di Mullen imbrattato di sangue chiarisce dove è stato l’errore capitale nella strategia di Shaker. Il detective, riteneva Mullen un Eloi, un debole, uno che cede, che paga il riscatto. Avesse studiato in Italia, saprebbe quasi sicuramente che i capitalisti sono abitualmente identificati con il termine squali, e quindi Mullen sarebbe piuttosto, reggendo il paragone del detective, un perfetto esemplare MorlockAnche se poi è tutto il paragone ad essere sbagliato: l’America degli anni ’90 potrebbe essere sì come la terra del futuro del libro di Wells, ma solo dopo che i Morlock si fossero mangiati tutti gli Eloi.     

Rene Russo




Lili Taylor



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