1755_MISS MARPLE - GIOCHI DI PRESTIGIO (They do it with Mirrors), Stati Uniti, Regno Unito 2010. Regia di Andy Wilson
Il terzo episodio della quarta stagione della serie televisiva
britannica Miss Marple è tratto dal romanzo di Agata Christie Giochi
di prestigio, nell’originale They do it with mirrors, di cui
conserva, tutto sommato, l’elaborata trama. Julia McKenzie, nel ruolo di Miss
Marple da questa stagione, è sempre convincente, anche perché ha una innata
modestia che le permette di «tirare le redini» del giallo stando sempre un passo indietro. Il che è
un po’ lo stile di questo tipo di storie, dove una innocua vecchietta è in
grado di bagnare il naso a navigati inquirenti. Lo stile discreto della
McKenzie risulta evidente nel finale, quando «spiega» al detective di turno,
l’ispettore Curry (Alex Jennings) la soluzione degli omicidi accaduti a Stonygates,
la residenza degli Serrocold: ma, a quel punto, l’ispettore ha già capito che l’anziana
signorina è avvezza a risolvere gialli e non si scompone più di tanto, del
resto è il tipico inglese d’inizio XX secolo dotato del caratteristico aplomb.
In un passaggio precedente, quando il poliziotto interroga la Marple –tra
l’altro, è curioso che non sia a lui nota, visto i tanti i casi già risolti
dalla donna– lei quasi si diverte e, con malcelata noncuranza, centellina quelle
informazioni che, argutamente, aveva fin lì già raccolto. In questo
atteggiamento di modestia un po’ di maniera tipico di questi personaggi, la McKenzie
è molto brava ma il suo approccio, diciamo così, umile, sembra sincero e
professionale e lo si vede anche nel rapporto con la guest star dell’episodio.
In effetti Miss Marple: Giochi di prestigio è noto per la partecipazione
di Joan Collins e non è mai semplice, per gli interpreti regolari di una serie
o per gli autori, gestire la presenza di star del calibro della diva inglese. Anche
nel romanzo di Agata Christie, Ruth Van Rydock, il personaggio interpretato
dalla Collins, è descritto come una donna ancora bellissima e il fatto di
essere coetanea di Miss Marple, che quasi sembra la sua anziana madre a
confronto, ne enfatizza il fascino. La scena è ripresa anche nel film, con una
sorta di «aggravante» per la povera McKenzie: se Miss Marple appare decisamente
più attempata di Lady Van Rydock nonostante abbiano la stessa età, l’attrice
protagonista deve sostenere questa parte pur avendo otto anni in meno della
Collins. Joan, 76 anni portati sospendendo il passaggio del tempo, è relegata
in una parte secondaria –il suo ormai tipico ruolo di donna ricca e cinica,
almeno in apparenza– ma quando è in scena si mangia ovviamente il film, attori
compresi.
In effetti, nessuno del cast è nemmeno lontanamente paragonabile al
suo status di stella di prima grandezza di Hollywood e il film appare forse più
coerente quando la diva è assente dalla scena. Tuttavia Joan è adorabile, come
suo solito, ed è particolarmente piacevole rivederla nell’incipit, la scena
dell’incendio, nel quale sembra di ritornare ai suoi horror inglesi degli anni
Settanta. Il film, nel complesso, restituisce abbastanza fedelmente sia il
romanzo all’origine che il tipico mondo di Agata Christie, fatto di situazioni
intricate ed elaborate colme di bizzarrie che necessitano di pazienza e
apposita predisposizione per lasciarsene catturare, dopodiché immergono
completamente il lettore, o lo spettatore in questo caso, nel microcosmo creato
ad arte dall’autrice inglese. Tra le note più curiose di questo film c’è il
cancello d’entrata di quella sorta di riformatorio che sorge accanto a
Stonygates ma, prima di chiarire perché, occorre inquadrare un minimo la vicenda.
La proprietaria della residenza, Carrie Louise Serrocold (Penelope Wilton),
sorella di Ruth Van Rydock, è una filantropa al centro di una famiglia
allargata e, accanto alla sua elegante casa, ha allestito un istituto per
recupero di detenuti. Qui c’è un primo livello della riflessione della Christie
sull’origine del Male: nonostante i pregiudicati nelle vicinanze abbondino, gli
«ospiti» dell’istituto, il punto nevralgico dell’intrico delittuoso sarà
ovviamente trovato all’interno della famiglia. Una famiglia articolata quanto
le trame della scrittrice inglese, dove abbondano mariti, ex mariti, figlie
naturali, figlie adottive, figliastri e via di questo passo. Il citato cancello
di ingresso reca una scritta che rielabora un verso della Divina Commedia di
Dante, “Lasciate ogni speranza voi che entrate” [Dante Alighieri, La Divina
Commedia, Terzo canto dell’Inferno], cambiato in questo caso in “Recover
Hope All Ye Who Enter Here” (Traduzione: Ritrovate la speranza o voi che
entrate). È una bella intuizione e, in effetti, l’istituto per il recupero dei criminali
sembra in anticipo sui tempi, visto che il romanzo uscì nel 1952. Tuttavia, al
netto della citazione esplicita di Dante, l’ingresso del cancello ricorda molto
di più quello dei campi di concentramento nazisti con l’insegna “Arbeit macht
frei” (Traduzione: Il lavoro rende liberi). Un cortocircuito concettuale
interessante, sebbene molto inquietante.





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