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martedì 17 ottobre 2017

IL TESORO DELLA SIERRA MADRE

3_IL TESORO DELLA SIERRA MADRE (The treasure of the Sierra Madre). Stati Uniti, 1948;  Regia di John Huston

John Huston ritrova tutto il talento mostrato nel suo folgorante esordio, Il mistero del falco, e, dopo qualche passaggio in tono minore, torna sugli schermi con lo splendido Il tesoro della Sierra Madre, (premio Oscar alla migliore regia). Protagonista della pellicola è ancora Humphrey Bogart, stavolta nei panni di Dobbs, un americano sfaccendato che vivacchia chiedendo l’elemosina a Tampico, in Messico. Qui conosce un altro americano, Curtin (Tim Holt) che se la passa male quanto lui; sarà il successivo incontro con il vecchio Howard (Walter Huston, padre del regista e Oscar per questa interpretazione) a dare una svolta alla vita dei due uomini. Forte dell’esperienza del vecchio, il terzetto parte per la Sierra Madre in cerca di oro; nonostante tutti gli ammonimenti di Howard in tal senso, sarà proprio la cupidigia a trasformare in tragedia questa rocambolesca avventura. Sebbene apparentemente simili nella loro condizione sociale disagiata, coi vestiti vistosamente stracci e malmessi, i tre personaggi hanno caratteristiche molto diverse tra loro: Howard è l’unico che abbia una certa consapevolezza di quello a cui vanno incontro. Ed è quello che sicuramente meglio esprime il senso dell’avventura, della voglia di vivere, di viaggiare, di lavorare, e di fare tutto questo solo per il puro gusto di farlo; in fondo egli sa’ che non diventerà ricco cercando l’oro, neanche trovandolo. Conosce anche i rischi che il prezioso metallo alimenta, trasformando, negativamente, gli uomini; anche se poi, per quello che vedremo in questo Il tesoro della Sierra Madre, l’oro avrà una responsabilità relativa nella metamorfosi di Dobbs. Curtin è un uomo in buona fede; sincero ed onesto. Vuole arricchirsi, come tutti, ma non mette questo davanti a valori come lealtà o amicizia.

Diverso il caso di Dobbs: in principio è molto permaloso e appena qualcuno accenna una critica o lo apostrofa appena un po’ malamente, reagisce con violenza. Ma il suo carattere è sostanzialmente di tipo opportunistico; sarebbe superficiale pensare che sia davvero l’oro a trasformarne il comportamento. Anzi, questo è il vero pregio dell’opera di Huston: ovvero la mancanza di giudizio morale sul metallo aurifero o sugli effetti che questi ha sulle persone. L’oro è infatti visto dal regista come un acceleratore, un amplificatore, ma non il vero responsabile della cupidigia umana. Questa è già presente nel soggetto, e il prezioso metallo semplicemente alimenta la possibilità che questa tendenza si manifesti. Il comportamento di Dobbs è dubbio, doppio, sin da subito: maltratta in modo veramente eccessivo il bambino che vende biglietti della lotteria, ma poi vi si congratula (e gli da’ pure la mancia) per la vincita; è pronto a mettere più soldi del partner nella società, ma glielo rinfaccia quando le cose girano male. Anche il fatto di chiedere abitualmente la carità, stigmatizzato nella pellicola dallo stesso regista in persona, serve a dimostrare come il rispetto verso se stesso dell’uomo è in funzione delle circostanze: a mal partito si può anche umiliarsi chiedendo l’elemosina. E ancora: pur vantandosi a parole di essere un uomo corretto, non si fa scrupolo ad attaccare due contro uno il truffatore, nella parte iniziale ambientata a Tampico. Bogart è formidabile, perché delinea molto bene questo ambiguo personaggio, che certamente, ad un determinato punto, varca definitivamente la linea fino a perdere totalmente il lume della ragione.Ma i segni premonitori c’erano già tutti.

In questo senso, si diceva, il film ha una grandezza epica: il ritratto degli effetti della ricchezza (qui rappresentata dall’oro ma valevole per qualunque altra sua forma) sull’animo umano è mostrato con lucido rigore da Huston, che evita di dare un’ottica morale o etica, ma lascia piuttosto parlare i fatti. Questi pregi vanno decisamente al di là della difficoltà che la realizzazione del film, svolta tutta in esterni e in territorio messicano, lascia poi in eredità sulla pellicola. Al contrario, si può dire, che alcuni passaggi siano molto realistici, e contribuiscano a rendere anche visivamente il film scevro da certi moralismi hollywoodiani. La storia solida è ben sceneggiata dallo stesso regista, che è premiato per questo suo lavoro dal terzo  premio Oscar di questa pellicola, in questo caso alla miglior sceneggiatura non originale; l’importanza del lato avventuroso è forse l’elemento che preme maggiormente a Huston, per il quale vale la pena di rischiare non solo la pelle contro i banditi o le difficoltà ambientali, ma anche le tentazioni della ricchezza. L’oro, il denaro, o in generale la ricchezza non sono visti dall’autore come un obiettivo da raggiungere (nonostante i protagonisti facciano i cercatori), ne da evitare per il potere  di influenza maligna che esercitano: il denaro è un rischio, secondo Huston, e come tutti i rischi, il bello è affrontarlo.                                                                                             

                                 

                                                                                                                                                 

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