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sabato 2 maggio 2020

LA VENERE DI CHERONEA

562_LA VENERE DI CHERONEA ; Italia 1957. Regia di Giorgio Venturini e Victor Turzanskij.

Mentre sul sito IMDB (Internet Movie Data Base) troviamo che la regia de La Venere di Cheronea è opera di Fernando Cerchio e Viktor Turžanskij , sui manifesti e locandine, accanto al nome del regista russo esule, troviamo quello di Giorgio Rivalta. Che poi era lo pseudonimo del produttore Giorgio Venturini: insomma, non c’è troppa chiarezza riguardo alla paternità del film anche se rimane certo l’apporto di Turžanskij. Diventa formalmente difficile valutare la regia di un’opera che già si presenta in modo così confuso, soprattutto perché poi, sullo schermo, una certa vaghezza artistica rimane a contraddistinguere questo La Venere di Cheronea. Peccato: considerato alcune premesse, il film avrebbe potuto essere di ben altro spessore rispetto a quello che è poi rimasto sulla pellicola. Intanto perché c’è Belinda Lee, ovviamente negli esigui panni della Venere in questione, che altri non è che una fantastica modella dell’epoca ellenica. Belinda era, insieme alla più celebre Diana Dors, la risposta britannica alle dive platinate americane e, in quel periodo, stava furoreggiando soprattutto in Italia. La sua carriera verrà stroncata pochi anni dopo, nel 1961, a causa di un incidente d’auto; nonostante gli oltre 30 film in sette anni, di cui una dozzina nel belpaese, il suo ricordo è comunque inferiore all’impatto che fa sullo schermo. La Venere di Cheronea è un peplum ambientato in epoca ellenica che, purtroppo, si riduce all’occasione di vederla scorazzare con un abito discinto sullo schermo, il che non è certo un male, sia chiaro. Però nelle premesse l’opera lasciava intendere che ci potesse essere qualcosa di più. 

Il protagonista maschile è Massimo Girotti nella parte di Prassitele, il famoso scultore dell’antichità e, in avvio, il film sembra poter esplorare il rapporto tra la bellezza e l’artista e, su un altro piano, tra l’arte e gli altri modi di approcciarsi alla vita. Il primo confronto è concretizzato nella difficoltà di Prassitele nel gestire la relazione con la modella Iride, il personaggio della Lee: invaghito dall’idea di bellezza che la ragazza incarna, è troppo occupato a reinterpretarla nella scultura per poterla corteggiare a dovere. Il rapporto rimane così platonico: il che, da un certo punto di vista, nobilita l’animo di Prassitele, che non era cioè solito approfittare delle occasioni artistiche o professionali. Ma questo comportamento lascia campo libero a Luciano, macedone ferito che viene ospitato e curato nella casa dello scultore. L’arrivo di Luciano, che è un soldato, mette a confronto gli ideali di pace universale, dettati dalla bellezza e che animano Prassitele, a quelli più prosaici del macedone. Il quale, pur essendo nemico, non è così denunziato dallo scultore ai soldati ateniesi; Prassitele è un artista, un uomo che insegue l’ideale della bellezza assoluta e che è contrario alle meschine beghe terrene. A differenza di Luciano che, da buon soldato, non perde tempo e approfitta dell’ospitalità per corteggiare spudoratamente e quindi conquistare il cuore della bellissima modella. Il film si trasforma quindi in un melò e l’entrata in campo dell’amore, inteso come viva passione, fa deragliare persino la moralità di Prassitele. 

Non è che il nobile sentimento venga dipinto in modo negativo ma piuttosto se ne sottolinea l’ingovernabilità, tanto che anche la pacifica villa dello scultore diventa un luogo dove si concretizzano l’odio e il tradimento. Va detto che, il film,  non riesce a reggere l’imbastitura orchestrata con un adeguato sviluppo narrativo. Emblematico, forse, di un certa trascuratezza generale è il fatto che le scene della battaglia finale tra Macedoni e Greci non siano nemmeno mostrate, passando direttamente ad una sorta di resa degli ellenici. Verso la conclusione la storia riprende vigore, soprattutto grazie ad Iride che, appreso della morte di Prassitele, è colta da sentimenti contrastanti, tra cui il rimorso per l’odio covato verso lo scultore, reo, ai suoi occhi, di aver tradito Luciano. 

Qui sarebbe stato necessario un po’ più di coraggio per finire il film dando alla figura della Venere di Cheronea una statura tragica ma la scelta sarà per un lieto fine di prammatica. E’ chiaro che l’happy ending è la scelta per il pubblico pagante, ma finisce per svilire anche il finale che invece aveva provato a riabilitare il film. Infatti Iride, nonostante abbia ritrovato Luciano, sembra volersi gettare dagli scogli: in questo si può leggere la conferma che, anche secondo gli autori, il lieto fine non è la conclusione opportuna. Iride incarna la figura di una dea materializzando, in carne e ossa, le pretese artistiche di Prassitele: un finale drammatico la eleverebbe al di sopra delle normali eroine di tanti finali melensi. Ma lieto fine sarà perché troppo spesso, a Cinecittà, non solo gli autori ma anche le dee dovevano piegarsi agli interessi del botteghino.  

    
Belinda Lee






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