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giovedì 5 dicembre 2024

CAVALLERIA

1586_CAVALLERIA . Italia 1936: Regia di Goffredo Alessandrini

Evidentemente quanto liberamente ispirato alla figura dell’eroe nazionale Francesco Baracca, Cavalleria, film di Goffredo Alessandrini, riprende per sommi capi la biografia dell’asso dell’aviazione italiana, impregnandola di una storia d’amore che ne enfatizza il rilievo romantico. E’ una scelta sacrosanta, da un punto di vista tecnico narrativo, ma che finisce per datare eccessivamente il lungometraggio. Oggi Cavalleria ben difficilmente può essere accettato dallo spettatore comune: troppo sdolcinata e tragicamente romantica la storia d’amore tra i due protagonisti per essere sopportabile. In effetti, in Italia, in quegli anni, l’ideale romantico spesso non veniva adeguatamente bilanciato, ad esempio da quel certo falso cinismo dei protagonisti dei film americani dell’epoca, e le storie finivano per grondare di buoni sentimenti, rimpianti, sacrifici e via di questo soffrire. Questo vale anche per Cavalleria, ma solo limitatamente ai rapporti tra Solaro (un pimpante Amedeo Nazzari), il personaggio che rievoca efficacemente Francesco Baracca, e la tenacemente amata Speranza (nome che è già tutto un programma, per il personaggio interpretato da Elisa Cegani). Pur innamoratissimi, i due non potranno convolare a giuste nozze perché la contessina Speranza è costretta a sposare un nobile austriaco che, grazie alle sue cospicue finanze, riuscirà a salvare dalla bancarotta il padre di lei. Tra l’altro, alla lunga, l’insistenza di Solaro nel tampinare la ragazza anche quando questa è già divenuta la consorte dell’austriaco, viene francamente un po’ a noia, anche perché, e qui è un altro limite del cinema italiano dell’epoca, in ossequio alla morale, i due non concludono poi mai niente di sconveniente (e di interessante). E quindi si finisce per sentirsi, come spettatori, come le numerose dame che vociferano e confabulano sottovoce tra loro quando i due colombi si mettono a tubare in pubblico infischiandosene dell’etichette e anche del buon senso. Insomma, uno spettegolare del tutto sterile in cui rischiamo di finire pure noi. 

Per cui, seppur la Cegani ha un suo fascino, più che altro nell’elegante e avvenente figura, il film si fa preferire nella parte biografica di Solaro, tenente di cavalleria, poi capitano e infine maggiore. Come detto l’esperienza a Pinerolo, la sua notevole abilità di cavaliere, il suo successivo passaggio a Roma prima e in aviazione poi, ripropongono in modo evidente l’esperienza militare di Baracca, sebbene l’eroe non venga citato nei crediti del film. In ogni caso la conferma definitiva l’abbiamo nel momento in cui Solaro diviene il celebrato asso italiano dei cieli nella Prima Guerra Mondiale: perché è chiaro a tutti che quel ruolo era appannaggio esclusivo del pilota che aveva come stemma il cavallino rampante. E infatti, come Baracca, anche Solaro verrà infine abbattuto prima della fine del conflitto mondiale. Alessandrini prova a iscrivere questa tragica fine nel destino dello spirito di cavalleria, in effetti del tutto tramontato dopo la Grande Guerra. Il suo protagonista, pur tra i tanti trionfi e trofeo vinti, ha infatti la vita costellata di sconfitte nei momenti cruciali. L’amore non concretizzato di Speranza (nome come detto, già indicativo), il fedele cavallo Mughetto che muore durante una gara, la sua stessa morte non molto prima della fine della guerra. Un destino sfortunato che valica i confini della storia filmica, finendo per coinvolgere anche il lungometraggio stesso di Alessandrini che, nel complesso, non merita certo l’oblio a cui è abitualmente confinato. Ma è il destino comune all’eroe che l’ha ispirato, quel Francesco Baracca che, clamorosamente e anche un po’ scandalosamente, non ha nemmeno un’opera filmica a lui dedicata in modo esplicito. Ennesima dimostrazione di come anche il cinema italiano, come il paese nel suo complesso, non sia in grado di tributare il giusto onore ai propri uomini di valore.        


Elisa Cegani 


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