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domenica 25 agosto 2024

BUTCH CASSIDY

1535_BUTCH CASSIDY (Butch Cassidy and the Sundance Kid) . Stati Uniti 1969; Regia di George Roy Hill.

Sui titoli di testa scorrono immagini color seppia, quando una didascalia ci avverte che “i fatti narrati in questo film sono quasi tutti veri”. «Quasi». Il racconto filmico comincia e siamo ancora in una sorta di bianco e nero: e quello che vediamo di credibile ha ben poco. Va bene che Sundance Kid (Robert Redford) sarà stato anche rapido con la pistola, però quello che combina al giocatore che gli chiede se era davvero veloce nel tirare, beh, va subito ad alimentare il dubbio che quel «quasi» della didascalia sia stato una dichiarazione strategica. Finita la scena della partita a carte, i due protagonisti – insieme a Sundance Kid c’è naturalmente Butch Cassidy (Paul Newman) – lasciano il saloon e il film, poco a poco, vira sul «colore». Una scelta stilistica assai singolare, ma forse si tratta del modo in cui il regista vuole comunicare l’intenzione di smarcarsi dalla ricostruzione storica conosciuta – già abbastanza romanzata di per sé – per raccontarci una sua versione. Per farlo si affida ad una coppia di attori di prim’ordine – Paul Newman e Robert Redford, ça va sans dire tra l’altro in particolare stato di grazia, che ben presto ci lasciano capire che il film è tutto tranne che una ricostruzione, anche solo «quasi» realistica. Pur se il genere della pellicola è certamente il western, il tono è quello di una ballata – nel senso di un’opera più scanzonata – sorretta dalla simpatia dei due protagonisti, banditi da operetta che non vogliono rassegnarsi alla fine dell’epopea del far west. Il film uscì nel 1969 e gli echi rivoluzionari del tempo permeano la storia, che però si mantiene leggera, tutt’al più malinconica ma certamente non militante. La confezione è di gran lusso: alcune scene, quella della bicicletta o l’ossessivo inseguimento della posse, sono notevoli; il finale, poi, è di grande impatto e il fermo immagine finale è un capolavoro. In sostanza il film vive di alcuni momenti topici, mentre i frizzanti dialoghi e la simpatia dei protagonisti amalgamano il tutto. 

Anche il commento sonoro rafforza questa idea: la canzone Raindrops Keep Fallin' on My Head è formidabile, sebbene suoni un po’ estranea al resto della pellicola. L’uso della bicicletta, Butch che indossa una bombetta, il tipo di bellezza di Etta (Katharine Ross), la musica, insomma tutta quanta la messa in scena, sembra anni luce da un qualsiasi western, anche il più revisionista o crepuscolare. Ed è proprio questo essere fuori luogo, proprio anche del film nel suo complesso, ad essere in sintonia con le figure dei protagonisti, eroi ormai superati che non si vogliono arrendere alla fine della propria epoca: in definitiva è questo lo spirito della pellicola. In questo senso l’operazione di George Roy Hill potrebbe sembrare curiosa: il film a prima vista può sembrare permeato del disagio giovanile sessantottino, ma i due protagonisti sono inadeguati in quanto legati a vecchi sistemi di vita, per cui è un disagio di natura non solo diversa, ma addirittura opposta a quello militante. Non è quindi politico il rifiuto verso la società, da parte di Butch e Kid, ma semplice voglia di libertà, rifiuto di ogni tipo di vincolo o responsabilità, come ben evidenziato dalla proposta dei due allo sceriffo: condono di ogni pena in cambio dell’arruolamento in guerra contro la Spagna. La bellezza del film consiste anche nella sua consapevolezza: l’insofferenza, l’incapacità dei protagonisti è mostrata sempre senza speranza, senza vie di salvezza. Simbolicamente, Kid e Etta non vanno mai verso la composizione di un nucleo famigliare – che al cinema, vedi il tipico «lieto fine» romantico, indica una luce prospettica ottimista – perché Butch rimane sempre nei paraggi come forza potenzialmente in grado di scombinare il rapporto. Nel finale, la ragazza abbandona il duo per tornarsene a casa, non prima di aver preannunciato la tragica fine dei suoi amici. La composizione all’apparenza poco armonica dell’opera – con le foto seppiate che ritornano durante il viaggio in Bolivia, ad esempio, rendendo l’aspetto formale del film poco omogeneo – è quindi funzionale ad una storia che mostra il disagio dei due protagonisti, personaggi fuori tempo e fuori luogo che non sanno dove andare e non seguono una direzione precisa. 
Un film leggero, poco impegnato, dunque? Anche. Ma, forse, in piena rivoluzione sessantottina, il Butch Cassidy di George Roy Hill fu la dimostrazione che si poteva uscire dagli schemi del conformismo borghese, senza necessariamente finire inglobati in quelli della contestazione.  





Katharine Ross 




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