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mercoledì 17 gennaio 2024

JESS IL BANDITO

1423_JESS IL BANDITO (Jesse James). Stati Uniti 1939; Regia di Henry King.

Alla fine degli anni 30 il western era quasi in procinto di entrare nella sua cosiddetta era classica: successivamente, in particolar modo dal dopoguerra, il genere svolse una funzione epica per gli Stati Uniti d’America, glorificando, in modo ovviamente assai romanzato, la turbolenta nascita della nazione. Per il paese che, dopo la vittoria nella II Guerra Mondiale, si apprestava a dominare gran parte del pianeta, occorreva infatti una sorta di investitura divina, un passato degno di una nazione predestinata. Insomma il west svolse la stessa funzione che l’epica svolse per i vari popoli che furono egemoni nel corso della Storia: da Enea per Roma a Artù per i britannici, passando per i paladini francesi o i nibelunghi tedeschi e così via. Gli americani sono gente pratica e, per legittimare la propria spregiudicata condotta internazionale, basata principalmente sul diritto di forza, presero tra i padri fondatori dello spirito americano, anche veri e propri criminali. Jess il bandito di Henry King (e Irving Cummings, non accreditato) è un’opera che ben interpreta questo intendimento. Jesse James era un criminale ma, nel film di King, vengono evidenziati i suoi valori di audacia e coraggio, sprezzo del pericolo, decisione, mentre sono enfatizzati quegli episodi circostanziali che ne influenzarono negativamente la condotta. Del resto, fino alla consacrazione definitiva dei codici del genere western, i fuorilegge furoreggeranno come protagonisti nei film sulla frontiera: la trilogia della RKO Radio Pictures dedicata ai Senza Legge (La terra dei Senza Legge, 1946, di Tim Whelan, Gli avvoltoi, 1948, di Ray Enright e Il magnifico fuorilegge, 1951, di William D. Russell) è uno dei tanti esempi, ma certamente la figura di Jesse James fu quella più rilevante.  Jess il bandito non fu il primo film dedicato all’outlaw più famoso del west, ma fu quello che lo consacrò mito del cinema e ne ribadì l’importanza culturale. Ombre Rosse (regia di John Ford), che uscì, proprio come Jess il bandito, nel 1939 è considerato il prototipo del western classico; seppur ad un livello qualitativo certamente inferiore in senso assoluto, quello di King, come classicità, gli ci si avvicina molto. 

E va considerato che anche nel capolavoro di Ford il protagonista, il Ringo interpretato da John Wayne, era un fuorilegge. Tutto questo per dire che non ci sono ragioni attendibili per considerare Jess il bandito un film con un valido fondamento storico. Con buona pace della nipote del criminale Jo Frances James che, chiamata come consulente, liquidò poi il risultato raccontato nel film con queste, probabilmente, veritiere parole: “L’unica cosa vera è che c’era un uomo che si chiamava James e andava a cavallo”. Del resto il western non è un genere storico per cui non ci si deve stupire troppo se anche i personaggi che hanno una matrice reale vengano poi romanzati alla bisogna. Figurativamente il film è girato in modo notevole, con una resa dei colori tutto sommato sorprendente per l’epoca. Jess il bandito fu infatti prodotto originariamente a colori, sebbene ne girino versioni in bianco e nero e altre addirittura ricolorate a posteriori. Alcune scene, come l’assalto al treno con la siluette di Jesse sopra i vagoni e le finestre degli stessi illuminate più sotto, sono spettacolari. Molto ben girata anche la rapina finale, quella che andrà male e che, per sfuggire dalla trappola, vedrà i due James irrompere attraverso grosse vetrate con i cavalli, passando all’interno di alcuni edifici per poi uscire dal paese e lanciarsi, sempre rigorosamente in sella ai destrieri, da un dirupo nell’acqua sottostante. Una sequenza magistrale che ritornerà in altri film successivi dedicati alla storia di Jesse. 

Gli attori sono di prim’ordine: Tyrone Power è un credibile Jesse James, bello e dannato; più intenso il fratello Frank interpretato da Henry Fonda. Ci sono poi Nancy Kelly (nei panni di Zee, la moglie di Jesse), Randolph Scott (lo sceriffo Wright), John Carradine (Bob Ford, l’assassino di Jesse) e Donald Meek ( Mc Coy, il padrone della ferrovia); curiosamente, questi ultimi due presenti anche nel cast del citato Ombre rosse. La vicenda raccontata raccoglie gli spunti dalla cronaca del tempo, che vengono intessuti con maestria in una trama ben congeniata. Dopo la Guerra Civile, la ferrovia deve unire il paese lacerato dal conflitto; un intento tanto nobile diventa però un pretesto per approfittare indebitamente della situazione. Gli speculatori provenienti dal nord vittorioso, individui come Mc Coy, con la scusante dell’opera pubblica defraudano in modo palese i proprietari terrieri del sud. I terreni sono espropriati con l’imbroglio e la forza arrivando, nel caso della madre dei James, ad un’azione tanto violenta da uccidere la povera donna. Questo è il pretesto principale che trasforma i James in fuorilegge; la personale guerra dichiarata alle ferrovie, viene via via ampliata alle banche, identificate come sedi del potere finanziario del nord ma, molto più probabilmente, soprattutto più comode e remunerative da rapinare. 

L’equivoco è infatti il sistema usato dai James e dai suoi sostenitori per spacciare un’attività criminale come una sorta di ribellione sociale: i pretesti per lamentarsi c’erano sicuramente e, considerato anche il luogo e il tempo, anche un’azione di forza era plausibile come reazione ai torti subiti. Ma i James andarono ben oltre, trovando alla fin fine piacevole e vantaggiosa l’attività criminale imbastita. Nel film, sia Zee che lo sceriffo Wright provano a far ragionare Jesse e, per la verità, ci riescono pure. Purtroppo Mc Coy inganna la buona fede dei James e dei loro amici, e questa è la definitiva chiusura di Jesse e Frank nei confronti della Legge degli Stati Uniti. Bisogna riconoscere che, quello mostrato nel film da parte delle autorità americane, è un atteggiamento credibile; lo scopo degli sceneggiatori è quello di legittimare ulteriormente le scelte di Jesse, sebbene Zee provi costantemente a persuaderlo che l’attività criminale avrebbe finito per disumanizzarlo. Tutto sommato, la poetica dell’equivoco imbastita dagli autori funziona: si mostrano le motivazioni condivisibili e, se non viene negata la violenza come metodo di rivalsa, si ammettono, per così dire, a margine, i rischi che tale prassi provochi nell’individuo. Questo girare in tondo al nocciolo della questione, che era inequivocabilmente Jesse James era un criminale anche al netto delle motivazioni che possa aver avuto, serviva per creare un nuovo eroe, più moderno, credibile, affascinante soprattutto per una caratteristica, indispensabile perché potesse aver successo in America: Jesse James era principalmente un violento. E la violenza sarebbe stata una caratteristica fondamentale dell’America: se la libertà era la sbandierata con vanto come anima più intima dalla società statunitense, la violenza ne fu l’indissolubile metà oscura. 




 Nancy Kelly 




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