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mercoledì 20 maggio 2020

LA TIGRE E' ANCORA VIVA - SANDOKAN ALLA RISCOSSA

571_LA TIGRE E' ANCORA VIVA - SANDOKAN ALLA RISCOSSA ; Italia, 1978. Regia di Sergio Sollima. 

A poco più di un anno di distanza dalla trasmissione televisiva della sceneggiato Sandokan, il regista Sergio Sollima certa di riproporre, stavolta direttamente per il grande schermo, la ricetta che ha avuto un così grande successo popolare. Diciamo subito che se si vede questo La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa! avendo ancora negli occhi l’originale, non si può non rimanere delusi. Ed è un peccato perché, tutto sommato, questo secondo episodio dell’eroe di Emilio Salgari nell’interpretazione di Kabir Bedi è un film piacevole. Fatica un po’ a carburare ma poi, quando arrivano le scene di battaglia (in questo caso spesso un po’ troppo debitrici agli spaghetti-western), e si rivedono in azione, insieme alla Tigre della Malesia, Yanez de Gomera (Philippe Leroy), Tremal Naik (Kumar Ganesh) e tutti gli altri, forse complice la nostalgia, ci si appassiona anche a questa nuova avventura dei Tigrotti di Mompracem. Operazione nostalgia a parte (carta per altro giocata in modo spudorato e consapevole da Sollima), il regista è nel complesso bravo e riesce a mettere a segno almeno una scena di grande efficacia emotiva: la morte della giovane Mita, uccisa per mano dei Rangers di James Brooks (Adolfo Celi). In ogni caso tutto il finale del film è un crescendo avvincente al quale però manca la stoccata finale: Brooks che se ne va su una barca ammettendo la momentanea sconfitta non ha certo una resa adeguata e nemmeno ce l’ha può avere l’ipotetica storia d’amore tra Sandokan e Jamilah (una Teresa Ann Savoy che non regge nemmeno lontanamente il ricordo della perla di Labuan). 

Così questo La tigre è ancora viva: Sandokan alla riscossa! deve andare in archivio con un più di un rammarico, il minore dei quali è la delusione dello spettatore. Perché la tiepida accoglienza nelle sale del film, che fa seguito a quel Corsaro Nero che è un altro mezzo fiasco di Sollima girato nella speranza di sfruttare la scia del successo televisivo di Sandokan, ci dà un po’ la cifra della qualità dei produttori nostrani. Se lo sceneggiato televisivo Sandokan è stato un successo senza precedenti, lo si deve non certo al caso o alla fortuna; e nemmeno al soggetto di base, perché il testo salgariano ha subito un trattamento adeguato, che pur senza stravolgerne i temi, li ha resi congeniali al media televisivo. Insomma il risultato è merito proprio della realizzazione tecnica dell’opera: ben quattro anni, con la troupe stanziata per otto mesi nell’estremo oriente, le scenografie, la scelta del cast, la musica, tutto fu studiato e sviluppato alla stregua di un vero e proprio kolossal. 

Questo è il motivo del successo di Sandokan, un’opera dove l’impegno profuso dalla produzione esaltò il talento del regista e degli attori. Ottenuto il meritato riconoscimento, ci si aspetterebbe che si pensi a ripetere la formula, al massimo migliorandola laddove fossero emersi dei limiti. Ma no, perché darsi tanta pena? Il produttore italiano pensa subito a sfruttare quel lavoro il più velocemente possibile, tanto che nell’arco di un anno, escono non uno ma ben due (il secondo Sandokan e Il Corsaro Nero, che vede impegnati Kabir Bedi e Carole André) tentativi di ripetere il successo dello sceneggiato. Ma è possibile in così pochi mesi ripetere un exploit che al contrario aveva richiesto anni? No; e il dramma è che facilmente gli stessi produttori che hanno organizzato tutto ciò, metteranno poi una pietra sopra al genere piratesco con la presunta motivazione che non piace al pubblico.


Teresa Ann Savoy



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