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mercoledì 6 maggio 2020

LE MIE DUE MOGLI

565_LE MIE DUE MOGLI (My favorite wife); Stati Uniti 1940. Regia di Garson Kanin.


La commedia Le mie due mogli dura quasi un’ora e mezza. Eppure la trama è presto detta: Elena (Irene Dunne), torna da un naufragio dopo sette anni e trova che il marito Nick (Cary Grant) si è appena risposato con Bianca (Gail Patrick). Ovviamente non è nel tessuto della vicenda che una commedia ha il suo punto di forza, ma qui siamo agli estremi. Anche perché alcuni aspetti del plot narrativo, ad esempio che Elena si era lanciata in una spedizione scientifica, (con due bambini piccoli in casa; il che, volendo vedere, nei primi anni quaranta è un bell’ardire), sono solo dettagli che apprendiamo dai dialoghi, ma sono avvenuti prima del racconto filmico in questione. Inoltre, a Nick, basta soltanto guardare Elena appena ritornata per scoprirsene ancora innamorato, e in questo è anche più rapido del cane di casa che in un primo momento stenta a riconoscerla. Anche gli ostacoli burocratici (o meglio legali, visto che la bigamia è un reato) sono occasione giusto per qualche sketch umoristico col giudice (Granville Bates). Perché tutto il film verte sui battibecchi tra Elena, un po’ risentita col marito per averla scaricata, e Nick, che invece sostiene di esserla andata a cercarla con la nave, al tempo, e di averla attesa per ben sette anni. La superba bravura in cabina di regia di Garson Kanin, già eccellente sceneggiatore di commedie, è proprio la capacità di giostrare gli elementi, perlopiù sentimentali ed emotivi, tenendoli sempre sulla corda. In questo senso emblematico, e a quel punto anche manifesto, il rammarico di Elena, nel finale, quando pensa di averla tirata troppo, quella corda, ed essere quasi arrivata a rompere il rapporto col marito. 

Naturalmente non è così; per la commedia, per definizione, si prevede sempre il lieto fine, e non potrebbe certo essere Kanin a non rispettarne la tradizione. Questo sublime equilibrio, che permea tutto il film, si può riscontrare anche nell’assenza di personaggi negativi: perfino a Bianca, la nuova moglie di Nick, non ha alcuna colpa specifica. Così come Stephen (un aitante Randolph Scott), compagno di naufragio di Elena, galante ed interessato, ma davvero signorile nel rispettarne la virtù. Tutte le figure coinvolte hanno quindi le loro ragioni e se la scelta dei favori della storia cade su Elena, può forse esserci un significato oltre alle questioni strettamente legate all’esile trama del film. Nel 1940 furoreggiava la seconda guerra mondiale; moltissimi uomini erano partiti dagli Stati Uniti verso il fronte, in Europa o nel Pacifico. 

Nel frattempo, le americane si davano un gran da fare nell’industria bellica, tanto che la loro evoluzione professionale si rifletterà in quella che forse è la più rapida accelerazione nell’emancipazione sociale della donna della Storia. Ma questa situazione poteva, (e lo avrebbe fatto) mettere in crisi l’istituzione famigliare, basata da secoli su una stabile e canonica impostazione: la commedia americana, un genere graffiante, coglie al volo questa opportunità, cristallizzando il fenomeno ma cercando anche di mantenerlo entro certi limiti. La commedia americana è infatti un genere che si diverte in un’opera di decostruzione di ciò che poi tende a ricomporre, magari con un lieve ma significativo cambiamento, per il lieto fine. In questo caso l’emancipazione della protagonista, che va addirittura in una spedizione scientifica (a simboleggiare l’intraprendenza delle donne nelle fabbriche belliche del periodo), e la lontananza tra marito e moglie (qui a causa di spedizione e naufragio, nella realtà storica per via degli uomini al fronte), creano problemi alla struttura famigliare. Bianca, la soluzione che Nick trova ad inizio film, diversamente da Elena, è la donna in senso più classico, almeno per come inteso fino ad allora: bella, (non che la Dunne sia brutta, in verità), elegante, attraente, ma in modo un po’ passivo, nel senso che è l’oggetto del desiderio di ogni uomo. Certo Elena mostra tutt’un’altra intraprendenza, anche nel riprendersi il marito. 

Saggia, come del resto tutta l’impostazione dell’opera, anche la scelta delle due attrici rivali: la Dunne è una bella donna, ma ha anche un fascino pratico, da persona concreta. Gail Patrick è di una bellezza più fatale: ma Le mie due mogli non è un noir e, in una commedia, il suo ruolo è quello sbagliato. Insomma, sotto la veste di un’innocente commedia ad Hollywood sapevano produrre opere molto interessanti, oltre che lavorate in ogni dettaglio. Garson Kanin alla regia era valido, ma soprattutto era un eccellente sceneggiatore e questo è sempre un elemento di solidità nella struttura di base di un film. Inoltre, alla scrittura dell’opera misero mano i coniugi Spewack, Sam e Bella, che presero una nomination all’Oscar, oltre ad un altro notevole cineasta del calibro di Leo MaCarey. Ma tutti gli aspetti della produzione videro all’opera autori di primo livello: Rudolph Maté alla fotografia, Robert Wise al montaggio, Roy Webb alle musiche. E se la storia sembra essere esile, è perché venne fatto un notevole lavoro di sintesi: cinema di Hollywood di primissima scelta. 






Irene Dunne



Gail Patrick




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