1641_LA DISCORDE . Francia, 1976. Regia di Georges Franju
Nel 1978, tre anni dopo il non certo lusinghiero
risultato del telefilm L’Homme sans Visage, Georges Franju ottiene
l’incarico di dirigere un film televisivo della collezione Cinéma 16. Il
regista era un autore capace e al tempo soltanto sessantaseienne; le speranze
per un buon risultato erano legittime. Certo, ad essere onesti, guardando la
filmografia di Franju appariva chiaro che il suo momento d’oro era sempre più
lontano, legato ai cortometraggi e ai primi film su pellicola, in un arco
temporale che andava dal 1949 de Le Sang des Bêtes
al 1962 de Il delitto di Thérèse Desqueyroux. Poi c’erano stati
altri lavori interessanti, spesso con spunti notevoli, ma la parabola della
creatività dell’autore sembrava nella sua fase discendente. Una traiettoria inasprita
e ripresa poi dal progetto L’Homme sans Visage nel suo complesso: accettabile
il film Nuits Rouges che lo anticipava nel 1974 nelle sale– anche se
decisamente inferiore al precedente simile L’Uomo in Nero del 1962 –
assai meno riuscita la serie televisiva del ’75, conclusa in modo troppo
raffazzonato anche per una sorta di feuilleton quale era. Questo suo
nuovo lavoro si apre con un pizzico di ironia che lascia ben sperare: un film
intitolato La Discorde [la discordia] si apre con l’atterraggio di un
Concorde, il cui nome ha un significato letteralmente opposto. Ma è una falsa
pista: Bernard (Daniel Gelin), l’uomo in arrivo, non troverà alcuna concordia
nel suo ritorno a casa e di umorismo nel film ce ne sarà ben poco. Facoltoso
uomo d’affari, Bernard si era progressivamente stancato della propria famiglia:
la moglie Cécile (Francine Bergé) borghese perbenista, la figlia Francine (Geneviève
Bender) “divorata dalla vanità” e il figlio Arnaud (François Nocher) un
piccolo nazista. Quello che rendeva insopportabile la vita famigliare a Bernard
era la convinzione che la moglie stesse recitando una commedia a bella posta,
senza alcuna sincerità; quanto ai figli, due estranei di cui aveva quasi
disprezzo. Come detto, La discorde viene trasmesso nel 1978; nel
racconto Bernard fa ritorno dopo essere stato in Argentina dieci anni: se ne
può dedurre che la situazione che aveva indotto l’uomo a lasciare il suo paese
fosse quella precedente alla rivoluzione sessantottina. E’ altresì abbastanza
evidente una certa somiglianza fisica tra Gelin e Franju, quasi che l’uomo
d’affari del film fornisca una sorta di interpretazione autobiografica del
regista. In effetti Franju è sempre stato critico con la società borghese e gli
spunti di natura sociale sono presenti in molti dei suoi film, soprattutto
quelli del periodo migliore. E’ però curioso che la figura maggiormente
criticata dal regista, quella del patriarca borghese – La fossa dei
disperati (1958) e Occhi senza volto (1960) per citare giusto due
titoli – sia qui invece quella che funge da riferimento. Peraltro, per quanto
la prospettiva sia quella di Bernard – attraverso la quale arriva la critica di
Franju – anche il comportamento dell’uomo non è certo edificante. Lascia i suoi
doveri, famigliari e anche professionali, per dieci anni e poi torna come se
nulla fosse; mah. Tuttavia questi elementi sono ignorati dal racconto che si
focalizza invece sulla trasformazione che Bernard trova al suo ritorno: la
moglie è divenuta di sinistra, la figlia un’esperta d’arte
rivoluzionaria e conduce una trasmissione radiofonica mentre il figlio una
sorta di hippy. In realtà, almeno stando a Bernard/Franju è cambiato il copione
ma le persone continuano a recitare: prima andava il credo borghese, ora quello
rivoluzionario ma la mancanza di sincerità e autenticità è la medesima. Se
Franju avesse continuato a lavorare, avrebbe potuto mettere a referto un
ulteriore cambiamento, quando con gli anni 80 la borghesia rampante tornò
prepotentemente di moda – trovando proseliti spesso proprio tra coloro la
contestavano più ferocemente nel decennio precedente. Restando a La Discorde,
si deve riconoscere che l’acume del regista è quindi rimasto intatto;
oggettivamente assai meno la sua capacità di tradurlo in una prosa
cinematografica davvero efficace.
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