IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE
1007_WINTER ON FIRE: UKRAINE'S FIGHT FOR FREEDOM. Regno Unito, Ucraina, Stati Uniti, 2015; Regia di Evgeny Afineevsky.
Dedicato alla Rivoluzione ucraina del 2014, Winter on fire: Ukraine’s fight for freedom è un documentario di grande impatto visivo opera di Evgeny Afineevsky. Distribuito sulla piattaforma Netflix, il film è un prodotto notevole dal punto di vista formale: conserva i tratti brutali propri del soggetto, la rivolta nota come Euromaidan, ed è teso ed avvincente come un film d’azione bellica mainstream. Questo aspetto non è da sottovalutare perché, oltre ad avere un evidente lato positivo nella facilità di fruizione, presenta delle insidie. E se finissimo, trasportati dall’enfasi del racconto, per perdere la lucidità richiesta invece dal genere in questione? E se l’avesse già persa Afineevsky? Intanto, per cominciare, va ricordato che il documentario storico bellico declina in chiave cinematografica i tipici problemi dei resoconti dei reporter di guerra; vale a dire, è compito dello spettatore interrogarsi sulla veridicità di quanto mostrato. Questo proprio perché il documentario, in quanto tale, ha sempre un grado di presunzione di attendibilità che, al contrario, il cinema di finzione, in senso letterale, non si pone. Sin dalla lezione di Giovanni Verga e degli autori del Verismo che, nonostante i loro sforzi, non riuscirono mai, perché è impossibile, nell’intento di fornirci un quadro oggettivo di una determinata situazione, è chiaro che qualunque tipo di resoconto avremo di fronte sarà sempre una versione più o meno parziale dei fatti. Certo, questo è un concetto teorico ma serve ricordarselo sempre, quando ci si appresta a guardare qualcosa che, in modo più o meno diretto, abbia la pretesa di assurgere al rango di verità. Come opera, in sé, Winter on fire: Ukraine’s fight for freedom, oltre alla citata cura formale, si presenta con il pedigree della Candidatura agli Oscar del 2016 nella sezione documentari, dopo essere stato premiato al festival di Toronto e acclamato in altre circostanze tra cui la Mostra di Venezia. L’impatto scenico sugli oltre tre mesi delle proteste di Euromaidan, garantito pare da una trentina di telecamere, lascia a bocca aperta: sembra di stare in piazza coi manifestanti. Uno dei testimoni intervistati racconta di un fatto specifico: ecco subito la ripresa video inerente; dovevano esserci strumenti di ripresa ovunque, verrebbe un po’ maliziosamente da pensare. Perché se non fosse che le immagini sono inequivocabilmente reali, si potrebbe intendere il filmato come una classica ricostruzione esplicativa tipica delle docufiction.Ma qualche tassello nella ricostruzione sembra mancare e l’escalation violenta è mostrata come unilaterale e questo ha poco senso pratico (leggi, credibile). Da un punto di vista cinematografico, legato al montaggio, c’è il passaggio in cui un ragazzino, una volta visto nell’incipit, ritorna poi verso la fine del documentario. In sostanza, almeno a livello tecnico, quello a cui assistiamo è quindi per lo più un flashback, uno sguardo sul passato. Come dire che, per quanto fresca, quella di Maidan è già Storia, probabilmente, ed è una scommessa facile da vincere per Afineevsky. Ma certamente non è un episodio benaugurante, visto il grado di violenza belluina diffuso. Quello che rimane di positivo è l’ingenuo e sincero entusiasmo di alcuni giovani ucraini e la loro voglia di Europa, un’idea che ricorda un po’ il sogno americano coltivato da tanti europei nel dopoguerra. Di negativo, come detto, la violenza estrema, ancora più sconcertante quando messa in campo dalle presunte forze dell’ordine per cui qualche dubbio sulla qualità dell’educazione morale diffusa tra la popolazione, da cui in fondo provengono gli agenti, è più che spontaneo. A chiudere, su tutti questi cupi avvenimenti, aleggia il ricordo dei rintocchi delle campane del Monastero di San Michele, tornate a suonare per l’occasione: era dal XIII secolo che non accadeva. All’epoca dovettero arrivare i Tataro Mongoli dalle steppe asiatiche, a portare morte e distruzione.
Adesso non è più necessario.
CRONACHE DALL'EST a cura di Antonio Gatti
L'UCRAINA NATA DA EUROMAIDAN
Ai più ricchi, che erano considerati déi,
si sacrificavano vittime umane, e qualcuno non esitava a offrire loro
spontaneamente la propria vita, poiché in questo modo sperava, in una
successiva reincarnazione, di tornare all'esistenza nella condizione di un
ricco, o di un dio.
Rabbi Nachman, Storie e leggende chassidiche, a cura di Martin Buber.
"Oligarca" è un termine ai quali i media ci hanno ormai abituato fin
troppo bene. Oligarca è un marchio infamante, uno stigma che indica corruzione,
potentato economico irrispettoso di qualsiasi diritto, una
ricchezza pantagruelica che sfocia nell'immoralità.
In occidente, la classe sociale corrispondente bada bene, ovviamente, a
definirsi 'oligarca' ma ha coniato termini più rispettosi: magnate,
imprenditore, VIP; non è circondata da disprezzo, ma cerca un rispetto quasi
religioso: sono loro che attivano il futuro, vanno nello spazio, difendono la
democrazia, danno lavoro.
Questa differenza ha origini storiche: i magnati occidentali hanno seguito, e
orchestrato, la nascita e lo sviluppo della società capitalista, divenendone un
tassello fondamentale. Nei paesi dell'ex URSS, al contrario, il capitalismo è
stato introdotto per inerzia, come un liquido che ha riempito un contenitore
che non poteva rimanere vuoto; nella spartizione disordinata che ne è seguita,
spartizione delle enormi risorse energetiche, nucleari, alimentari, i
vincitori, ovvero coloro che sono riusciti ad accaparrarsi di più, sono stati
visti come usurpatori. L'ascesa di una classe di grandi proprietari e
imprenditori non è stata letta, come in occidente, quale frutto di un lungo
processo storico, ma semplicemente come l'illegittimo furto, da parte di una
banda di ladri, di risorse appartenenti al popolo.
Ed è proprio il contrasto tra il 'popolo' e gli 'oligarchi' a dominare gran
parte della prospettiva ideologica ucraina, come rivela anche il nome del partito
del presidente Volodymyr Zelensky: servitore del popolo, da porre in
contrasto con coloro che al popolo si oppongono: gli oligarchi.
La protesta di Euromaidan non si capisce
se non si legge anche in questa prospettiva: l'avvicinamento alla UE, l'abbattimento
di simboli russi, l'occupazione degli edifici governativi e la cacciata del
russofilo Viktor Janukovic sono altrettanti segnali della voglia di un
cambiamento radicale, che modifichi le dinamiche sociali ucraine, un
cambiamento che arrivi ad occidentalizzare le classi magnatizie ucraine,
responsabilizzandole all'interno di una prospettiva nazionale che premi il
merito e l'amor di patria più che il semplice accumulo di ricchezze visto con
un misto di meravigliata invidia e di odio dalle classi inferiori.
L'ascesa di Servitore del popolo e di Zelensky in particolare, è
stata aiutata da una forte propaganda anti-oligarchica. Una volta diventato
presidente, l'ex attore ha ingaggiato una politica che avrebbe dovuto essere il
prologo di un cambiamento profondo.
Con la legge nr. 5600 si stabiliscono i criteri per definire a livello pubblico
e ufficiale chi sia un 'oligarca': oligarca è colui che possiede beni per più
di 85 milioni di dollari e che abbia un ruolo determinante in tre settori:
economia, media e politica. In altre parole, questa legge condanna il fil
rouge tra potere economico e potere politico, visto come la premessa di
qualsiasi decadimento della vita pubblica e sociale. La qualifica non è una
semplice etichetta infamante, ma una serie di decreti di ferro ne dovrebbero
limitare le attività in tutti i campi sopra menzionati: nel settore economico
non son più possibili per loro appalti pubblici; nel settore politico è
severamente vietato ogni finanziamento ai partiti; nel settore dei media sono
obbligati alla chiarezza più assoluta per quanto riguarda le loro attività, di
qualsiasi genere.
Tuttavia, è possibile per un corpo
respirare senza polmoni? E' pensabile trasformare una intera classe sociale
che, peraltro, è stata il motore della società nell'arco degli ultimi
trent'anni circa?
Davvero è credibile che il finanziamento privato ai partiti scomparisse con un
colpo di bacchetta magica di un decreto presidenziale?
La società ucraina, anche dopo Euromaidan, rimane profondamente permeata
dell'influenza degli oligarchi, siano essi etichettati con i criteri della
legge 5600 o meno.
Indicativo il caso di un'inchiesta di alcuni giornalisti tedeschi i quali, dopo
le elezioni del 2019, indagarono sui finanziamenti a Servitore del
Popolo: nessun oligarca ma un macellaio, un pensionato, un carcerato e
altri personaggi anonimi. Non è difficile quindi, per chi ha in mano le redini
del gioco, aggirare la legge nr. 5600 semplicemente delegando ad altri il
finanziamento; non è difficile per chi possiede più di 85 milioni di dollari
spostare i fondi all'estero e improvvisamente non corrispondere più, ai sensi
della legge 5600, alla categoria di 'oligarca'.
Il sogno di Euromaidan è lungi dall'essere realizzato, ma sicuramente esiste
una reazione popolare e anche politica allo strapotere degli oligarchi,
difficile però da eliminare senza una lotta dura, lunga e irta di pericoli.
I due grandi nemici Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin hanno, in questo senso,
il medesimo problema: quello di una categoria di magnati che trascende la
classe politica e che, se sfidati apertamente, potrebbero reagire in maniera
inaspettata e ostile. In quest'ottica, le sanzioni europee volte a danneggiare
gli oligarchi russi hanno lo scopo di mettere questi ultimi contro Putin, nella
consapevolezza che loro, più che i militari, potrebbero mollare il presidente
causandone la caduta.
Tuttavia la guerra, finora, sembra aver compattato i rispettivi fronti, più che
il contrario: in Ucraina, il pensiero per la sicurezza nazionale è l'arma con
la quale Zelensky riesce a tenere buoni i suoi oligarchi; in Russia, i magnati
vedono con interesse la possibilità di accaparrarsi di nuovi settori energetici
e alimentari, nel caso che l'Ucraina ricada nuovamente sotto la sfera
d'influenza russa.
Solo il tempo dirà se questa alleanza è destinata a durare o se le teste di
Zelensky e Putin verranno offerte, come nel racconto di Rabbi Nachman dal quale
abbiamo preso la citazione iniziale, come sacrificio ai ricchi, che erano
considerati déi.
Fonti: Scaglione Fulvio, Zelensky e il peso degli oligarchi, in Limes
2/2022
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