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sabato 3 agosto 2024

IL SERGENTE YORK

1523_IL SERGENTE YORK (Sergeant York). Stati Uniti 1941; Regia di Howard Hawks.

Per raccontare le gesta di un eroe americano della Prima Guerra Mondiale come Alvin York, il regista Howard Hawks tenne probabilmente in conto della principale lezione di cinema in materia. Gli Stati Uniti, pur essendo stati decisivi nel conflitto, in generale non avevano sentito con grande trasporto la Grande Guerra e questo, dovendo fare un film su un eroe di quel conflitto, rischiava di essere un limite. King Vidor, nel 1925, con La Grande Parata aveva trovato una soluzione: occuparsi di altro nella prima metà del film e relegare le scene di guerra solo nella seconda. Hawks con Il Sergente York estremizza questo approccio: in un film che dura più di due ore, il militare interpretato da un fulgido Gary Cooper entra in contatto col nemico quando manca meno di mezzora alla fine e concluderà la sua esperienza bellica con ancora una decina di minuti scarsi a disposizione. Insomma, di guerra ne Il Sergente York se ne vede ben poca. In compenso sua madre (Margaret Wycherly), nella corposa fase di racconto ambientata nel Tennessee, dice chiaramente di non capire le ragioni di un conflitto che per gli americani non era affare che li riguardasse. Per questo il giovane York, dedito all’alcol e alle risse, insomma, americano tra gli americani, ha bisogno di un colpo di fulmine che lo converta in modo quanto mai energico e lo renda disponibile ad andare a combattere per la libertà altrui. A differenza di San Paolo, ad un buzzurro come Alvin, non basterebbe infatti vedere la luce e così la saetta lo colpisce direttamente, sortendo gli effetti desiderati. E’ evidente, anche quando non è troppo esplicita, la raffinata ma tagliente ironia di un genio come Hawks, forse non il più grande cineasta di sempre ma sicuramente una delle intelligenze più brillanti prestate al cinema. Ora York è pronto per andare al fronte rispettando la legge di Dio ma facendo comunque il suo dovere di soldato: accolto con sospetto per i suoi scrupoli di coscienza, il ragazzo rivela un naturale carisma che convince velocemente anche i superiori. D’altronde il vero Alvin York era un eroe di guerra, si è detto; nonostante Hawks fosse abbastanza navigato, in tal senso, bisognava stare attenti a non cadere nell’apologia. 

La situazione era complessa sin dal principio: mentre si girava il film, negli Stati Uniti si discuteva animosamente se prendere attivamente parte al secondo conflitto mondiale o tenersene fuori. Alcuni film di Hollywood erano di tenore interventista; certo Pearl Harbor ebbe il peso decisivo nella scelta americana di entrare in guerra, ma nel suo piccolo Il Sergente York, che uscì nelle sale per la prima volta a pochi mesi da quei fatti, diede il suo contributo in tal senso. Pieni furono invece i meriti, anche solo commerciali, del produttore Jesse Lasky: faticò a convincere Alvin C. York a concedere i diritti per un film sulla sua vita e lo fece in un momento in cui negli Stati Uniti il clima era di diffuso isolazionismo. Il contemporaneo attacco giapponese alle Hawaii proprio quando il film era nelle sale cambiò però l’opinione pubblica e agevolò il risultato al botteghino che, di conseguenza, fu un successo clamoroso. Si dice che Alvin C. York impose alcuni paletti, al fine di non trasformare il film in un’opera speculativa: i suoi guadagni sarebbero andati in beneficienza, il suo ruolo doveva andare a Gary Cooper e l’attrice che impersonava sua moglie Gracie non doveva essere famosa ne tantomeno una fumatrice (fu scelta Joan Leslie). Ecco che tanto ardore, anche genuino, per quello che comunque era un vero eroe, nelle mani sbagliate sarebbe potuto divenire un film-manifesto eccessivamente ideologizzato, con il rischio di perdere credibilità e una certa tridimensionalità. Un film di mera propaganda, insomma; magari anche in luce positiva, ma poco aderente alla realtà. 

Rischio pari a zero se alla regia c’è Howard Hawks. La volpe d’argento di Hollywood riuscì a raffigurare il prototipo dell’eroe americano per eccellenza prendendolo sostanzialmente in giro dal primo all’ultimo minuto ma insistendo in modo anche esplicito nelle fasi belliche. E nessuno parve accorgersene: gli spettatori ne erano tanto entusiasti che si narra che uscivano dalle sale e andavano direttamente ad arruolarsi. Cooper, che vinse il suo primo Oscar proprio per Il Sergente York, era fieramente convinto dei valori positivi del suo personaggio e lo ritenne sempre il suo film favorito proprio per questo. Ma quando vediamo oggi York spiegare come si abbattono le anatre in formazione in volo, dall’ultima alla prima in modo che non si spaventino, e che poi lo mette in pratica coi tedeschi in trincea, non può che venire da sorridere. Come anche per la semplicità con cui il sergente compie la sua eroica impresa: aggira di lato il fuoco nemico schivando i colpi della mitragliatrice e si presenta sul fianco della trincea tedesca, potendo così comodamente falcidiare i nemici uno alla volta. In tutta onestà Hawks non sembra affatto convinto della credibilità del resoconto storico, che riporta che York fece solo in quell’operazione oltre cento prigionieri, una trentina di tedeschi uccisi e altrettante mitragliatrici messe fuori uso. La scena in cui i soldati si rimbalzano la notizia dell’accaduto, aumentando l’entità dell’impresa in modo smaccatamente ironico, ne è la esplicita conferma. La bravura, la classe, del regista nato nell’Indiana era che ti poteva prendere in giro ma senza ridicolizzarti o cadere nello sberleffo: così del suo Sergente York abbiamo l’idea migliore che si potesse avere. Un brav’uomo, un onesto uomo qualunque, assurto ad eroe per caso ma che comunque, quando fu chiamato a fare il proprio dovere, non si tirò indietro. Un uomo semplice, all’inizio quasi un poco di buono, che scelse come proprie coordinate la Bibbia e la storia degli Stati Uniti d’America, comunque niente di eccessivamente complicato, almeno dal suo modo di intendere. La sua eclatante e poco credibile (al netto della sua autenticità storica) impresa Hawks seppe poi gestirla nel migliore dei modi: scherzando sopra sugli aspetti meno plausibili lui per primo e approfittando piuttosto per mettere in evidenza come la semplicità, suo mantra anche nel lavoro di regista, fosse l’arma vincente perfino in guerra. Una trincea non va presa di fronte ma di lato e i colpi di mitragliatrice basta schivarli. Noblesse oblige: che per un americano, anzi per l’americano per eccellenza (e si parla di Hawks, non di York) è tutto dire.   






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