Translate

martedì 21 novembre 2017

VORTICE

38_VORTICE . Italia, 1953;  Regia di Raffaello Matarazzo

Il regista Raffaello Matarazzo insiste nella sua personale ricetta strappalacrime, e propone un nuovo capitolo del melodramma all’italiana: Vortice, con Massimo Girotti e Silvana Pampanini. Da quando Catene ha aperto le porte del successo di massa al regista romano, non solo la formula è stata ripetuta più volte, ma si può dire che abbia inaugurato, all’interno della produzione cinematografica italiana, una vera e propria corrente alternativa al neorealismo (sebbene venga anche definita neorealismo d’appendice). Di norma, il melò è un genere particolare, perché non si fa scrupoli ad usare gli aspetti sentimentali anche in modo eccessivo: e la versione italiana, ben rappresentata dalle opere di Matarazzo, é tra quelle che enfatizza maggiormente queste sue peculiarità. E’ evidente come queste caratteristiche cozzino con gli aspetti più sobri del neorealismo; e questa contraddizione con il fenomeno culturale cinematografico italiano per eccellenza, non ha certo giovato alla fama del melodramma all’italiana. Sottovalutazione che tocca quindi anche Vortice, un film sicuramente interessante, e in genere invece liquidato come un prodotto che semplicemente solletica gli appetiti più facili e popolari.


 Viceversa, la pellicola di Matarazzo merita almeno alcune considerazioni: innanzitutto va premesso che, trattandosi di un melodramma, è implicito che le congiunzioni sentimentali del racconto siano enfatizzate. Detto questo, l’intreccio alla base del film è sorprendentemente buono, con Luigi (Gianni Santuccio) che ordisce un piano diabolico per avere la bella Elena (la Pampanini). Ma tutta la vicenda Luigi- Elena-Guido (il Girotti) è ben calibrata, ed é funzionale anche l’inserimento di Clara (Irene Papas). Per questo intrigo, il tasso di lacrime è già notevole, ma tutto sommato giustificato dai patimenti amorosi dei protagonisti dell’intreccio. Il problema è che Luigi ed Elena hanno una figlia; la quale fino ad un certo punto, rimane anche un po’ in disparte, risultando quindi ininfluente. 


Poi, quando la trama sembra virare al giallo, e questo sarebbe stato probabilmente il massimo per la funzionalità del lungometraggio, la piccola diviene il punto cardine della storia, e finisce per affogare tutto e tutti in un eccessivo (a dir poco) mare di lacrime. A pensarci sembra quasi che la questione della figlia sia inserita, e gli sia dato un peso spropositato, per prevenire eventuali critiche all’immoralità dei personaggi; in particolare della madre Elena, nell’intimo bramosa di lasciare il marito per tornare con Guido, anche se, al contempo, decisa a rimanere legata ai vincoli matrimoniali. In ogni caso, durissime da digerire le scene della piccola rinchiusa in un istituto e ghettizzata dalle compagne per aver fatto la spia accusando (sebbene involontariamente) la madre nel colloquio con gli inquirenti. 
Il melò ha un confine, oltre il quale si cade nel cattivo gusto, e francamente Matarazzo, in quei frangenti, se non lo varca, ci va pericolosissimamente vicino. Peccato, perché senza la drammatica questione della piccola Anna (o almeno con una sua drastica riduzione), e dando un po’ più di corda all’intrigo poliziesco della seconda parte, il film sarebbe potuto anche essere un piccolo capolavoro, nel suo genere. Nell’insieme rimane uno spettacolo divertente, a tratti appassionante per i torbidi intrighi, a tratti stucchevole per gli eccessivi sentimentalismi. Ma è un rischio che si deve conoscere, quando si decide di guardare un melodramma di Matarazzo.



Silvana Pampanini









Nessun commento:

Posta un commento