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sabato 5 ottobre 2024

QUI SQUADRA MOBILE - IL SALTAFOSSI

1556_QUI SQUADRA MOBILE - IL SALAFOSSI . Italia 1973; Regia di Anton Giulio Majano

Per i primi tre episodi, gli autori, preoccupati di convincere lo spettatore-cittadino della bontà complessiva dell’apparato delle forze dell’ordine, avevano dipinto uno scenario all’interno della Polizia praticamente idilliaco. I commissari, gli ispettori e gli agenti protagonisti di Qui Squadra Mobile andavano d’accordo, cooperavano con ottima sinergia e perfino il magistrato Lancia si era dimostrato una persona disponibile e collaborativa. Un quadro, come accennato, ben poco realistico e che cozzava con la pretesa di verosimiglianza della serie televisiva. L’arrivo sulla scena del Procuratore Giustolisi (Aldo Massasso) evidenzia invece le divergenze ideologiche tra la Magistratura, di matrice politica, e la Squadra Mobile, di natura più operativa. I contrasti non sono solo dialettici ma ben più profondi, in particolare tra Giustolisi e il capo della Mobile Carraro e, forse ancor più, con il sanguigno capo della Omicidi Solmi. La trama di quest’episodio si basa su un omicidio di un ricettatore, risolto grazie al solito colpo di fortuna, uno dei cliché della serie, che si concretizza in un bambino in grado di riconoscere a menadito qualunque automobile, compresa la Toyota Celica di uno dei due assassini, oltre all’utilizzo del «saltafosso» che dà il titolo alla puntata. Il saltafosso è uno stratagemma utilizzato durante gli interrogatori, in buona sostanza un bluff, con cui Solmi e i suoi colleghi riescono ad incastrare i colpevoli. Anche quest’episodio si contraddistingue per la manovra collettiva della Squadra Mobile, con i vari personaggi ormai ben definiti nelle rispettive personalità a cui basta poco per dare comunque un contributo significativo. Tra i passaggi da segnalare si può citare il clima migliorato in casa Carraro, con la figlia Laura più serena nei confronti del padre, e, di segno opposto, la crisi sentimentale tra Argento e l’ispettrice Nunziante. Una puntata tutto sommato in cui migliora la scorrevolezza della narrazione seppure l’intreccio investigativo, di per sé stesso, non scaldi eccessivamente. Comunque pienamente sufficiente.    


venerdì 4 ottobre 2024

MONDO MOVIE - AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI UN PAESE

MONDO MOVIE - AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI UN PAESE




Mondo movie, autopsia di un genere, autopsia di un paese è uno studio sugli pseudo documentari italiani nati nella scia di Mondo cane [1962, di Gualtiero Jacopetti, Paolo Cavara e Franco Prosperi]. L’utilizzo di termini presi dalla medicina è unicamente un modo per evidenziare come si intenda trattare il «genere» cinematografico in questione alla stregua di un organismo vivente; soprattutto perché la sua parabola esistenziale può sinistramente essere paragonata a quella dell’Italia. Se è possibile stabilire in modo evidente la «morte» di un tipo di film, dal semplice fatto che non ne vengano più prodotti, più difficile è verificare cosa e come può capitare qualcosa di analogo ad una nazione. Naturalmente il destino di un popolo non è oggetto di un semplice studio come questo –in pratica l’analisi di un «genere» cinematografico nemmeno tra i più stimati, per usare un eufemismo– tuttavia già evidenziare alcune analogie può essere un risultato soddisfacente (e preoccupante).     

Nel trattamento sono presi in esame oltre 140 film ascrivibili, in un modo o nell’altro, al fenomeno dei Mondo movie italiani. Per una cinquantina di essi, i più significativi, uno studio approfondito consente di tracciare un quadro generale attendibile che consenta di cogliere le analogie tra i Mondo movie e la società italiana degli ultimi cinquant’anni. 



giovedì 3 ottobre 2024

QUI SQUADRA MOBILE - UN CASO ANCORA APERTO

1555_QUI SQUADRA MOBILE - UN CASO ANCORA APERTO . Italia 1973; Regia di Anton Giulio Majano

Nel terzo appuntamento gli autori di Qui Squadra Mobile si prendono un rischio mica da ridere: al centro della scena è infatti il piccolo Paolo (Fabrizio Mazzotta), un bimbo di una decina d’anni abbandonato a sé stesso. Il pericolo, soprattutto per una serie poliziesca, è che la commozione derivante da vicende che vedano coinvolti innocenti bambini finiscano per ammosciare la tensione narrativa, finendo per svilire un racconto che fa dell’azione il suo punto di forza. Ma lo si è detto: uno degli obiettivi di Qui Squadra Mobile è mostrare il lato umano della Polizia e quindi la scelta degli autori è di un rischio calcolato. Superato in modo indenne, per altro, soprattutto grazie alla simpatica verve di Mazzotta –che, in seguito, diverrà esperto doppiatore– che, nonostante la giovanissima età, si disimpegna con sorprendente nonchalance. La presenza di un ragazzino con cui avere a che fare è il pretesto narrativo che consente alla coppia Alberto Argento –capo della Sezione Rapine– e Giovanna Nunziante –ispettrice della Polizia Femminile– di prendere il centro della scena. L’attenzione che lo sceneggiato riserva alle «donne-poliziotto», definizione che oggi farebbe inorridire gli amanti del politicamente corretto ma che al tempo si usava abitualmente, vuole probabilmente essere, negli intenti degli autori, un riconoscimento a tutte quelle agenti che cercavano di sovvertire anche un certo scetticismo nei loro confronti. In Italia, la professione di agente di polizia era aperta agli individui di sesso femminile dal 1961 e non aveva ancora una tradizione particolarmente consolidata. Con una certa dose di onesta ingenuità, Majano e i suoi collaboratori riservano alla Nunziante i compiti dove possa far valere la propria sensibilità, caratteristica che, almeno nell’immaginario comune, vede le donne essere particolarmente dotate. E anche questo, volendo vedere, rientra a pieno titolo nel tentativo di riqualificazione della reputazione della Polizia agli occhi dell’opinione pubblica che è un po’ la cifra stilistica complessiva di Qui Squadra Mobile. Tra le operazioni di cui si incarica la Squadra Mobile, per risolvere il caso al centro di questo episodio, c’è quella di rintracciare il padre di Paolo, il bambino trovato a vivere di espedienti in avvio di puntata. Un lavoro collettivo che coinvolge anche Leonello Astolfi (Gino Lavagetto), capo della Sezione Furti, e Ugo Moraldi (Giulio Platone), capo della Buoncostume. Senza dimenticare il sottoufficiale della Squadra, il maresciallo Enrico Attardi (Francesco di Federico), un personaggio un po’ macchiettistico ma che, con la sua spiccata umanità, scala posizioni su posizioni nel gradimento con l’andar degli episodi. In uno sceneggiato particolarmente avaro dal punto di vista del glamour femminile, anche comprensibilmente, considerato l’ambientazione, salta subito all’occhio la fugace presenza di un’attrice del calibro di Vira Silenti. L’elegante Vira, nei panni di «una crocierista», ci mostra amabilmente come bere tequila con sale e limone. Nel 1973, sul Programma Nazionale, l’odierna Rai Uno, in prima serata: noblesse oblige.  

martedì 1 ottobre 2024

QUI SQUADRA MOBILE - RAPINA A MANO ARMATA

1554_QUI SQUADRA MOBILE - RAPINA A MANO ARMATA . Italia 1973; Regia di Anton Giulio Majano

Il secondo episodio di Qui Squadra Mobile sembra rispondere all’esigenza di aumentare il grado di intensità del racconto come si può già intuire dal titolo, Rapina a mano armata. La puntata comincia subito con il pedale dell’acceleratore premuto, con la scena della rapina in cui gli spietati criminali non esitano a freddare uno degli impiegati. Alcuni passaggi, come le telecamere di sorveglianza dell’istituto di credito in grado di rilevare la targa dell’auto dei banditi in fuga – operazione tecnicamente all’epoca quasi impossibile – lasciano intravvedere eccessivamente uno degli scopi alla base della serie, ovvero infondere fiducia e sicurezza nelle forze dell’ordine. Non si fatica a credere che, come riportano le cronache, a collaborare ai soggetti come consulente tecnico fosse l’ex capo della Squadra Mobile di Roma Salvatore Palmieri. [Qui Squadra Mobile, secondo episodio: Rapina a mano armata, Radiocorriere TV, n. 20, 13 maggio 1973, pagina 57, Edizioni ERI, Torino]. In effetti l’enfasi con cui si sottolinea l’efficienza della Polizia, in questo episodio ma in generale nella serie, è perfino eccessiva, al punto da correre il rischio di far passare come una sorta di spot promozionale l’intera produzione. In ogni caso, la storia procede più speditamente, avendo alle spalle già la puntata precedente e, di conseguenza, i personaggi sono già stati adeguatamente introdotti. Oltre a Carraro, che tira la fila delle indagini, tra i tanti membri della squadra comincia a farsi sempre più strada l’esuberante umanità di Solmi. Anche del capo della Sezione Omicidi, interpretato da Orazio Orlando, veniamo a conoscenza della vita privata, nel suo caso incentrata quasi unicamente sul figlioletto Matteo (Francesco Baldi); Solmi è infatti rimasto vedovo e anche per lui, come per Carraro, non è semplice conciliare la vita famigliare con le esigenze professionali. Tuttavia l’attore napoletano, assecondato dal regista, ebbe carta bianca riuscendo a tratteggiare un personaggio credibile: “Non volevo ripetere i canoni”, dichiarò ad una intervista, “non volevo rifare Maigret; ho tentato di uscire fuori da certi modelli sfruttando le mie corde. Il regista Majano m’ha accordato fiducia ed il mio temperamento ha fatto il resto. Costruire un personaggio è un’impresa ardua ma eccitante; darne una connotazione attraverso i gesti, con l’intonazione della voce, penetrare i blocchi di realtà con tutte le sue parvenze, questo è quello che bisogna tentare”. [Intervista a Orazio Orlando, da Salvatore Bianco, Un napoletano che beve tè, Radiocorriere TV, n. 23, 3 giugno 1973, pagina 92, Edizioni ERI, Torino]. Il risultato è molto buono: Orlando sfrutta in modo misurato ma convincente la propria natura napoletana, intercalando l’eloquio del commissario Solmi con qualche espressione tipicamente partenopea che contribuisce nell’opera di caratterizzazione del personaggio, senza sconfinare mai nella caricatura. Curioso che anche l’attore si riferisca a Maigret come modello da evitare quando, nella serie, per ricondurlo al lavoro di equipe, Carraro più volte lo redarguisca con un perentorio “Smetti di fare il Maigret!”. In un episodio che quindi registra un passo in avanti dal punto di vista qualitativo rispetto al già positivo esordio, si possono segnalare altri due membri del variegato gruppo di protagonisti: il Procuratore Lancia (interpretato dal bravo Carlo Alighiero) è un magistrato con cui Carraro riesce ad avere una discreta sintonia. Quella delle difficoltà d’intenti tra poliziotti e magistrati sarà un tema che emergerà più avanti, nella serie e, per il momento, Lancia lascia quasi sorpresi per quanto sia accomodante nei confronti della Squadra Mobile. Una figura che non ha poi molto spazio, ma è trattato con deferenza sia dai personaggi del racconto che dal racconto stesso, è Angelo De Maria (Gianfranco Mauri), dirigente della Polizia Scientifica. La fiducia nella scienza è, in effetti, un altro compito che si era posta da sempre la Rai e che si prefiggeva anche Qui Squadra Mobile: dall’onnipresente Sala Operativa, con tanto di Cervello Elettronico interrogato con puntualità, e particolarmente attivo in questa puntata, alle analisi biologiche o balistiche dell’unità guidata da De Maria. Si è detto della consulenza tecnica alla serie di Palmieri, ex capo della Mobile di Roma, e il suo operato è perfettamente leggibile nello schema che sorregge il canovaccio dell’episodio. Nel film, viene praticamente escluso sin da subito che una rapina di tale ferocia, con un impiegato ucciso per pura crudeltà, sia opera della malavita romana, al tempo scarsamente organizzata. In effetti, l’utilizzo dei sistemi scientifici, aiuta a capire velocemente che uno dei rapinatori sia un «marsigliese» proveniente dal nord Italia. Questo passaggio narrativo fa riferimento ad un momento storico: come detto Roma, fino all’alba degli anni Settanta, era un terreno ancora relativamente vergine per la malavita organizzata. Alcuni evasi, ricercati e pregiudicati appartenenti al Milieu Marsigliese, uno dei cartelli criminali francesi, erano entrati in Italia cercando nuovi territori e, dopo aver bazzicato un po’ nel nord del Paese, erano infine approdati a Roma. Si trattava del celebre Clan dei Marsigliesi, in buona sostanza la prima organizzazione criminale attiva nella capitale italiana. Un passaggio epocale nella vita sociale italiana e averlo colto con tale puntualità e precisione è un altro segno del valore degli autori di Qui Squadra Mobile.