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venerdì 24 aprile 2020

DELITTO E CASTIGO

558_DELITTO E CASTIGO ; Italia 1983. Regia di Mario Missiroli.


La Rai, la televisione nazionale, aveva sempre guardato all’opera di Fëdor Dostoevskij, attingendone spunto per i suo famosi sceneggiati. Umiliati e offesi, (1958 regia di Vittorio Cottafavi), L’idiota (1959, di Giacomo Vaccari), I fratelli Karamazov (1969, di Sandro Bolchi) e I demoni (1972, sempre di Bolchi) sono tutte valide testimonianze del felice connubio tra l’autore russo e la televisione di stato italiana. Rimaneva forse in sospeso la questione Delitto e castigo: quello che era forse il testo più famoso di Dostoevskij aveva avuto un riscontro più controverso. Per la verità era stato proprio la truce vicenda di Rodiòn Romànovič Raskòl'nikov (interpretato da uno scatenato Giorgio Albertazzi) ad inaugurare la messa in onda televisiva di testi letterari, nel lontanissimo 1954. Più che uno sceneggiato, una rappresentazione teatrale ripresa e trasmessa in diretta. Poi, nel 1963, c’era stato il tentativo di Anton Giulio Majano ma, forse, almeno stando a parte della critica, il risultato non fu così convincente e in effetti, vent’anni la Rai mise in cantiere un ulteriore tentativo di dare forma televisiva allo splendido testo dostoevskijano. Purtroppo, l’età dell’oro dello sceneggiato televisivo era ormai tramontata e, così, anche la versione del 1983 è sostanzialmente una mezza delusione. Intendiamoci: l’attacco del testo di Dostoevskij è comunque una botta tremenda e, quindi, la prima puntata, di circa un’ora, lascia lo spettatore certamente turbato. 


Però, passato lo choc (che anche se la trama è risaputa è comunque d’urto), quando la storia deve lavorarsi lo spettatore, tra le sue pieghe emergono le scelte stilistiche di Mario Missiroli e qualche perplessità comincia a farsi strada. L’idea dell’uso del colore per realizzare una sorta di dipinto, più che una rappresentazione realistica, è buona; così come sembrano funzionali alcune scelte surreali, del resto quello di Dostoevskij potrebbe benissimo essere un incubo e, quindi, al cinema o in TV, un horror. Ma il ricorrere ad una messa in scena completamente teatrale, girata interamente in studio, per creare un’atmosfera angosciante non paga. 

Una certa impostazione scenografica artefatta era per altro tipica negli sceneggiati ma, a suo tempo, la cosa non veniva ostentata, essendo un limite; Missiroli la ritiene invece un utile strumento per non dare via di scampo ai personaggi e poterne approfondire le psicologie. Ma l’operazione frana proprio sulle prestazioni degli interpreti. Nello sceneggiato tipico una certa enfasi di stampo teatrale era necessaria, per distogliere l’attenzione dalle ambientazioni poco realistiche: ma occorrevano prestazioni eccellenti, in grado di tenere un registro tarato in eccesso ma senza perdere credibilità. Qui la situazione è più complessa, perché il romanzo di Dostoevskij è certamente ostico da trasporre sul video e Missiroli, nel tentativo di vincere la sfida, alza la posta, con una scelta stilistica più azzardata del solito. Sarebbe occorsa una superba alchimia recitativa nelle interpretazioni e chissà, forse la cosa poteva funzionare. Ma quell’alchimia né Mattia Sbragia, nel ruolo di Raskòl'nikov, né i suoi compagni d’avventura, la riusciranno a trovare. Del resto, nel 1983, lo sceneggiato televisivo italiano aveva fatto il suo tempo.



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