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lunedì 20 gennaio 2025

HOMBRE!

1610_HOMBRE . Stati Uniti 1967: Regia di Martin Ritt

Martin Ritt si cimenta di nuovo con il genere western e per farlo ricorre ancora a Paul Newman, attore con il quale il regista americano aveva già lavorato in cinque precedenti occasioni. Rispetto a Hud il selvaggio e L’oltraggio, le precedenti incursioni nel genere che vedevano impegnato lo stesso duo (regista e attore) questo Hombre! si prende meno rischi, e pur presentando alcune atipicità, rimane, almeno in un certo senso, in un solco più canonico. Uno degli aspetti più stranianti della pellicola è comunque Paul Newman: il bravissimo attore è, per stile e recitazione, abbastanza estraneo al genere Western, nonostante abbia nel curriculum nientemeno che il ruolo di una leggenda del west del calibro di Billy the Kid in Furia selvaggia di Arthur Penn. Ma Newman rimane un attore troppo moderno, troppo attuale per il genere più classico del Cinema: egli è uno dei migliori interpreti della disillusione dal Sogno Americano, ed ha un approccio troppo intriso da quel clima legato al tramonto di quegli ideali che, al contrario, almeno tradizionalmente il Western classico celebra. Ritt prova a girare a suo vantaggio questa marginalità espressa da Newman, ritagliandogli un, in verità ben poco credibile, ruolo da indiano; per la precisione da bianco allevato dagli Apache e poi tornato tra i bianchi. Quindi ben più che un emarginato: un individuo sballottato da una parte e dall’altra, e alla fin fine, relegato sempre ai margini. Newman ne approfitta per sciorinare un’interpretazione tutta battute secche e taglienti, e, nel complesso, i dialoghi sono uno degli assi portanti dell’intera storia. Comunque la vocazione eroica che permea il profondo della figura di Paul Newman attore, e che è alla base della sua tipica scanzonata disillusione, nel finale viene fuori, e, in questo, il film manifesta una sua deriva classica che per tutta la pellicola anche il regista aveva probabilmente cercato di negare. Il tema sociale è infatti più esplicito che in altri film del genere, e la critica alla politica americana nei confronti degli indiani è marcata in modo netto, come fosse un problema contemporaneo e non un elemento storico della vicenda narrata. Ma il sacrificio finale, fatto quasi controvoglia, è comunque un atto di eroismo quasi doppio, viste le premesse, e in questo modo il film concede, se non proprio il lieto fine, almeno un finale epico. Forse non tutte queste buone intenzioni cinematografiche si realizzano pienamente, ma, in definitiva, il film è più che piacevole.   



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