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martedì 28 aprile 2020

SUA ECCELLENZA DI FERMO' A MANGIARE

560_SUA ECCELLENZA DI FERMO' A MANGIARE ; Italia 1961. Regia di Mario Mattoli.

Commedia farsesca che ha momenti assolutamente irresistibili, Sua Eccellenza di fermò a mangiare di Mario Mattoli è un film a cui manca forse un minimo di struttura morale, necessaria in ogni storia, anche nella più leggera, per poter dirsi davvero compiuta. Ed è un vero peccato, perché il pretesto narrativo con cui la vicenda si innesca è sorprendente e spassoso e il nostro stupore nel sentire annunciare l’arrivo del dottor Tanzarella (Totò) è quantomeno pari a quella di Ernesto (Ugo Tognazzi). In realtà Totò è un elegante truffatore che coglie al volo l’occasione per ricattare Ernesto, reo di tradire la moglie, salvo poi insistere nella parte del medico del Duce per sfruttare ulteriormente la situazione. C’è la scena del trapano, all’osteria, che è un altro esempio mirabile di costruzione dei meccanismi basati sugli equivoci, arte che la commedia italiana non sempre sviluppava come sapeva fare, preferendogli scorciatoie di grana più grossa. Che, alla lunga, emergono anche qui, soprattutto quando entra in gioco l’Eccellenza del titolo, ovvero un ministro del governo del Ventennio, interpretato da Raimondo Vianello. Qui il soggetto insiste gratuitamente sulla scarsa virilità mostrata dall’uomo nell’attività maschile per antonomasia, in una forma un po’ leziosa, (anche considerato il periodo d’uscita del film, che è del 1961) pur di prendere in giro alcuni argomenti cari a Mussolini e al suo regime. Il che sembra, più che altro, una ruffianata alla classe governativa del tempo: la satira politica ha un senso quando il regime è in carica, assai meno decenni dopo. Nonostante dai titoli di testa la sua sia presentata come semplice partecipazione, Totò è l’indiscusso mattatore; la coppia Tognazzi e Vianello, già collaudata dall’esperienza televisiva, cede infatti il passo al principe della risata a cui si ascrivono i momenti migliori del lungometraggio. 

Debole, ed è clamoroso visto il tema e le possibilità del testo, l’apporto femminile alla riuscita del film: Virna Lisi (Silvia), la splendida moglie di Ernesto, esce davvero con le ossa rotte dalla storia o, per usare una definizione cara agli italiani, cornuta e mazziata. Tre mesi di reiterati tradimenti di Ernesto sono cancellati e perdonati per il semplice fatto che la ragazza non è abbastanza focosa. Certo, c’è la critica ad un certo perbenismo incarnato dalla donna ma che suona come mera giustificazione al confronto di un atto come procurarsi un’amante e poi dedicarcisi per un trimestre intero. Ma anche l’amante in questione, Lauretta (Lauretta Masiero), non è che ci faccia una gran figura: compartecipe della figuraccia sessuale del ministro, quando Silvia decide di sciogliersi un po’ viene messa prontamente da parte. La contessa (Lia Zoppelli) madre di Silvia, preoccupata solo degli aspetti sociali e dalle eventuali opportunità di trarre qualche vantaggio, sembra quella che conosce come stare al mondo: è infatti lei che consiglia la figlia di farsi istruire dall’amante del marito su come comportarsi. E l’iniziale indignazione di Silvia è uno dei pochi moti condivisibili del passaggio. Che in una farsa sono peraltro leciti, sia chiaro, ma, curiosamente, il film di Mattoli ironizza su certi aspetti (la donna che viene cornificata, il ventennio fascista) mentre su altri atteggiamenti sembra approvare compiaciuto (la sanatoria ottenuta dal marito senza pagare alcun pegno, la truffa perpetrata da Totò con il ricamo finale del furto delle posate d’oro). E’ il solito vizio italiano e della commedia italica: si può prendere in gioco chi è inoffensivo (gli onesti, gli ingenui, i regimi ormai passati) ma chi fa il furbo e la sfanga non può che avere la generale approvazione.   





Lauretta Masiero



Virna Lisi






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