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giovedì 18 luglio 2019

CARRIE - LO SGUARDO DI SATANA

381_CARRIE - LO SGUARDO DI SATANA (Carrie). Stati Uniti 1976Regia di Brian De Palma.

Prima trasposizione cinematografica di un libro di Stephen King, Carrie – Lo sguardo di Satana di Brian De Palma è uno dei migliori esempi di valorizzazione sullo schermo di un’opera dello scrittore nato nel Maine. Curiosamente, Carrie, è anche il primo lavoro pubblicato dallo scrittore e, vedendo il risultato della versione cinematografica, era lecito attendersi un avvenire radioso per il futuro re del terrore letterario anche in questo ambito. In realtà, al di là dell’impatto mediatico ed economico, non saranno poi molti i risultati davvero memorabili di opere kinghiane sullo schermo: e raramente in esse il regista di turno riuscirà a valorizzare il testo mettendoci qualcosa di suo senza tradirne lo spirito alla base. Brian De Palma invece ci riesce: in Carrie – Lo sguardo di Satana rimane ben visibile l’impronta dello scrittore, ma certamente il forte accento della macchina da presa del regista italoamericano è una firma indelebile sul lavoro ultimato. A Stephen King possiamo ricondurre tutta l’impostazione della vicenda: l’emarginazione della giovane protagonista isolata dai suoi coetanei e la religione come influsso negativo e costrittivo per lo sviluppo della sua personalità. A ciò, naturalmente, King aggiunge il carico dei poteri telecinetici di Carrie, per alimentare l’enfasi della storia, da buon scrittore dell’orrore. L’importanza di stabilire le responsabilità complessive del film non è solo un vezzo curioso: Stephen King è un tale monumento nella cultura horror che non può essere relegato unicamente ad autore del soggetto alla base del trattamento per la riduzione cinematografica, anche perché la sua prosa evoca immagini in modo così considerevole da sembrare lei stessa già una sceneggiatura. 
Ma in questo caso De Palma ha una regia autorevole, personale, se vogliamo in qualche accenno anche eccessiva e forse un filo autocompiaciuta (l’uso degli split-screen nel finale, la scena del ragazzo in bicicletta che slalomeggia tra la fila di alberi, la panoramica circolare insistita nella scena del ballo) ma, alzando i toni del suo lavoro, il regista lo armonizza con la matrice del racconto. Carrie – Lo sguardo di Satana è un film horror e, per evidenziarlo, De Palma ricorre ai trucchi del mestiere, non solo alla regia ma, ad esempio, anche alla musica di Pino Donaggio, in qualche passaggio riecheggiante addirittura le quattro note di violino prese da Psyco di Alfred Hitchcock. 

Non è l’unico omaggio a questo film del maestro del brivido, visto che la scuola frequentata dagli studenti di Carrie – Lo sguardo di Satana è il Bates High, con evidente riferimento a Norman Bates, il protagonista della celebre opera di Hitch. Ma non si tratta di citazioni estemporanee e nemmeno semplici omaggi alla bravura del genio inglese: a Psyco, alla simbolica architettura intrinseca al Bates Motel e alla casa, ai rapporti con la madre oppressiva, alle conseguenti difficoltà di relazionarsi per i figli, al ruolo della religione e all’idea di sessualità legata alla cultura puritana dell’America, a tutta questa strutturata impostazione, De Palma si appoggia cogliendo i punti in comune col libro ed enfatizzandoli con la sua messa in scena. Spesso, in caso di riduzione da libro a film si ha l’impressione di occasione mancata, di risultato non del tutto centrato. Questo, principalmente, perché se il libro ha un forte potere evocativo può sfruttare l’immaginazione del lettore, il che lo pone praticamente senza alcun limite. L’immagine sullo schermo, e lo schermo stesso, sono invece limiti entro i quali il regista interpreta e fissa il racconto, e non necessariamente la sua immaginazione può avere gli stessi riferimenti, la stessa intensità o lo stesso gusto valevoli per tutti gli spettatori. 


Questo processo, che non a caso si definisce riduzione, è ancora più rischioso con l’horror, perché è noto che la paura maggiore nell’animo umano è legata al buio e quindi all’ignoto, ovvero ciò che ancora non si vede, che pare evidente sia meno complesso raccontare che mostrare. E’ chiaro che il cinema ha le sue contromosse rispetto alla letteratura, tra le quali cruciale è la colonna sonora, a cui De Palma infatti delega particolare importanza. Ma è anche con la regia, con la capacità attraverso l’uso delle inquadrature, delle sequenze, del fondamentale ruolo del montaggio, che un racconto filmico può ribaltare a suo vantaggio gli intrinseci rischi di un adattamento da un romanzo e, grazie alla sua classe, il regista nato a Newark compie pienamente l’impresa. 
Come altre volte in De Palma lo schema narrativo presenta un ripetuto raddoppio: la scena iniziale, con la scoperta del sangue durante la doccia, vede soccombere Carrie sotto la pioggia di assorbenti delle compagne; nel finale, dopo la doccia di sangue destinata alla protagonista, saranno le altre ad essere distrutte dalla pioggia di elementi scatenata da questa. Una scena riflessa nel suo ribaltare gli esiti, e del resto allo specchio ci sono altre due scene, quella in casa, dove alle spalle di Carrie è riflesso un Cristo, e quella in palestra, in cui Miss Collins (Betty Buckley) invita la ragazza a guardarsi; è forse non un caso che è nel primo passaggio che si manifestano i fenomeni paranormali che manderanno in frantumi lo specchio stesso. 

Questo dualismo è un po’ diffuso in tutta la struttura narrativa, dalla favola di Cenerentola, vero e proprio sogno ad occhi aperti che si trasforma in un incubo, alla ragazza che appunto da principessa diventa una strega, all’osceno crocefisso che anticipa la fine della madre Margaret (Piper Laurie, inquietante nella sua sciatteria), alle due coppie di ragazzi, una positiva e l’altra negativa. Del resto De Palma è un regista molto attento a dare una composizione narrativa alle sue opere, che certamente ne rimangono marchiate in modo evidente. Tuttavia non va assolutamente sottovalutata l’importanza della recitazione: nessuno, per primo proprio De Palma, credeva in Sissy Spacek per il ruolo di Carrie. 

Eppure è proprio la sua capacità di trasformarsi, da timida e imbranata ragazzina ad autentico diavolo vendicatore, a rendere il suo personaggio uno dei più memorabili della storia del cinema horror. Il finale apocalittico è uno dei passaggi più folgoranti ed intensi che si siano mai visti e, al di là dell’innegabile efficacia della regia, degli effetti speciali, della musica, e di tutti questi aspetti tecnici, è proprio lo sguardo allucinato della Spacek, con gli occhi azzurrissimi che brillano nella figura completamente lordata di sangue, a risultare la vera arma vincente. Il finale è davvero drammatico e travolgente e non sembra lasciare molte speranze: in pratica Carrie spazza via tutti e l’unica che si salva, Sue (Amy Irving), non ne esce certo indenne. 
Anche se i problemi del controfinale, più strettamente legati alle dinamiche del genere che vuole una chiusura destabilizzante anche quando tutto sembra ormai terminato, potrebbero più che altro essere connessi a questa pratica narrativa. Certamente significativa è invece la generale ecatombe: una società nella quale prospera il puritanesimo deviato e una malsana idea di religione (il blasfemo Cristo con gli occhi diabolici) non è conciliabile con la diffusa ‘emancipazione’ troppo spesso vuota e superficiale. Il mix è letale e il risultato profetizzato da De Palma è il collasso (sia dell’istituto ma ancor più esplicito della casa). In un simile contesto risultano vani anche gli sforzi delle persone più coscienziose, come Miss Collins, l’insegnante che si dimostra solidale con Carrie, o la citata Sue che le cede il ragazzo per il ballo di fine corso per aiutarla ad inserirsi. 
Anzi, la situazione è talmente compromessa che anche questi atteggiamenti, ovvero la combine tra Sue e Tommy (William Katt), con quest’ultimo convinto dalla fidanzata ad invitare Carrie, risultano decisivi nella riuscita del progetto ai danni dell’ingenua ragazza. Chris (Nancy Allen), punita per aver bullizzato Carrie, con l’aiuto di Billy (John Tavolta), vuole vendicarsi contro la poveretta, ma ci riuscirà solo grazie ai tentativi di Miss Collins, Sue e Tommy di coinvolgere questa nella vita sociale. Come si vede, anche da questa rapida sinossi, il ruolo delle figure femminili in questo racconto è centrale: Carrie è la protagonista; la madre è colpevole della sua mancata capacità di inserimento, mentre il padre è del tutto assente; sono le ragazze a prenderla in giro, l’unico maschio che fa concretamente qualcosa di simile è il bambino con la bicicletta; tra le compagne, la nemica giurata è Chris mentre Sue prova a diventare solidale con lei. Anche tra le coppie il ruolo trainante è sempre quello femminile: detto del padre assente, tra i docenti, Miss Collins è una figura positiva, il direttore dell’istituto più che esserlo negativa è distratto (manco si ricorda il nome corretto, chiamando ripetutamente Cassie la protagonista); evidente poi la supremazia femminile tra le coppie di giovani, laddove Sue convince facilmente Tommy ad invitare Carrie al ballo nella coppia positiva, mentre in quella negativa Chris plagia Billy per aiutarla nel suo piano.


Spesso Brian De Palma è stato accusato di essere un autore misogino: anche in Carrie – Lo sguardo di Satana si potrebbe cogliere, soprattutto nelle parole della madre della protagonista, il marchio diabolico impresso sulla donna, debole, corrotta, punita da Dio con la sofferenza delle mestruazioni e del parto. Ma si tratta di un’idea malsana, e mostrata chiaramente come tale, mutuata da un errata e deviata interpretazione della religione. Al contrario il testo, con il parallelo tra l’acquisizione di consapevolezza per i poteri soprannaturali di Carrie e la sua maturazione sessuale, propone una valorizzazione del ruolo della donna, tanto che il termine miracolo, ricercato in biblioteca dal ragazza per comprendere la natura delle manifestazioni telecinetiche, ben si adatta anche al fenomeno della maternità (e di riflesso, del mestruo). L’emarginazione subita da Carrie per il suo essere diversa, perdente, inferiore, quando invece è supernaturale, diviene così una metafora per mostrare la condizione sociale della donna, marchiata dal disprezzo proprio per quelle sue peculiarità che ne sono invece il valore inestimabile. Del resto, se la rappresentazione femminile nel film è diversificata (Miss Collins e Sue ruoli positivi, Chris negativo, le altre meno schierate), gli uomini fanno tutti una figura marginale. Il padre assente, il direttore dell’istituto distratto, Tommy quantomeno superficiale nel flirtare con Carrie approfittando della circostanza, Billy assoggettato dal desiderio sessuale: insomma, si potrebbe ben dire che Carrie – Lo sguardo di Satana sia un film femminista.
Di sicuro è un capolavoro.






Amy Irving


Sissy Spacek





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