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sabato 17 agosto 2024

LA DONNA DEL LAGO

1531_LA DONNA NEL LAGO . Italia 1965; Regia di Luigi Bazzoni e Franco Rosselli.

Alla base di La donna del lago, film diretto a quattro mani da Luigi Bazzoni e Franco Rossellini, c’è il romanzo omonimo di Giovanni Comisso, a sua volta ispirato dal caso dei delitti di Alleghe. Tra il 1933 e il 1946 cinque omicidi commessi nei pressi del lago di Alleghe, erano rimasti sostanzialmente impuniti, almeno fino all’indagine giornalistica di Sergio Saviane, che, nel 1952, pubblicò un articolo in proposito su Il lavoro illustrato. Dopo varie peripezie anche giudiziarie, nel 1964 Saviane diede ulteriore forma narrativa alle sue informazioni con la pubblicazione de I misteri di Alleghe da cui scaturì un’indagine investigativa dei Carabinieri che portò all’arresto dei responsabili e alla loro successiva condanna.
Ispirandosi a questa vicenda, con l’aiuto di Giulio Questi in sede di sceneggiatura, Bazzoni e Rossellini imbastiscono un’opera allucinante, sfuggente ed onirica, che prova a interpretare gli stilemi del giallo discostandosi dalla tradizione anglosassone. Qui c’è poco da dedurre, perché tutto è confuso, le persone sono reticenti a parlare, le informazioni vaghe, tanto quelle che recupera il protagonista, Bernard (Peter Baldwin), quanto quelle che vengono fornite al pubblico. Lo spettatore si trova quindi nella medesima condizione del personaggio principale, uno scrittore che si reca in un paesino di montagna, affacciato su un lago, per trascorrere un breve periodo fuori stagione, nell’albergo dove aveva soggiornato l’anno precedente. Bernard è in crisi sentimentale, lo comprendiamo nella pur vaga telefonata dell’incipit, prima dei titoli di testa; o forse addirittura i suoi turbamenti sono esistenziali ma, come detto, La donna del lago non è un testo che fa dell’essere esplicito e chiaro il suo biglietto da visita. Il motivo del suo ritorno nello stesso albergo diviene però evidente allorché vediamo le foto che il giovane aveva scattato alla cameriera Tilde, e che erano il pretesto per rivederla. La bella Tilde è, infatti, interpretata da una quanto mai radiosa Virna Lisi e, quindi, è ben comprensibile che Bernard abbia voglia di rivederla: ma, della cameriera, nessuna traccia. 

Il padrone dell’albergo, Enrico (uno strepitoso Salvo Randone), un uomo affabile ma ambiguo, non si sbottona; il fotografo del paese, Francesco (Piero Anchisi), un tipo dall’aspetto inquietante, accetta di collaborare, ma anche il suo comportamento non sembra del tutto limpido. Irma (Valentina Cortese), figlia di Enrico, si dimostra amichevole, ma qualche dubbio lo lascia; Mario (Philippe Leroy), suo fratello, incute invece un certo timore. Sua moglie Adriana (Pia Lindström), unitasi a lui per un matrimonio d’interesse, ne pare più che impaurita; anche il comportamento della donna, in ogni caso, aumenta l’impressione di disagio. Su tutto quanto grava un’atmosfera cupa e angosciante; Bazzoni e Rossellini, aiutati dalla potente ed evocativa musica di Renzo Rossellini –padre di Franco, uno dei registi– e dalla splendida fotografia in bianco e nero di Leonida Barboni, confezionano un piccolo gioiello di straniamento surreale. Le fasi oniriche, alimentate anche dalla malattia che coglie Bernarnd, che rimane più giorni febbricitante a letto, confonde le idee che già faticavano a farsi strada nelle poche informazioni in possesso degli spettatori. Abitualmente, il «giallo» funziona un po’ come la storia di Pollicino, con lo spettatore indotto a seguire la trama dagli indizi che hanno la funzione dei sassolini bianchi lasciati dal protagonista dalla fiaba di Perrault. 

In questo caso, gli autori fanno una vera e propria scommessa: perché, seppur musica, fotografia e anche alcuni dettagli della trama, abbiano un forte traino, lo spaesamento causato dalla mancanza di un apparente filo logico negli avvenimenti rimane la sensazione predominante. Nel finale, il colpo di scena non ha la funzione di sorprendere lo spettatore ma di enfatizzarne lo sbigottimento: il «male» non ha origini esterne, ma interne alla famiglia, non è legato alla tipica violenza individuale, che abitualmente si manifesta nei maschi della specie umana, e neppure trae la sua forza dalla sfera sessuale, almeno non quella esplicita, che in genere ne è una delle prime cause. Nella reale vicenda dei «misteri di Alleghe», il denaro e i possedimenti, erano stati la causa scatenante e, in seguito, la pretesa di impunità, di chi si riteneva superiore alla Legge, era stato l’additivo che aveva sostenuto la catena di delitti. Nel film di Bazzoni e Rossellini, gli agenti sono una malata idea di famiglia e della sua rispettabilità in seno alla comunità, sebbene la questione economica, con l’arrivismo di Tilde come miccia di innesco, è comunque uno degli elementi sul tavolo. Un cambio di prospettiva legittimo, come qualsiasi scelta autoriale, sia chiaro. Nella vicenda originale, perlomeno per la versione conosciuta grazie al citato libro di Saviane, il Fascismo, con la connessa idea di impunità per i suoi rappresentanti più illustri, era uno dei fattori principali. 

Il che, naturalmente, si innestava sul concetto di società tradizionale patriarcale tipico del nostro paese di cui, del resto, il Fascismo stesso era un prodotto ideologico. La donna del lago è un film del 1965, influenzato, forse, dal Gotico nostrano, un «genere» che provava a dare al versione italiana dei tipici racconti gialli di stampo britannico. La figura di Irma –la cui follia è solo un’attenuante narrativa– metteva sotto accusa una donna giovane, una figlia; a rincarare la dose, seguendo questa chiave di lettura, era anche la figura di Tilde, idealizzata da Bernard e rivelatasi, in realtà, una persona avida e persino peggiore dei suoi due squallidi partner, Enrico e Mario.
Di lì a poco, anche in Italia, la protesta sessantottina porterà con sé le istanze rivoluzionarie del movimento femminista e la donna, nei successivi cinquanta e più anni, verrà indicata, da tutti, come la soluzione ad ogni problema di natura sociale. Al momento, siamo ancora intrisi da questa prospettiva, nonostante non manchino gli esempi che dimostrino come, in sostanza, non basti sostituire gli uomini di potere, o comunque collocati in ruoli decisivi, con donne per risolvere i problemi che attanagliano la società. A volte, viene addirittura il sospetto che, in questi casi, le cose siano persino peggiorate. Certo, La donna nel lago, con la sua vaghezza allucinate e onirica, non può essere preso come manifesto anticipatore di una eventuale pericolosa evoluzione sociale.
Ma come sogno premonitore forse sì.          




Virna Lisi 





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