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lunedì 26 luglio 2021

IL GIUDICE E IL SUO BOIA

858_IL GIUDICE E IL SUO BOIA . Italia, 1972; Regia di Daniele D'Anza.

Da un romanzo giallo non proprio semplicissimo (Il Giudice e il suo Boia di Friedrich Durrenmatt) l’affidabile Daniele D’Anza ricava l’omonimo sceneggiato televisivo Rai che, forse proprio una certa inafferrabilità rende particolarmente affascinante. Il cruccio di Durrenmatt, probabilmente, era dimostrare la fallacità della Giustizia umana, la sua incapacità di assurgere a Verità assoluta: per questo il protagonista, il commissario Barlach (nella riduzione televisiva italiana uno strepitoso Paolo Stoppa) alla fine del racconto incastra il suo arcinemico, Grauber (Glauco Mauri, grandissimo pure lui), pur sapendolo innocente del caso in questione. Grauber, vecchio amico di Barlach, in gioventù l’aveva sfidato, dimostrando al poliziotto che si poteva uccidere un uomo e poi farla franca, spacciando la cosa per suicidio. A nulla erano valsi i tentativi di Barlach di fare giustizia, Grauber aveva continuato beffardamente a fare la sua vita sempre ben oltre il confine della legge, sebbene negli anni si fosse costruito una posizione rispettabile. Ora, la sorte, o meglio una complicatissima concatenazione di eventi, permetteva al commissario di addossare la responsabilità al suo nemico per la morte di Schmied, tenente di polizia che aveva proprio l’incarico di sorvegliare Grauber per coglierlo in fallo. Ma Barlach sapeva che questi era innocente, perlomeno di quest’ultimo omicidio; nonostante ciò avrebbe colto l’occasione per fargli pagare il conto in sospeso. 

Il comportamento di Barlach appare quindi un po’ troppo ossessivo e anche un po’ ambiguo, specie nei confronti del suo assistente Tschanz (Ugo Pagliai): nello sceneggiato, Stoppa stempera e dilata assai questi aspetti, con i suoi modi sornioni e, anche grazia alla sua capacità affabulatoria, la storia si segue senza sforzo nonostante la trama non sia proprio facilmente comprensibile in tutti i suoi risvolti. L’attore romano al tempo aveva 66 anni e il suo personaggio qualche acciacco di troppo così, almeno a livello ufficiale, il commissario richiede al suo superiore Lutz (il solido Franco Volpi) un aiuto. La scelta cade, su esplicita richiesta di Barlach, su Tschanz, interpretato come detto da Ugo Pagliai. Pagliai, in questa occasione è meno convincente di altre, forse perché, col suo registro leggermente più sobrio e meno teatrale di Stoppa o Mauri, rimane un po’ imbrigliato nelle complessità narrative della trama. 

E’ infatti lui il vero colpevole dell’omicidio di Schmied e, con l’andare avanti della storia, appare evidente che Barlach lo abbia intuito subito, o comunque presto; del tutto deliberatamente, e assai discutibilmente, organizza a loro insaputa una resa dei conti tra Tschanz e Grauber, in modo da poter incastrare, in un modo o nell’altro, quest’ultimo. Nello scontro a fuoco, il poliziotto finisce per avere la meglio, ma Barlach, a questo punto, gli rivela che conosce la verità e lo ha manovrato a proprio piacimento. In questo senso è da intendere il titolo dell’opera, come spiegato dallo stesso Tschanz: Barlach è stato il giudice e Tschanz il boia. Ma dire che giustizia sia stata fatta sarebbe un po’ un azzardo, anche se alla fine Tschanz paga le sue colpe suicidandosi. Come si vede è un racconto particolarmente problematico, con la Giustizia gestita in modo del tutto personale dal protagonista, che trama con la vita del suo prossimo, finanche questi sia colpevole, pur di raggiungere il suo scopo. 

Esemplare, e stupefacente, il passaggio nella prima parte, quando Barlach e Tschanz si introducono nel giardino di villa Grauber e, quando vengono aggrediti dal cane di guardia alla casa, lo freddano con un colpo di pistola. Si tratta di un importante incastro narrativo, in quanto il bossolo lasciato dalla pistola di Tschanz è raccolto da Barlach, che se ne servirà per provare la colpevolezza del suo assistente, ma lascia interdetti la nonchalance con cui viene ucciso un animale che, in fondo, era nel suo legittimo comportamento. Di diversa natura la perplessità che lascia il presunto movente che ha spinto Tschanz ad uccidere Schmied: l’invidia professionale appare un pretesto poco credibile. Questo perché non viene particolarmente approfondita, in questo senso, la pista sentimentale, che avrebbe potuto essere ben più convincente: Anna Schaffroth, la fidanzata di Schmied, una bionda platino da favola, è interpretata in maniera superba da Gabriella Farinon e l’interesse di Tschanz nei suoi confronti pare evidente sin da subito. E una sventola come era all’epoca la Farinon potrebbe essere un movente più plausibile, almeno narrativamente, di molti oscuri passaggi di un racconto intrigante ma non del tutto oliato a dovere.   


 Gabriella Farinon

    



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