1756_AN ACCIDENTAL SOLDIER , Australia 2013. Regia di Rachel Ward
Chiariamo subito una cosa: Marie Bunel, protagonista femminile di An accidental soldier, film televisivo australiano di Rachel Ward, è una gran bella donna. Poi, certo, all’epoca del film aveva 52 anni e non era quindi una giovane rampolla ma il passaggio cruciale del film, quello a cui si gira attorno sin da subito, è legato all’idea che Colombe (la Bunel, appunto) sia una donna indurita e quindi imbruttita dalla vita. Va dato atto alle capacità espressive dell’attrice francese di essere anche convincente e certo il suo personaggio non appare seducente come una femme fatale; che poi siano in Francia, durante la Prima Guerra Mondiale, gli uomini sono al fronte o chissà dove e le donne sono costrette a lavorare nella fabbrica di armamenti per tirare avanti. Non è quindi un posto ideale per seduzioni o storie d’amore… o forse si? A casa di Colombe, ad un certo punto, piomba infatti Harry (Dan Spielman) soldato australiano che è fuggito dalla prima linea. Un disertore, insomma. Harry faceva il panettiere e non aveva alcuna intenzione di arruolarsi ma il disprezzo dei suoi compaesani alla fine l’aveva convinto; tuttavia, se fare il pane sotto l’esercito non era poi diverso che nella vita da civile, quando arriva il momento di andare in prima linea l’uomo decide di scappare. E’ quindi un vile, Harry, un codardo; perlomeno è così che vengono definiti i disertori. Una donna brutta (o presunta tale) e un vigliacco: questo è quello che abbiamo per le mani nella nostra storia. Se il mondo abitualmente gira storto per una donna di aspetto non piacevole, nella nostra società, figuriamoci durante una catastrofe come la Grande Guerra, dove avere qualche privilegio è fondamentale per sopravvivere o magari sopravvivere anche bene. D’altro canto per un uomo vile il tempo di guerra è la cosa peggiore che possa capitare. E, a complicare le cose, c’è anche il fatto che i due non si capiscano, parlando ovviamente lingue diverse. Ma proprio il linguaggio, uno strumento nato per comunicare e quindi condividere, unire, e divenuto poi all’opposto troppo spesso barriera insormontabile, è il grimaldello che permette ai due di fare il primo passo in avanti. Sforzarsi per capire l’altro e poi ancora, sforzarsi per farsi comprendere. Una volta che la donna e l’uomo aprono un pertugio nel muro di diffidenza, indifferenza, timore, paura, entrambi scoprono quello di cui avevano bisogno. Una metafora interessante in un film di guerra ma, ovviamente, l’obiettivo particolare della storia è più circoscritto. E, tornando a quello di cui i nostri protagonisti hanno bisogno (come tutti, del resto), questa cosa è, ovviamente l’amore. Ma il racconto è persino ancora più specifico, nella sua metafora: lui trova in Colombe il coraggio di una donna che rischia tutto pur di proteggerlo, di tenerselo nascosto in casa quando la gendarmerie militare è in cerca dei disertori. E lei, nelle attenzioni e nelle premure, ingenue nel senso puro del termine, di quell’uomo mite venuto da lontano, si scopre finalmente bella.


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