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mercoledì 17 settembre 2025
HONDO
lunedì 15 settembre 2025
CAROVANA D'EROI
1730_CAROVANA D'EROI (Virginia City), Stati Uniti 1940. Regia di Michael Curtiz
L’anno successivo al suo esordio con il genere, Gli avventurieri [Dodge City, 1939], Michael Curtiz si cimenta nuovamente con il western con Carovana d’eroi, riuscendo anche stavolta a portare a casa il risultato. In realtà Carovana d’eroi è un western atipico, in quanto ambientato durante la Guerra Civile Americana, un elemento storico sempre piuttosto ingombrante al cinema hollywoodiano. In effetti non sembra affatto un caso che l’anno di uscita del film sia di poco precedente all’entrata in guerra degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale. Anche in quell’occasione gli States avevano soppesato la cosa per un certo tempo e il film di Curtiz sembra proprio un appello all’unità nazionale di fronte ad una difficile scelta. Al di là di questi elementi in qualche modo condizionanti, il regista di origine ungherese, pur non essendo acclamato come uno dei maestri del cinema autoriale, sapeva il fatto suo e raramente non coglieva nel segno. Carovana d’eroi è un film che supera le due ore ma Curtiz, una volta impostato il suo ritmo, non concede nemmeno un minuto alla noia: l’impressione, guardando queste sue vecchie pellicole, è che il regista di Casablanca sia stato un cineasta sottovalutato. In Carovana d’eroi Curtiz si permette anche alcune citazioni illustri, come la scena della galleria scavata dai galeotti che ricorda nientemeno che La grande illusione [La grande illusion, Jean Renoir, 1937] o quella più inerente al genere dell’uomo che si getta tra i cavalli di una diligenza lanciata a tutta velocità [lo stesso stuntman Yakima Canutt l’aveva girata l’anno prima in Ombre rosse, (Stagecoach), John Ford]. Ma la qualità migliore di Curtiz anche in questa pellicola è probabilmente sempre quella di assoggettare tutti gli elementi a sua disposizione alla riuscita di un film che funziona come un meccanismo oliato e perfettamente registrato. Solida sceneggiatura, opera di Robert Buckner e Howard Koch, musiche classiche di Max Steiner, fotografia stilosa in bianco e nero di Sal Polito: dal punto di vista tecnico non ci sono pecche, tutt’altro.
Sul cast, che è comunque sontuoso, qualche appunto si può fare, ma il terzetto d’assi è davvero ragguardevole: Errol Flynn è Kerry Bradford, ufficiale del controspionaggio nordista; Randolph Scott è Vance Irby, suo corrispettivo sudista; Humphrey Bogart è il bandito John Murrell. Come sempre, la sfacciata ed esuberante personalità di Flynn annichilisce chiunque gli capiti a tiro, tuttavia sia Scott che Bogart sono buoni incassatori. Il primo riesce ad essere credibile come avversario che, col tempo, si guadagna il rispetto dell’eroe del film, che è ovviamente il personaggio di Flynn, e, pur essendone sempre secondo, non ne viene sminuito in modo eccessivo. Diversamente da Scott, Bogie non aveva una presenza scenica per reggere il protagonista ma, a quel tempo, era ancora utilizzato come villain, ruolo che, in Carovana d’eroi, ricopre con particolare efficacia. Il suo Murrell è un tipo viscido e infido che ispira assai poca fiducia, soprattutto per il ghigno sinistro che era uno dei segni distintivi del Bogart prima maniera. Ad affiancare poi Kerry Bradford, il protagonista, ci sono un paio di spalle comiche: Alan Hale è Olaf e Gun «Big Boy» Williams è Marblehead, inserite nel copione per non far calare mai il tono del racconto. Curtiz, ancora una volta, dimostra la capacità di gestire con grande profitto il cast che la Warner Bros gli aveva concesso: Flynn era libero di scorrazzare a piacimento, Scott era comunque bravo a non farsi pestare i calli, Bogart sapeva stare defilato, con fare insidioso, mentre Hale e «Big Boy» Williams intervenivano nei momenti opportuni per alleggerire il racconto e prepararne il rilancio.
Probabilmente, Carovana d’eroi è troppo influenzato dal peso del tema principale per poter essere ascritto a qualche corrente del western: la «guerra tra gli stati», rammentata per fare appello, per contrasto, all’unità nazionale in vista dell’entrata in guerra, era come detto troppo ingombrante. Tuttavia il film risente comunque del clima generale che era diffuso nel genere, sebbene poi ne tradisca l’elemento cardine. Per il cinema western gli anni 40 furono caratterizzati da una fortissima deriva romantica che, in effetti, non manca nemmeno in Carovana d’eroi, anzi, tutt’altro. Del resto Errol Flynn era la tipica faccia da schiaffi che incarnava perfettamente l’ideale romantico di questo tipo di racconti. Tuttavia l’argomento principale, la Guerra Civile, non permetteva troppe divagazioni per cui, Carovana d’eroi non è propriamente un western romantico, corrente che altri titoli interpretarono in modo più fedele. Anche perché la protagonista, la pur valida Miriam Hopkins (è Julia), è lasciata da sola a fronteggiare troppi personaggi maschili. La Hopkins era una grande attrice, aveva recitato con registi del calibro di Ernst Lubitsch e Howard Hawks ma, nonostante bravura, bellezza, charme, intensità, non le manchino nemmeno in quest’occasione, non riesce a rendere davvero indimenticabile il suo personaggio. E, a ben vedere, in questo senso Carovana d’eroi è allora un perfetto Western Romantico, perché le sue sorti dipendono più dall’attrice che non dall’attore protagonista, cosa che nel successivo periodo, quello «classico» del genere, non sarà più vera.
E Carovana d’eroi, sebbene sia senza ombra di dubbio un film godibile, non va oltre quello; il che, stante tutti gli elementi a disposizione, qualche rimpianto lo lascia. A prima vista, a tradire è proprio il personaggio di Julia: il problema, probabilmente, non risiede nelle qualità dell’attrice, dal momento che la Hopkins era interprete di talento e non mancava del physique du rôle, come si può vedere nelle piacevoli scene del saloon dove si esibisce nei tipici abiti succinti. Così come difficilmente può essere Curtiz in regia a fare un passo falso: forse non avrà mai raggiunto le vette dei più grandi, ma ben raramente il cineasta nato a Budapest metteva il piede in fallo. Il punto è che Carovana d’eroi, come tutti i prodotti della grande Hollywood, coglie gli spunti del momento, che erano appunto quelli del western romantico: quindi, giovanotti ribelli ben oltre il consentito e ragazze gagliarde in grado di tener loro testa che, per ricondurli sulla retta via, ricorrevano alle loro classiche armi, bellezza e sensualità. Ma, in Carovana d’eroi, non succede niente di ciò: le schermaglie tra Kerry e Julia sono legate alle questioni politiche della Guerra Civile e, oltretutto, a stare con il Sud, e quindi dalla parte del torto –almeno a rigor di Storia ufficiale– è la ragazza. In sostanza il personaggio maschile, che nel western rimane comunque il riferimento, non ha alcuno sviluppo, nella vicenda; e, quello femminile, che in questi casi è il vero e proprio motore della storia, non ha che un pallido ruolo sentimentale da compiere. Nonostante tutto, Curtiz riesce a dare confezione formale di grande livello e Carovana d’eroi non delude certo lo spettatore; ma rimane forte il dubbio che sia un’occasione sprecata.
Miriam Hopkins
sabato 13 settembre 2025
IL TENENTE SHERIDAN - LA CORTINA DI FOSFORO
1729_IL TENENTE SHERIDAN - LA CORTINA DI FOSFORO, Italia 1959. Regia di Stefano De Stefani
La cosa curiosa dell’ultimo episodio della prima
stagione della serie dedicata al tenente Sheridan è che al centro del caso de La
cortina di fosforo ci sia un furto di una collana e nessuno venga
ammazzato. Il che, essendo Sheridan a capo della Sezione Omicidi, non dovrebbe
coinvolgere il nostro eroe dall’impermeabile chiaro interpretato da Ubaldo Lai.
Tuttavia la storia raccontata è abbastanza intrigante, un giallo classico, con
un pugno di potenziali colpevoli in un ambiente ristretto e si lascia guardare
con buon interesse per la soluzione finale. Il curioso titolo fa riferimento ad
una polvere fosforescente che viene spruzzata su chi non abbia preventivamente
disinserito il dispositivo apposito al momento dell’apertura della cassaforte
dove viene custodita la preziosa collana. Un espediente narrativo da fin troppo
arzigogolato da spiegare, figuriamoci da vedere in un film che dovrebbe far
leva sulla logica deduttiva. Tale stratagemma, infatti, è utile in un caso come
quello raccontato ne La cortina di fosforo, ma sarebbe uno sforzo
totalmente inutile e infruttuoso se il ladro si potesse dileguare una volta
compiuto il furto, come avviene nella realtà praticamente sempre in tali
circostanze. Tuttavia va ricordato che gli autori delle prime avventure del
tenente Sheridan dovevano architettare racconti che fungessero da pretesto per
una sorta di programma a quiz che era Giallo Club – Invito al poliziesco. Fatta
quindi la tara alle contingenti premesse, anche La cortina di fosforo
assolve degnamente allo scopo, forte anche dell’ambientazione particolarmente
suggestiva dell’episodio. Tra gli interpreti, oltre al solito Ubaldo Lay, si
può ricordare l’elegante Luisa Rivelli (è Pola).
giovedì 11 settembre 2025
IL TENENTE SHERIDAN - DELITTO A TEMPO DI ROCK
1728_IL TENENTE SHERIDAN - DELITTO A TEMPO DI ROCK, Italia 1959. Regia di Stefano De Stefani
Il rock and roll sembra essere un argomento
particolarmente caldo per gli autori del tenente Sheridan: nello scorso
episodio il colpevole si chiamava Rock sebbene non sopportasse la musica che
riecheggiava il suo nome, mentre, in questo nuovo appuntamento con il tenente
di San Francisco, già il titolo ci riporta sul medesimo tema musicale e la
sigla è accompagnata dal trascinante Rock-a-Bye Boogie dei The Modernaires. Delitto
a tempo di rock fa, in effetti, riferimento alla musica che l’imprenditore
Kent (Aldo Giuffrè) usa per dettare i tempi di lavoro ai suoi operai. Che sono
quasi tutti in sciopero: di 35 solo sei sono al carico delle mele e, nello
specifico, per quel che possiamo testimoniare sullo schermo ne compaiono solo
tre. In effetti questo episodio della serie sembra realizzato particolarmente
al risparmio, con un’ambientazione rurale, nei dintorni di San Francisco dove
abitualmente si svolgono le indagini di Sheridan, degna di una recita
parrocchiale. A questa sciatta scenografia si aggiunga l’intrigo non
particolarmente coinvolgente e il livello degli interpreti non precisamente
indimenticabile. Ubaldo Lai prova a fare il piacione, nei panni del tenente
protagonista, corteggiando Barbara (Franca Ferrari), al quale rivela,
vergognandosene un poco, il suo vero nome, Ezechiele, di cui Ezzy è solo un
diminutivo. Sheridan, in questo episodio, abbandonando la metropoli
californiana in cui sono ambientate le sue avventure, confessa in qualche modo
le sue origini italiane: non solo il nome Ezechiele, che in americano avrebbe
dovuto essere Ezekiel, ma il bere un prosaico bicchiere di latte anziché il
tipico whisky consumato dai personaggi dei noir americani. Si diceva delle
scarse qualità delle interpretazioni: su tutte spicca quella di Mario Scaccia
nei panni dell’inguardabile sceriffo Taylor. Da arresto immediato lui, altro
che i colpevoli.
martedì 9 settembre 2025
IL TENENTE SHERIDAN - BUIO ALLE OTTO
1727_IL TENENTE SHERIDAN - BUIO ALLE OTTO, Italia 1959. Regia di Stefano De Stefani
In questo
episodio, il tenente Sheridan (Ubaldo Lai), entra in scena dopo una ventina di
minuti ben abbondanti, praticamente a metà telefilm. Del resto l’enigma giallo
da sciogliere è più particolare che complicato. Il vecchio industriale Slelman
(Franco Scandurra) è stato trovato morto nel suo studio; tutti gli indizi
puntano sul nipote Rock (Nino Dal Fabbro), uno sfaccendato che è l’erede
diretto. Ma Rock ha un alibi: si è, infatti, premunito di istruire a dovere
Norah (Maria Pia Nardon) –in cambio di una promessa di lauta ricompensa– di
confermare di come abbiano passato insieme, a casa della ragazza, la serata in
cui lo zio è morto. A Sheridan, giacca e cravatta d’ordinanza, non serve molto
per scoprire la loro bugia e, con essa, come si sono realmente svolti i fatti.
Non si tratta di omicidio, ma suicidio, con il vecchio Slelman che aveva deciso
di togliersi la vita a fronte di una situazione finanziaria catastrofica della
propria azienda. Questa la motivazione apparente, ma, in tutta evidenza, c’era
anche un altro piccolo grande dettaglio ad indurre il magnate a togliersi la
vita. Un dettaglio determinato dal lungo incipit iniziale, quello senza la
presenza del tenente titolare della serie Tv: Slelman aveva infatti assistito
ad una discussione tra la sua giovanissima compagna Jane (Lyla Rocco) e il
nipote Rock, nella quale i due rivelavano di essere interessati unicamente ad
ereditare il suo patrimonio attraverso l’assicurazione sulla vita, incautamente
stipulata dal vecchio industriale. Nessun affetto li legava all’anziano, anzi,
non vedevano l’ora che tirasse le cuoia. L’assicurazione in questione aveva
però una clausola, fatale ai piani di Rock e Jane: la compagnia non avrebbe
pagato un cent in caso di suicidio. Se le belle ragazze della storia, Jane e
Norah, rimangono a bocca asciutta, peggio va al nipotastro Rock, che finisce
portato al gabbio da Sheridan, senza che ci venga specificato il capo di accusa
–non potendo essere omicidio da momento che lo zio è morto suicida. Poco male,
a parte l’antipatia del personaggio, è la giusta sorte per un tizio che dice di
chiamarsi Rock e non sopporta Little Richard.
domenica 7 settembre 2025
IL TENENTE SHERIDAN - SEDICI ORE PER NON MORIRE
1726_IL TENENTE SHERIDAN - SEDICI ORE PER NON MORIRE, Italia 1959. Regia di Stefano De Stefani
Il terzo episodio della serie Giallo Club – Invito
al poliziesco con protagonista il tenente Sheridan rivela fin dal titolo Sedici
ore per non morire la natura del racconto filmico impostato sulla suspense.
La signora Sarah Morgan (Lia Zopelli) è stata condannata alla camera a gas per
aver avvelenato il marito (Silvano Tranquilli) e ormai la sua ora è quasi
giunta. La sua ultima speranza è il tenente Sheridan che prende a cuore le
istanze della donna e rivede completamente il processo, per verificare se ci
possa essere un errore. La Morgan è, infatti, particolarmente convincente e da
questo passaggio narrativo, possiamo desumere che Sheridan non sia poi quel
duro che gli autori cercano di far apparire. Sedici ore per non morire è
un buon esempio di giallo, che si lascia seguire con piacere, sorretto dalla
curiosità di scoprire se la condannata a morte sia effettivamente colpevole o
meno. Nel complesso, l’ottimo Ubaldo Lai è ben coadiuvato da Lia Zopelli, e il
cast in generale si allinea alle pretese di un telefilm che per l’epoca si può
definire pionieristico, almeno in ambito nazionale. Il colpo di scena con la
soluzione finale non è scontato ma, forse, un filo contorto, sebbene questo sia
un peccato veniale che si può perdonare considerato che, nell’insieme, Sedici
ore per non morire è un piacevole passatempo.
venerdì 5 settembre 2025
IL TENENTE SHERIDAN - MORTE DI UNA SPIA
1725_IL TENENTE SHERIDAN - MORTE DI UNA SPIA, Italia 1959. Regia di Stefano De Stefani
Dopo l’esordio in Qualcuno al telefono, il
tenente Sheridan (Ubaldo Lai) ritorna all’opera in Morte per una spia,
episodio che, pur se godibile, non manca di lasciare ben più di qualche
perplessità. Che si possono intuire già nella scelta del titolo: sul momento
verrebbe infatti da chiedersi come un tenente della Squadra Omicidi di San
Francisco, possa essere coinvolto in un caso di spionaggio, ma è appunto un
errore in cui si può essere indotti dal nome equivoco dell’episodio. La “spia”,
citata nel titolo, non è, infatti, un “agente segreto” ma un “informatore”
della polizia: che gli autori, esattamente come il loro protagonista, lasciano
intendere di disprezzare definendolo con il termine poco lusinghiero di chi,
nei vari ambiti della vita quotidiana, rivela la verità a chi è incaricato di
accertarla, sia esso un genitore, un insegnante, il datore di lavoro, un
poliziotto –appunto– e via di questo
passo. Il voto di omertà, a cui ogni buon cittadino italiano sembra dover
sottostare, tanto per capirci, è lo stesso che le organizzazioni mafiose poi
sfruttano a dovere ma, anche senza scomodare Cosa Nostra, è curioso che in un
poliziesco la figura del “soffia” sia trattata in modo simile. Sheridan, non
solo disprezza apertamente Tom Bates (Tonino Pierfederici), ma sottovaluta i
rischi che l’informatore corre, tanto che, sostanzialmente, la missione del
tenente fallirà, visto che l’uomo finirà poi ucciso dai sicari incaricati di
fargli la pelle. Di fronte alla sconsolata vedova di Bates, Brenda (Liliana
Tellini), il tenente non ha il minimo moto di umanità ma si compiace con sé
stesso nel dimostrare la propria abilità, scoprendo facilmente l’identità del
colpevole, inevitabilmente da cercare nel pugno di personaggi presenti nel
motel in cui è avvenuto l’omicidio. La scena è godevole, con tutti i sospettati
presenti e con Sheridan che elenca i passaggi della sua indagine, tendendo poi
una trappola in cui il sicario finisce per cascare. Nel far questo, si ricordi
che lo sceneggiato è del 1959, gli autori inseriscono un paio di curiosità
tecnico-investigative, come le impronte digitali e il guanto di paraffina,
quest’ultimo spiegato con dovizia di particolari. Trovato il colpevole ed
erroneamente convinto di aver fatto “il suo” –in realtà il compito del tenente
era quello di proteggere Bates– Sheridan se ne va, mentre Brenda continua a
piangere sconsolata. Tipo ambiguo, questo Sheridan, e basterebbe il ghigno di
Lai per capirlo, ma c’è qualcosa anche di più del sorriso inquietante che non
va, nel tenente. Qualcosa le cui tracce si possono trovare anche in passaggi di
minore importanza, ma rivelatori del pensiero, probabilmente, non tanto del
personaggio, ma, piuttosto, degli autori alle sue spalle. Quando vede per la
prima volta la più giovane delle sorelle della temperanza, Jeanne (Rosa
Maria Rocchi), Sheridan si volta sornione a darle uno sguardo alla figura,
sorridendo compiaciuto. Quando poi nota il sergente Howard (Carlo Alighiero),
fare lo stesso, lo redarguisce subito: coerenza questa sconosciuta, d’accordo,
ma per un tipo che si spaccia per essere tutto d’un pezzo suona un po’ più che
ipocrita. Tuttavia questa caratterizzazione del protagonista tutt’altro che
edulcorata, promette di essere il vero piatto forte della serie.