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venerdì 5 gennaio 2024

ONEGIN

1417_ONEGIN . Regno Unito 1999; Regia di Martha Fiennes.

Per il suo debutto in regia, Martha Fiennes decise di adattare per lo schermo il poema in versi Eugenio Onegin, di Aleksandr Puškin: una scelta coraggiosa, considerato la natura del testo. Il padre della letteratura russa aveva infatti scritto il suo racconto utilizzando la musicalità della scrittura scandita dalla partitura e, in effetti, l’opera lirica si era spesso confrontata con questo soggetto. Il cinema, nei suoi principali adattamenti –si prenda quello del 1959 di Roman Tikhomirov a titolo di esempio– aveva a sua volta attinto dall’opera lirica che Pyotr Tchaikovsky aveva tratto dal poema di Puškin. Martha Fiennes, al contrario, realizza un film tradizionale, con dialoghi parlati, sebbene la musica, opera del fratello Magnus, sia certamente importante nella resa finale. Martha e Magnus non sono i soli Fiennes a far parte dell’operazione, in quanto l’assai più noto Ralph è il produttore oltre che l’interprete principale nel ruolo di Onegin. L’operazione smaccatamente famigliare non deve far storcere il naso, perché il risultato è ragguardevole: Ralph, conferma il talento anche nella dolente interpretazione del dandy annoiato ideato da Puškin, la musica di Magnus, come detto, offre un valido supporto alla regia di Martha, da parte sua accorta e suadente. Figurativamente l’opera è molto affascinante, con passaggi evocativi e suggestivi; i costumi sono curati, la fotografia regala scorci incantevoli o comunque intriganti, come la location delle passerelle sull’acqua per il duello. La trama è, nel complesso, abbastanza rispettosa del testo e, più che eventuali critiche a qualche passaggio modificato, si può osservare l’attenzione che viene prestata ad alcuni dettagli, ad esempio, al citato duello cavalleresco. In precedenza, non sempre il cinema era riuscito a fornire un quadro abbastanza esaustivo sulla questione, rischiando, in questo modo, di equivocare il carattere di Onegin. 

La versione di Martha Fiennes, seppure non sarà fedele alla lettera a quella del poema, permette comunque di comprendere come la personalità del protagonista sia meno scontata e prevedibile di quanto lui stesso cerchi di mostrare. Nello specifico, nel film è chiarito bene come Onegin cerchi di evitare in tutti i modi la contesa e siano invece tanto Lensky (Toby Stephens) che il suo “secondo”, Zaretsky (Alun Armstrong), a non volervi assolutamente rinunciare. Nel cast, naturalmente –essendo Eugenio Onegin uno struggente poema romantico– è cruciale la protagonista femminile, a cui Liv Tyler regala una performance memorabile. La sua Tatyana è assolutamente particolare: certamente molto bella –Liv, ventiduenne, era acerba, ma deliziosa– ma del tutto esente da malizia o sensualità esibita. Quando scrive la sua ingenua lettera, in uno dei passaggi dal romanticismo più acceso, sembra quasi un’adolescente, e questo permette di non infierire poi, almeno più di tanto, sul cinismo di Onegin da parte della storia. Onegin, in effetti, si trova a disagio, nella vicenda: sciupa il grande amore della vita e conduce un’amicizia al mortale duello. In parte questo avviene perché è effettivamente un individuo indolente e annoiato, ma anche e soprattutto per il suo essere più consapevole degli altri personaggi del racconto. Effettivamente, Olga (Lena Headey), sorella di Tatyana e sposa promessa a Levsky, è una ragazza un po’ “leggerina”, diversamente avrebbe rifiutato il secondo ballo ad Onegin per concederlo, come promesso in precedenza, al suo fidanzato. Tuttavia, una semplice battuta che rivela la cruda realtà, provoca la reazione, per altro adeguata all’epoca dei fatti, di Levsky, con il tragico risultato del duello. Allo stesso modo, le parole di Onegin non sono del tutto disoneste, magari un po’ troppo sincere da risultare dure, quando respinge la lettera di Tatyana. In fondo, la giovane lo aveva appena conosciuto e, volendo ben vedere, con la sua infantile impazienza aveva istradato male la possibile love-story. 

È altresì vero che Onegin non sembri brillare per valori positivi, in nessun campo: non ascolta il notaio in un momento importante, non si interessa alle questioni politiche, nemmeno quando si appresta a concedere benefici sociali ai lavoratori che dipendono da lui. Non fa nemmeno lo sforzo di comprendere un banale gioco come far saltare i sassi sull’acqua. Ma questi sono passaggi, per quanto possano sembrale importanti, banali nella vita di un uomo. Perché nei momenti cruciali, Onegin rivela di non essere un personaggio negativo: non approfitta di Tatyana e cerca di evitare il duello, che sono anche i passaggi salienti della trama. Almeno fino al finale: lì, effettivamente, il Nostro ha un cedimento e si piega ad una forza superiore alla sua, l’amore per Tatyana, ma ormai è troppo tardi e i due giovani, a causa della loro onestà morale, sono condannati all’infelicità. Onegin, infatti, non disprezza affatto Tatyana, quando lei gli rivela i suoi sentimenti; sul momento, per la verità, l’uomo getta la missiva nel fuoco ma, poi, la recupera, per restituirla alla ragazza. Questo passaggio è interessante, perché sottolinea non tanto il rifiuto, quanto una sorta di “respingimento temporaneo”: restituendo la lettera a Tatyana, Onegin scioglie l’impegno preso da lei. Il che non pregiudicherebbe un eventuale successivo approccio tra i due, cosa che sarebbe stata assai più difficile se la lettera fosse stata bruciata senza alcuna spiegazione. L’attesa avrebbe infatti snervato la ragazza, probabilmente con conseguenze ben peggiori per il suo sentimento nei confronti dell’uomo. Onegin era invece stato onesto, ai limiti del brusco, certo, ma anche Tatyana, col tempo, avrebbe potuto comprendere che si era, effettivamente, esposta troppo, mettendo il buon dandy spalle al muro. Nel secondo confronto, era invece la donna, a fare voto di onestà, restando fedele al marito quando non poteva non confessare di amare ancora Onegin. Insomma, che si sia la più ingenua delle fanciulle ottocentesche, o il più ozioso aristocratico della Russia zarista, la morale non cambia: l’onestà non garantisce affatto la felicità. Anzi.       




Liv Tyler





Lena Headley


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