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giovedì 14 aprile 2022

MAIDAN (a seguire LA STUDENTESSA E L'ORSO)

IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE

1002_MAIDAN (Majdan). Ucraina, Paesi Bassi, 2014;  Regia di Serhij Loznycja.

Presentato al Festival di Cannes 2014, Maidan è un documentario con il quale il regista Sergei Loznitsa riesce sorprendentemente a coniugare necessità e virtù. La necessità è l’urgenza di far sapere al mondo cosa è successo in Ucraina, durante quella che viene chiamata Rivoluzione del 2014 in occidente e colpo di stato nell’area di influenza russa. Gli eventi a cui fa riferimento il documentario sono noti come Euromaidan, con lo scontro tra i dimostranti filoeuropei e le terribili forze dell’ordine ucraine, tra le quali si distinsero per efferatezza degli interventi i famigerati Berkut. Loznitsa, di fronte al classico scoglio a cui si trova dinnanzi ogni documentarista, cioè fino a che punto influenzare la sua messa in scena, riesce a trovare una soluzione efficace ma al tempo stesso abbastanza neutra. La sua ripresa è in genere ferma, su un’inquadratura abbastanza aperta ma, mancando i movimenti di macchina, alla fine comunque non complessiva della piazza dell’Indipendenza (Maidan Nezalezhnosti) o degli altri teatri degli scontri. E’ quindi una visione non soggettiva, le sequenze lunghe ed immobili allontanano quest’impressione, ma nemmeno così estranea all’evento come una panoramica potrebbe sembrare. Non è, insomma, lo visuale di uno che si guarda intorno, come per farsi un’idea. E’ piuttosto la visione di quello che succede da una prospettiva che cerca di essere un po’ distaccata, questo almeno in parte sì, ma di chi ammette chiaramente di partecipare all’evento, di chi condivide, anche ideologicamente, lo spirito di Maidan. E di questo va ringraziato, Loznitsa, perché ammette esplicitamente che il suo è un resoconto di parte. E questa è la virtù di cui si accennava in apertura.

Le lunghe sequenze sulle fasi di stanca della manifestazione, anche noiose, a dirla tutta, appagano poco lo spettatore ma sono altresì necessarie, perché mostrano Maidan per quello che è stato dall’interno, proprio come un documentario diretto da un partecipante dovrebbe proporsi di fare. Spesso il punto di vista della ripresa non è quello più efficace, quello più vicino ai feroci scontri, di cui Loznitsa ci rende conto solo dei tragici effetti. Ma c’è comunque qualche sequenza traumatizzante, come quella in cui le forze dell’ordine sparano sui manifestanti. Quello che Loznitsa riesce comunque a cogliere, più di ogni altra cosa, è lo spirito ucraino che permea la manifestazione: ancora una volta la scelta dell’inquadratura è cruciale nel mostrare una folla che canta sentitamente l’inno nazionale e di cui si possono riconoscere distintamente i volti, perché l’immagine non è eccessivamente grandangolare. Il regista insiste, su questo taglio della sua messa in scena, visto che l’inno ucraino è intonato più volte in momenti diversi del film e l’inquadratura è sempre la stessa, con le facce del popolo in grado di convincere anche il più scettico degli spettatori sulle ragioni dei manifestanti. La deriva radical nazionalista che si diffuse tra le loro fila è sostanzialmente ignorata, dal documentario (ahi, ahi, Loznitsa), anche se bandiere, stendardi e inquietanti proclami che lasciano pochi dubbi a riguardo, fanno costantemente capolino. Un discreto spazio è invece riservato ai ministri della religione, il che può contribuire ad un certo lato spirituale dell’opera. Infine, la sponda europeista non è indagata più di tanto dal racconto anche se, almeno a noi italiani, rimane nelle orecchie una versione di Bella ciao arrangiata alla bisogna della protesta ucraina. Sempre meglio dei motti che richiamano i tempi di Stepan Bandera.       


CRONACHE DALL'EST a cura di Antonio Gatti  

LA STUDENTESSA E L'ORSO

Quando il 24 febbraio alle 6;00 circa, ora locale, le colonne dei tank russi passarono il confine ucraino, abbiamo capito tutti che qualcosa di totalmente inedito per la nostra generazione stava accadendo. Certo, immediatamente ci hanno ricordato che questa non è l'unica guerra in corso; si sono affrettati a osservare che non è neppure l'unica guerra recente sul continente europeo, la memoria dell'Operazione Allied Force contro la Repubblica Serba nel 1999 essendo ancora piuttosto vivida.
Eppure in nessun modo le altre guerre in corso, o il bombardamento a tappeto di Belgrado, ci hanno colpiti in maniera così forte come l'aggressione all'Ucraina da parte dei carri russi di Putin. Sicuramente la vicinanza geografica e la possibilità, più o meno remota è ancora da capire, di essere coinvolti militarmente nel conflitto e di esserlo senza ombra di dubbio economicamente, sono fattori primari nell'influenzare la nostra emotività. 
Ma sono gli unici?
In realtà, credo che ci siano molti altri elementi che rendono questa guerra, dal punto di vista europeo, culturalmente diversa dalle altre. 

Innanzitutto, lo svolgimento puramente tattico è impressionante. I chilometri di carri armati che si inoltrano con difficoltà su strade piene di fango e di guerriglieri ostili, non si vedevano in Europa - e a conti fatti, nel mondo- dall'invasione nazista dell'Unione Sovietica. La decisione tattica di non usare l'aviazione a dosi massicce per radere al suolo qualsiasi ostacolo si frapponga sulla strada delle colonne di invasione, è una scelta in primis politica - l'uso dell'aeronautica decuplicherebbe le perdite civili con un ulteriore isolamento della Russia sulla scena internazionale, ma risponde anche ad esigenze strategiche: soprattutto quella di addestrare i riservisti , i soldati che sono stati inizialmente utilizzati per la "operazione militare speciale", che non godono della stessa esperienza dei veterani di Cecenia e Siria. 
Con tutto ciò, appunto, le immagini dell'invasione ci colpiscono molto: innanzitutto perché è possibile vederle, contrariamente ai bombardamenti di Baghdad e Belgrado durante le "missioni di pace" (si nota negli americani la stessa riluttanza a pronunciare la parola 'guerra'). Inoltre seppure incomparabilmente più costosi in termini di perdite civili, i detti bombardamenti avevano qualcosa di impersonale, la morte scende dall'alto quasi come una punizione degli déi. Nella guerra di fanteria e di carri ci si sporca le mani, si scavano le trincee, si tirano le bombe a mano in faccia alla gente. 
Dal punto di vista italiano ed europeo in generale, la guerra tra Russia e Ucraina è qualcosa di simile ad una guerra civile, una guerra tra fratelli e culture affini. Il che è assolutamente vero, ma con una importante precisazione.
Durante l'arco della loro storia, Ucraina e Russia hanno in qualche modo cambiato il loro modo di rapportarsi con il mondo: la prima è una studentessa volenterosa, di bell'aspetto, capace di adattarsi, vogliosa di libertà e di conoscenza; la seconda è il classico orso.
La storia dell'Ucraina come nazione moderna ed europeizzante comincia in modo non diverso da quello di altre nazioni europee sottoposte ad un impero multinazionale e desiderose di emanciparsi: un gruppo di intellettuali che innalzano la lingua del popolo a uso culturale; una città, Leopoli, che calamita la intelligentsia e poi la diffonde per tutto il paese; una rinascita identitaria nelle campagne. Una idea, quella di nazione, che non poteva essere alimentata nell'impero multinazionale degli zar, o in quello asburgico, ma nell’Europa illuminata e illuminista, dalla quale l'Ucraina cerca di prendere idee e spunti, elaborandoli secondo il proprio punto di vista.

Ma l'Ucraina è anche in ritardo: cerca di fare agli inizi del XX secolo, quello che molte nazioni europee hanno fatto nel XIX, o anche prima. La grande guerra ferma brutalmente questo processo che è poi rimesso in funzione da Lenin e compagni: il leader bolscevico, a sua volta imbevuto di marxismo e di illuminismo, riconosce come legittime le istanze autonomiste ucraine e crea la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. 
Tuttavia, la parentesi leninista in URSS si interrompe con la malattia e la morte del leader: i successori tornarono a una visione imperiale multinazionale, anche se declinata marxianamente; insomma non tradiscono quella che è la vera essenza dell'Orso: non  tanto essere uno stato nazionale (come sarebbe possibile visto che l'idea illuministica di 'nazione' non è mai penetrata in Russia?), quanto essere la Terza Roma, Mosca come erede di Roma e Costantinopoli e non si intende dal punto di vista architettonico. 
Non è in realtà un'ideologia imperiale, ma una vera e propria ragione d'essere, senza la quale la Russia sparirebbe dalla storia. La Russia non è nata in Russia ma intorno a Kiev: questo dovrebbe far capire quanto poco contino per essa il sangue e la terra; esattamente nulla, come anche per Costantino, che non ebbe problemi a spostare l'Impero da Roma a Costantinopoli. La geografia passa, ma la vocazione di essere un potere imperiale forte che crea benessere e progresso dovunque arrivi rimane, per Costantino come per la Russia. Una missione che non è una missione ma la stessa essenza vitale russa, declinata nel panslavismo, nel bolscevismo, o nella pan-ortodossia poco importa.
A partire dagli anni '90 l'orso è andato in letargo mentre la studentessa, finalmente libera dalla ingombrante ombra che si proiettava dalla caverna, ha seguito quella che è la sua ragione d'essere: studiare e abbigliarsi in modo conforme alle richieste dell'epoca e così ha fatto. L'Ucraina, dopo gli eventi di Euromaidan ha ribadito fortemente di ritenere sé stessa una nazione indipendente, una nazione certamente slava e ortodossa, ma che ha studiato e appreso molto anche dall'Europa: rimane certo ancora molto da apprendere ma la strada è tracciata. La studentessa e l'orso non parlano più la stessa lingua, se la prima risponde con le parole, il secondo le interpreta come un ruggito. E viceversa. La guerra non è tra due nazioni totalmente affini come ci sembra: in realtà non è neppure tra due nazioni, ma tra un paese nazionale e uno stato multietnico che, ironicamente, difende proprio quello che ha sempre combattuto: il diritto all'autodeterminazione.
Perché infatti, in pochi pensavano che il 24 febbraio 2022 alle ore 6 del mattino l'orso sarebbe uscito dal letargo: il passo è lo stesso di sempre, così come la pelliccia e il ruggito.
Rimane da capire se intanto i cacciatori, là fuori, non abbiano affinato le armi per combatterlo.

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