1688_L'IMBROGLIO , Italia 1959. Regia di Giacomo Vaccari
L’adattamento televisivo di commedie teatrali non sembrava lasciar spazio all’espressione artistica del regista di questo tipo di opere. Per capirci, spesso, il Radiocorriere Tv, che era l’organo di stampa ufficiale della Rai, in alcuni articoli di approfondimento manco si prendeva la briga di citare chi fosse dietro la telecamera. Del resto le prime riduzioni televisive erano sostanzialmente teatro filmato e la mano in regia era effettivamente tanto discreta da passare inosservata. In genere, comprensibilmente, era data più importanza all’autore del soggetto, soprattutto quando si tratta di opere letterarie famose, in qualche caso si sottolineava chi curava l’adattamento, in buona sostanza la sceneggiatura; quasi mai si teneva in considerazione chi dirigeva effettivamente la ripresa televisiva. Se potrebbe trattarsi di una sorta di mancanza, in senso assoluto, vista l’importanza di chi mette comunque l’ultima parola, quando c’è Giacomo Vaccari dietro la telecamera è una vera e propria ingiustizia. Vaccari aveva uno stile che, nonostante il garbo e la discrezione tipica delle «Riduzioni televisive» non venisse mai tradito, si percepiva distintamente. Si veda, ad esempio, la scena dello scherzo col formaggio sostituito dal sapone, in avvio de L’imbroglio: i personaggi della pensione ridono sguaiatamente in modo grottesco, in netto contrasto tanto con il clima narrativo del racconto quanto con il contesto. Certo, c’è da subito una caratterizzazione un po’ forzata delle figure, si pensi a Edvige (Betty Foà), la cameriera, o al vecchio impiegato (Achille Majeroni), ma la risata generale sembra effettivamente eccessiva nei toni. Gilberto Loverso, nel suo articolo sul Radiocorriere Tv, citava naturalmente Alberto Moravia, autore del racconto rappresentato, e Marco Visconti, lo sceneggiatore, ma dei meriti di Vaccari nessuna traccia. [Gilberto Loverso, L’imbroglio, Radiocorriere Tv n.17, 1959, pagina 34].
Opinioni legittime, sia chiaro, eppure anche l’utilizzo della musica, sin dai titoli di testa con la canzone di Domenico Modugno Piove (Ciao ciao Bambina), un pezzo forte e riconoscibile, ma anche durante il racconto, per sottolineare i momenti romantici che tradiranno il protagonista, sembrano scelte «registiche» in tutto e per tutto. O lo stesso incipit, con il protagonista, Gianmaria (Stefano Svevo), di cui ascoltiamo i pensieri, come partecipando con lui allo spettacolo che prenderà, per convenzione, ufficialmente il via dopo i crediti con la carrellata degli artisti impegnati. Forse Giuliana Lojodice sembra enfatizzare troppo il suo ruolo, in avvio, ma poi ci si rende conto che il suo registro interpretativo è perfetto per il personaggio di Santina, ragazza duplice, e la scena dello specchio è puro cinema da grande schermo, che inganna fin dal nome. Ottimo, seppur in un ruolo minore, Ubaldo Lay, dal momento che l’attore romano aveva un che di ambiguo che si esaltava nelle figure di individui discutibili. L’amarezza del racconto di Moravia sembra davvero terribile e, seppur si può trovar soddisfazione nello scorno di Negrini (il personaggio di Lay) e della sua degna compagna, la signora Cocanai (Laura Carli), certo la punizione per la malriposta ingenuità di Gianmaria appare anche eccessiva. O forse no; forse è le centomila lire che Gianmaria regala a Santina non sono la tassa dell’ingenuo. In effetti, nel finale, la direttrice della pensione (Lia Angeleri), rimprovera Gianmaria di essere avventato e non ingenuo. Ecco, L’imbroglio che metteva in guardia l’individuo dal non credere alle facili promesse o alle storie strappalacrime non voleva smorzare la fiducia nel prossimo, ma la dabbenaggine tipica di chi crede alle frottole per inseguire sogni di vanagloria. Al contrario, una certa ingenuità di fondo e la fiducia nel prossimo sono valori, ed è sacrosanto preservarli. Prova ne è la direttrice che rende l’orologio avuto in pegno da Gianmaria, rinnovandogli la propria fiducia.
Nessun commento:
Posta un commento