Translate

mercoledì 18 ottobre 2017

OSSESSIONE

4_OSSESSIONE; Italia, 1943.  Regia di Luchino Visconti.

Siamo a bordo di un camion che viaggia nella bassa, la parte più estrema della Pianura Padana; sul cassone posteriore c’è un clandestino che, alla stazione di servizio, viene scoperto e fatto sloggiare. Sono passati solo pochi istanti del film Ossessione di Luchino Visconti, e la macchina da presa dell’autore lombardo mette già a segno un paio di passaggi decisivi: una gru sale sopra il camion, inquadrando il piazzale della stazione fino a fermarsi sulla porta dello spaccio; poi l’uomo scacciato dal camion appare sullo schermo. E’ lui, questo vagabondo, il nostro uomo: attratto dalla necessità di mangiare un boccone più che dalle note della Traviata che si sente ancora in sottofondo al pianoforte, entra quindi nel locale. Qui è un'altra musica che quasi lo attira in cucina; Fiorin fiorello, una canzonetta assai meno nobile dell’opera verdiana, ma comunque attinente. La macchina da presa segue l’uomo che, monete alla mano, cerca qualcosa da mangiare ma, nella porta della cucina vede una snella gamba ciondolante che introduce la donna della nostra storia: Giovanna (Clara Calamai.) Un primo piano sul volto della donna, che ha un sussulto nel vedere il nuovo venuto; poi in controcampo un breve carrello a sottolineare anche il viso dell’uomo (che vediamo adesso essere Massimo Girotti). La padronanza dei mezzi di Visconti è già mostrata in questo folgorante inizio: il resto del film, potremmo dire è la semplice raccolta di questa fruttifera semina. Manca solo da sapere che l’uomo grasso, Giuseppe Bragana (Juan de Landa), è il marito di Giovanna, e il quadro è fatto. Il soggetto che ha ispirato l’opera è Il postino suona sempre due volte di James M. Cain e al regista lombardo bastano pochi minuti per tracciarne i sommi capi sullo schermo. La raffinatezza formale non è però il motivo dell’importanza dell’opera: Ossessione è cruciale perché sancisce un nuovo modo di fare Cinema nel belpaese, un modo colto, competente, intelligente, ma anche profondamente critico e severo nei confronti della società italiana.

E’ semplice notare la differenza con il cinema dei telefoni bianchi, che illudeva la penisola di vivere in un benessere diffuso, compiacendo in questo il regime del ventennio. Ossessione è un film ambientato in un paesaggio povero, sporco, malmesso. Le strade sono insicure, i mezzi mal funzionanti, la gente vestita in qualche modo, le case spoglie, disadorne. La natura triste e dimessa della bassa, non lascia vie di fuga se non l’unica strada. Questa semplice ambientazione contrasta quindi con i dettami del regime, il che, in pieno 1943, era ancora una presa di posizione in controtendenza. Il tema dell’attrazione sessuale poi, per altro congenito al soggetto, è trattato da Visconti in modo decisamente audace: se le donne del film, oltre alla Calamai c’è anche Dhia Cristiani nei panni di Anita, sono mostrate in tutta la loro sensualità, il vero motore del desiderio è il corpo di Gino (come si scopre in seguito essere il nome del personaggio interpretato da Girotti). L’uomo è spesso mostrato con indumenti attillati, quando non in canottiera, tanto che Giovanna ne nota subito la prestanza: hai le spalle di un cavallo, gli dice durante il primo incontro. E proprio l’attrazione reciproca tra i due giovani, va a scardinare un caposaldo della struttura sociale italiana, la famiglia. La famiglia è subito inquadrata in modo anomalo da Visconti, che propone una coppia (Giovanna e il Bragana) formata per interesse, economico da parte di lei, estetico o di comodo da parte del marito. Ma in nessun caso c’è sentimento. L’arrivo di Gino scatena la passione di Giovanna, solo in seguito corrisposta da parte dell’uomo, ma a quel punto davvero nel profondo, in quello che si può intendere un primo significato del titolo Ossessione. La famiglia più canonica che va a formarsi verso il finale del film, Gino, Giovanna e il figlio in arrivo, nasce su più di un presupposto immorale (l’adulterio, l’omicidio) e non può che finire nel peggiore dei modi, con un incidente che, per una sorta di contrappasso, punisce Giovanna e il figlio che ha in grembo nello stesso modo in cui è stato eliminato il marito. Gino sopravvive, ma è catturato dalla polizia, e in ogni caso, le morti della donna amata e del figlio, ne sanciscono la totale assenza di futuro.
La critica di Visconti non si limita però alla sola famiglia: anche la morale individuale, l’etica dei personaggi, è praticamente assente nei tre protagonisti principali. Limitiamoci al primo giorno: Gino non esita a rubare un pezzo meccanico del motore dell’automezzo del Bragana, per poter facilmente ripararlo in seguito; e non perde l’occasione per approfittare della moglie dell’uomo appena gliene capita l’occasione. Giovanna intasca i soldi da Gino per il vitto, ma mente al marito accusando il forestiero di non aver pagato; da parte sua si capisce subito che il Bragana non è un uomo propriamente cattivo, ma piuttosto un sempliciotto, pronto ad accusare senza motivo uno sconosciuto di essere un ladro, ma di fraternizzare, altrettanto senza motivo, con un camerata. Nessuno dei protagonisti del tragico triangolo amoroso ha quindi in principio uno stato di moralità almeno sufficiente: forse, i due giovani in qualche modo provano ad evolversi, ma non sembrano esserci vie di uscita praticabili. Gino prima cerca di dimenticare Giovanna, in seguito è tormentato dal rimorso (questa la possibile seconda lettura del titolo Ossessione); stralci di buone intenzioni si trovano nella sua condotta. Quando si arrabbia per la scoperta del premio sull’assicurazione, sembra invece difendere il proprio orgoglio di maschio più che non la propria dignità di uomo. E’ comunque vittima del desiderio e Giovanna riesce, prima con le armi della seduzione, poi con la prospettiva di una famiglia, a condizionarlo. La donna ha poche attenuanti, a fronte dell’omicidio e dell’adulterio, se non il non avere alternative nella ricerca della felicità. In questo senso la passione di Giovanna è genuina, il suo è amore, che, per quanto dia il via al torbido intrigo, è una delle poche luci positive nell’intero film. Bragana è invece ottuso, non vede più in là della propria pancia ed è il personaggio certamente meno interessante del trio: la sua è la mediocrità dell’uomo comune, dell’italiano medio, quello che pensa solo per sé, incurante di tutto ciò che gli accade intorno. La famiglia non è la sola istituzione tradizionale vista in ottica non certo benevola da Visconti nel lungometraggio: su tutta l’opera grava un senso di controllo, quasi di minaccia da parte delle autorità. Per quanto abbiamo visto i due giovani non siano eticamente dei modelli di virtù, la loro umanità ce li rende prossimi, vicini: e numerosi sono i passaggi in cui anche noi, con loro, sentiamo sopra di noi una sorta di peso, di condizionamento, sia esso del regime, della chiesa o del perbenismo. Appena trovato sul camion, Gino viene accusato di essere potenzialmente un ladro; il prete consiglia ai due giovani di regolare la loro posizione; la presenza dei funzionari di polizia, e prima di loro l’investigatore che fa domande allusive; gente, quest’ultima che, per altro, fa semplicemente il proprio lavoro; come fa giustamente il suo lavoro il controllore sul treno: ma il nostro punto di vista è quello della vittima di questo sistema, e dal quale, vorremmo anche noi scappare. Ci sono un paio di possibili via di fuga, almeno per Gino, nel film: lo spagnolo (Elio Marcuzzo) e,  

forse, Anita (Dhia Cristiani) la prostituta gentile. Lo spagnolo si rivela subito solidale (paga la multa sul treno a Gino), libero, artista, forse anche omosessuale; ma questo tema, se c’è, è sottointeso; in ogni caso si rivela alternativo, anticonvenzionale. La prospettiva che lo spagnolo offre a Gino è però una possibile fuga dalla realtà, più che una nuova realtà: quando l’uomo incontra di nuovo Giovanna, questa ha il sopravvento. Questo non avviene invece nella situazione opposta; situazione che si potrebbe dire praticamente speculare: Gino è con lo spagnolo ad una festa ad Ancona e trova casualmente il Bragana con Giovanna; poi alla festa organizzata con Giovanna allo spaccio, Gino incontra lo spagnolo. In tutti i due casi, l’uomo sceglie Giovanna, prima lasciando Ancona, poi restando allo spaccio. La soluzione offerta da Anita è invece una pura illusione, la stessa illusione amorosa che può offrire una prostituta; sarà infatti la possibilità di costruire una famiglia con Giovanna, che gli dichiara di essere incinta, a riportarlo da lei. Il punto cruciale e drammatico è che queste effimere distrazioni (lo spagnolo o Anita) nulla possono contro l’unico destino possibile per l’uomo; che però è un destino tragico e senza speranza.
A fronte di un rigore formale eccellente, permeato dalla visione delle cose di Visconti e mai fine a se stesso o autocompiaciuto, il film non concede molto alla platea, dal punto di vista della narrazione leggera. Non è uno spettacolo divertente o di svago, Ossessione, quanto piuttosto un lucido esame di coscienza.
Purtroppo per noi, per niente indolore.



Clara Clalamai







Dhia Cristiani



                                                                                                                                                                                                                            

Nessun commento:

Posta un commento