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martedì 27 febbraio 2024

IL LUNGO COLTELLO DI LONDRA

1444_IL LUNGO COLTELLO DI LONDRA (Circus of Fears). Regno Unito 1966; Regia di John Llewellyn Moxey.

Dopo tre anni e sei adattamenti per la serie The Edgar Wallace Mysteries, John Llewellyn Moxey decide di sfruttare questa sua esperienza con i soggetti del grande scrittore inglese per il ritorno al cinema da grande schermo. Il lungo coltello di Londra – funambolico titolo italiano per l’originale Circus of Fear – è infatti tratto dal racconto I tre giusti del maestro britannico dei gialli. Rispetto ai precedenti film per la Tv, Il lungo coltello di Londra si differenzia innanzitutto per il colore della pellicola in luogo del canonico bianco e nero e per una maggiore durata, la classica ora e mezza dei film previsti per l’uscita nelle sale contro l’ora scarsa dei precedenti televisivi. Questo permette a Moxey di dare ampio spazio agli intrighi della trama che, peraltro, finiscono per risultare perfino eccessivi. Anche perché il colpo di scena finale con la scoperta del colpevole, il film è un classico whodunit, non è di per sé efficacissimo e funziona solo per l’ammaliante manovra narrativa orchestrata dagli autori. In effetti il meccanismo giallo per essere davvero efficace dovrebbe dare più informazioni allo spettatore sul colpevole, dissimulandole abilmente in modo che la rivelazione finale non arrivi del tutto inaspettata. Lettori e spettatori, quando il racconto deduttivo è ben costruito, più che per il colpo di scena in sé sono stupiti per non esserci arrivato da soli pur avendo avuto gli elementi per farlo. Ne Il lungo coltello di Londra questo non avviene non potendo sapere, chi guarda, che Eddie (Eddi Arent) sia il figlio del Grande Danilo, un noto lanciatori di coltelli circense. Tuttavia il ritmo incalzante degli avvenimenti non dà tempo allo spettatore di annoiarsi tenendo le tante trame in costante sviluppo e questo è in effetti uno stratagemma narrativo altrettanto valido al finale davvero a sorpresa. Da questo punto di vista Moxey si supera nello strepitoso incipit: una decina di minuti senza una parola, che raccontano di una complicata rapina ad un furgone trasporta valori, fermato e derubato proprio in mezzo al Tower Bridge, il celeberrimo ponte mobile di Londra sul Tamigi. La regia, in ogni caso, non molla mai la presa anche nel resto del lungometraggio. Il regista inglese sfrutta abilmente l’ambientazione circense per creare un’atmosfera davvero affascinante e che racchiude le peculiari e differenti influenze di quel particolare universo. Un pizzico di esotismo – gli animali come leoni, elefanti, dromedari – la magia tipica del circo – gli acrobati, i clown, il nano – ma anche un filo di inquietudine – le maschere grottesche, il lanciatore di coltelli. Il tutto in una cornice semi documentaristica visto che le riprese furono realizzate nel Bill Smart’s Circus, uno dei più famosi circhi londinesi. 

In ogni caso il versante inquietante è poi alimentato anche dalla trama – siamo pur sempre in un racconto di Wallace – e dal cast, nel quale spicca la presenza di Christopher Lee nel ruolo di Gregor, il domatore di leoni che se va in giro con una maschera nera sul volto. In effetti l’uomo si spaccia per il proprio fratello, e questo passaggio fa parte del complesso castello narrativo che presenta numerosi svincoli e intrecci. I fan di Lee potrebbero rimanere un po’ delusi, visto che il mitico attore icona dell’horror britannico scopre il volto solo verso il finale ma, per lo spettatore diciamo così neutrale, il fatto non costituisce in sé una nota di debolezza del film. Klaus Kinski è un altro elemento del cast che incrina l’atmosfera con la sola presenza: nel racconto ha un ruolo marginale, e forse serve più che altro a ribadire, insieme a Heinz Drake (è Carl) la coproduzione tedesca dell’opera. In questo senso appare chiaro il debito del film di Moxey al cosiddetto genere krimi, ad esempio l’incipit che ricorda gli stilemi della spy-story, oltre alla presenza di Kinski, vera star della corrente tedesca ispirata a Wallace, ma anche dello stesso Drake che in patria era altrettanto noto nell’ambito dei film gialli prodotti dalla mitica Rialto. 

Nonostante la trama sentimentale non sia particolarmente sviluppata, nel cast spiccano le presenze delle biondissime Suzie Kendall (è Natasha) e Margaret Lee (è Gina) che permettono comunque alla storia qualche passaggio acceso, dalle gelosie tra uomini ad un lieve momento erotico. In sostanza tutta la sponda ambientata nell’ambito circense gronda tensione: il malloppo della rapina è stato nascosto lì e questo è un ulteriore elemento che alza i toni ma già tra i vari personaggi non è che regni un’atmosfera idilliaca. Fedele al suo classico cliché dei racconti di Wallace non manca neanche il ricatto, con Mr Big (Skip Martin) che scuce denaro a Gregor. Che il personaggio del nano si chiami Mr. Big [Grande] è un pizzico ironia, altrimenti nel lungometraggio esclusiva delle forze dell’ordine chiamate ad indagare. L’ispettore Elliot (Leo Genn) è un personaggio che dispensa il tipico humor inglese semplicemente con il suo compassato modo di fare. Il suo superiore Sir John (Cecil Parker) è invece direttamente ridicolo e viene preso in giro in modo spudorato dallo stesso Elliot, ad esempio nella gag delle sigarette, dove l’ispettore gli fa il verso imitandolo. Nonostante tutto, la polizia nel racconto è peraltro vista come garanzia di legalità e lascia un’impronta decisamente positiva. Come suo solito, Moxey opera sempre con un misto tra audacia e prudenza e per il suo ritorno al grande schermo, preferisce un soggetto meno pessimista di altri suoi adattamenti da Wallace. Senz’altro positivo, in ogni caso: Il lungo coltello di Londra è un testo ricco di azione e tensione e conferma l’abilità tecnica del regista.






Margaret Lee 









Suzy Kendall 






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