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domenica 13 aprile 2025

LE DERNIER MELODRAMA

1652_LE DERNIER MELODRAMA . Francia, 1979. Regia di Georges Franju

Raramente la carriera di un cineasta, o anche di un artista in genere, ha avuto un’uscita di scena tanto simbolica e rappresentativa quanto quella di Georges Franju. Il regista la cui poetica era stata definita realismo fantastico lascia il mondo dello spettacolo con un’opera suggestiva che vede al centro della scena alcuni commedianti ambulanti. Si tratta di un altro film televisivo per la serie Cinéma 16, dopo quello realizzato dal regista bretone l’anno precedente: Le dernier mélodrame [L’ultimo melodramma] è l’emblematico titolo di una storia che ha protagonista, come detto, una compagnia teatrale itinerante. All’inizio della carriera Franju era stato realizzatore di fondali per il teatro e, con gusto che ricorda la sua vena simbolica surrealista, lì fa ritorno per chiuderla. Il palco allestito dai saltimbanchi del Grand Théâtre Larémolière fa infatti sfoggio per tutto il racconto di una serie di sfondi pregevoli ed evocativi che rendono particolare questo film televisivo. Non eccezionale, sia chiaro, dal punto di vista del ritmo e della storia in sé: l’autore accusa una certa stanchezza e si premunisce di esplicitarla attraverso le parole del protagonista, Larémole de Larémoliere (Michel Vitold) che, analogamente al precedente Bernard interpretato da Daniel Gelin ne La discorde, ha per Franju un ruolo semi-autobiografico. Anzi, anche maggiore rispetto al citato uomo d’affari, visto che Larémoliére è figura di spettacolo e, oltre che attore, anche regista della compagnia. Lo stesso nome, poi, riecheggia ovviamente Molière, celeberrimo commediografo francese, ma l’aggettivo Grand del teatro e la vaga somiglianza del nome stesso riporta alla mente anche Le Grand Méliès, cortometraggio di Franju dedicato al pioniere del cinema d’oltralpe. Il congedo del regista bretone sembra cosciente e queste citazioni paiono nostalgici ricordi della propria carriera: la presenza di una ancora deliziosa Edith Scob (è Lilette) – attrice feticcio dell’autore – è la più evidente ma c’è anche la scena del macellaio – con la testa bovina aperta a colpi di mannaia – che ricorda spudoratamente Le Sang des Bêtes (1948) mentre la trama gialla nel finale ci riporta ai suoi primi lungometraggi. Quello che emerge tristemente da Le dernier mélodrame è che la Francia è cambiata e per gli artisti come Franju, legati alla propria tradizione culturale, non ci sia più posto. Un discorso che si riallaccia al citato La discorde dove il protagonista non riconosceva più la società francese dopo i dieci anni passati in Argentina. Tornando ai nostri saltimbanchi, nella prima città in cui si esibiscono un gruppo di scapestrati giovinastri motociclisti arriva con il solo scopo di creare disordini durante lo spettacolo. Sul momento il sindaco, presente in un palco dedicato, aizza contro i teppisti i suoi gendarmi; poi, dopo l’opportuno consiglio della moglie – in fondo i ragazzi sono figli di possibili elettori – l’opinione del primo cittadino muta di 180° gradi. Il Grand Théâtre Larémolière è costretto a sloggiare e si trasferisce in un piccolissimo borgo: qui, in principio, le cose sembrano migliori. Ma la mentalità dei paesani è ancora ristretta e i testi teatrali possono sembrare anche sconvenienti, in questo caso una torbida pièce con protagonisti i Borgia ambientata in Vaticano. La società francese, insomma, secondo Franju o è in decadimento oppure ancora troppo arretrata. Perché presto il vento cambia anche in paese e ora i saltimbanchi cominciano ad essere malvisti; l’appesantito barista Alphonse (Bernard Diney) inizia a non sopportare più le quotidiane visite del vecchio Frédréric (Raymond Bussières) che si ubriaca tutti i giorni. Maria (Juliette Mills), l’ancora piacente moglie di Alphonse, scorge la possibilità di eleminare il marito, imbruttito e malato di cuore, di cui ormai è stanca. E se a farne le spese sarà il Grand Théâtre Larémolière poco male: l’arte ormai conta meno di una banale storia matrimoniale sommersa dalla noia. E così, al termine di un parapiglia comunque abbastanza efficace, Alphonse tira le cuoia di infarto, scioccato da una fucilata sparata a salve dei saltimbanchi. Gli artisti erano stati preventivamente allertati delle intenzioni incendiare del barista dalla stessa Maria, che opera un doppio gioco mirato a spaventare fatalmente il marito. Il quale, codardo com’era, non aveva avuto il coraggio di appiccare il fuoco alla benzina con cui aveva inondato il teatro, per la verità; Maria, in ogni caso, lo conosceva bene ed è lesta a cogliere l’attimo. Il teatro va in fumo, in tutti i sensi. Chissà, forse la donna, a quel punto, poteva anche risparmiarselo: ormai Alphonse era morto, il suo scopo raggiunto. Ma era anche tempo per Franju, che quel teatro incarnava, di chiudere, e allora perché non approfittare di un finale ad effetto?
Fantastico e credibile, in fondo. Addio, Maestro. E grazie di tutto. 


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