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giovedì 26 ottobre 2017

IT (CAPITOLO 1)

12_IT (It: Chapter One). Stati Uniti, 2017;  Regia di Andrés Muschietti.

Abitualmente è giusto riconoscere una decisa autonomia ad un’opera rispetto alle fonti che l’hanno ispirata: è naturalmente anche questo il caso e, quindi, It: capitolo 1 di Andrés Muschietti è un film da attribuire in toto al regista argentino, cercando di non scomodare troppo il romanzo da cui è stato tratto, il capolavoro omonimo di Stephen King. E’ anche vero che se ti prendi la briga di adattare il tomo leggendario da 1200 pagine del maestro dell’horror letterario, inevitabilmente ti accolli una serie di ingombranti effetti collaterali. Certo, in questi casi, viene sempre in mente la storia delle due capre di Hitchcock, quelle che stavano mangiando le bobine di un film tratto da un best-seller e, ad un certo punto, una diceva all’altra: ‘personalmente preferisco il libro’; e bisognerebbe anche farsi una ragione sul fatto che adattare It, il libro di Stephen King, è forse al di là delle possibilità di un film. O anche di due, come è previsto da questa produzione: ma 600 pagine a film sono comunque davvero troppe, se a scriverle è un autore come King. Rimanendo per ora a It: capitolo 1, se la si intende come (parziale) versione cinematografica del romanzo, ci troveremo al massimo gli echi, le armoniche, di quella paurosa ma al tempo stesso struggente atmosfera che permeava le pagine kinghiane; e non è possibile, tanto per fare un esempio tra i tanti, innamorarsi di Beverly, guardando il film, seppure la giovanissima Sophia Lillis è deliziosa. Però in questo modo si rischia davvero troppo di fare il verso alle capre hitchcockiane e, quindi, è meglio concentrarci su quanto alla fin fine Muschietti mostra sullo schermo per quella che è la sua versione dello scontro tra Pennywise e il club dei perdenti.

Il film parte forte, e ci sono alcune scene davvero di notevole impatto: da quella della barchetta di Georgie, alle varie successive apparizioni del pagliaccio di Derry, ci sono moltissimi passaggi da pelle d’oca assicurata. Forse uno dei problemi è che il regista spara troppe cartucce nella prima parte e nel finale arriva un po’ col fiato corto, senza più assi nella manica. Il tema della paura, che è comune a tutta la comunità, dai bulli ai perdenti, ai genitori che fingono di non vedere le sparizioni dei ragazzi per non affrontare la realtà, è intrinseco alla storia, e Muschietti alla fine prende una scelta coerente con questo argomento, ma che risulta di minore impatto: le scene del pagliaccio sono più efficaci all’inizio, quando i ragazzi sono terrorizzati da lui, mentre nel finale, man mano che i perdenti si fanno sempre più coraggio, vanno via via scemando di intensità, e questo non favorisce certo un finale all’altezza.

Insomma, il film è un onesto film horror, e di questo bisogna essere grati ad autori e produttori, perché è un genere che è sempre bello vedere fatto con passione e professionalità. Ma più di così non si può concedere, sul piano qualitativo dell’opera. Forse di più era anche difficile chiedere, probabilmente, per il motivo che, in un modo o nell’altro, finisce per tornare fuori. E forse torna anche in modo un po’ sconveniente: insomma, forse il romanzo It, come soggetto horror è questo o poco più. Forse le qualità del libro sono altre, e forse King è un grande scrittore, prima che un grande scrittore horror. Pensare di dare in mano ad un pur dotato semiesordiente come Muschietti un simile adattamento, era un azzardo, e alla fine ha pagato poco, almeno rispetto alle attese. Il regista argentino ha fatto un po’ di ordine, ha diviso le due grandi trame, quella del passato da quella del presente, occupandosi per ora solo della prima; e già questo denota una difficoltà nel gestire quell’intrigo narrativo che era una delle prerogative del testo di origine. L’adattamento è stato quindi, come anche  logico, una semplificazione, ma non potendo mancare il comparto di scene orrorifiche che erano apparentemente il piatto forte dell’opera, si sono tralasciate troppe delle note salienti che davano il vero peso alla storia.
E dunque è impossibile, almeno in questo caso, non concordare con la capra di Hitchcock. 


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