1610_HOMBRE . Stati Uniti 1967: Regia di Martin Ritt
Martin Ritt si cimenta di nuovo con il genere western
e per farlo ricorre ancora a Paul Newman, attore con il quale il regista
americano aveva già lavorato in cinque precedenti occasioni. Rispetto a Hud il selvaggio e L’oltraggio, le precedenti incursioni nel genere che vedevano
impegnato lo stesso duo (regista e attore) questo Hombre! si prende meno rischi, e pur presentando alcune atipicità,
rimane, almeno in un certo senso, in un solco più canonico. Uno degli aspetti
più stranianti della pellicola è comunque Paul Newman: il bravissimo attore è,
per stile e recitazione, abbastanza estraneo al genere Western, nonostante
abbia nel curriculum nientemeno che il ruolo di una leggenda del west del
calibro di Billy the Kid in Furia
selvaggia di Arthur Penn. Ma Newman rimane un attore troppo moderno, troppo
attuale per il genere più classico del Cinema: egli è uno dei migliori
interpreti della disillusione dal Sogno Americano, ed ha un approccio troppo
intriso da quel clima legato al tramonto di quegli ideali che, al contrario, almeno
tradizionalmente il Western classico celebra. Ritt prova a girare a suo
vantaggio questa marginalità espressa da Newman, ritagliandogli un, in verità
ben poco credibile, ruolo da indiano; per la precisione da bianco allevato
dagli Apache e poi tornato tra i bianchi. Quindi ben più che un emarginato: un
individuo sballottato da una parte e dall’altra, e alla fin fine, relegato
sempre ai margini. Newman ne approfitta per sciorinare un’interpretazione tutta
battute secche e taglienti, e, nel complesso, i dialoghi sono uno degli assi portanti
dell’intera storia. Comunque la vocazione eroica che permea il profondo della
figura di Paul Newman attore, e che è alla base della sua tipica scanzonata
disillusione, nel finale viene fuori, e, in questo, il film manifesta una sua
deriva classica che per tutta la pellicola anche il regista aveva probabilmente
cercato di negare. Il tema sociale è infatti più esplicito che in altri film
del genere, e la critica alla politica americana nei confronti degli indiani è
marcata in modo netto, come fosse un problema contemporaneo e non un elemento
storico della vicenda narrata. Ma il sacrificio finale, fatto quasi
controvoglia, è comunque un atto di eroismo quasi doppio, viste le premesse, e
in questo modo il film concede, se non proprio il lieto fine, almeno un finale
epico. Forse non tutte queste buone intenzioni cinematografiche si realizzano
pienamente, ma, in definitiva, il film è più che piacevole.
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