19_IMPROVVISAMENTE L'ESTATE SCORSA (Suddenly, last summer). Stati Uniti, 1959; Regia di Joseph L. Mankiewicz.
L’immagine in bianco e nero di una porta socchiusa, dalla
quale entra presto una sinuosa figura femminile vista di spalle: l’abito scuro,
elegante, attillato, ne disegna le armoniche curve, la vita strettissima e la
perfetta linea dei fianchi. La donna dai capelli neri si gira verso l’obiettivo:
è Elizabeth Taylor, raramente vista così bella, sebbene un po’ scossa; il
vestito invece mantiene la sua eleganza e rende merito alle grazie della diva,
che risplendono radiose anche nella nuova prospettiva. L’inquadratura è
leggermente dal basso, come se la
Taylor fosse su un balcone; in realtà è su un corridoio
sospeso, ed ha lo sguardo che si fa da disperato a via via sempre più
terrorizzato. Sotto di lei, sotto il corridoio sospeso, ci sono decine di
pazzi che, al vederla, rimangono, giustamente folgorati; la donna cerca di
fuggire ma la porta non si riapre. I pazzi si riprendono presto dalla sorpresa,
cominciano ad animarsi, lentamente, poi si agitano sempre più, sempre più
minacciosi. Il più affamato si
allunga e riesce ad afferrare una delle tornite gambe della ragazza, che grida sempre
più sconvolta; si divincola, riesce a liberarsi, ma eccone un altro che ci
prova dall’altra parte del corridoio. Questa drammatica sequenza è una delle migliori del torbido Improvvisamente l’estate scorsa di Joseph L. Mankievicz, con Elizabeth Taylor (Catherine), Katharine Hepburn (Violet Venable) e Montgomery Clift (il dottor Cukrowitz).
Forse l’entrata in scena di Violet, con un ascensore che la
fa scendere dal piano superiore al piano terra, e poi tutto il suo iniziale dialogo con il
dottor Cukrovitz fino alla visita nella giungla,
il giardino di casa Venable, è superiore come impatto: la Hepburn scintilla pazzia e
fascino malato da ogni dente dell’agghiacciante, seppur tutt’altro che brutto,
sorriso. Per atteggiamento e pettinatura ricorda Elsa Lanchester ne La moglie di Frankestein (le manca solo
la meche bianca). Un abbinamento non
del tutto campato in aria: nel vecchio film Universal, la Lanchester interpretava
sia Mary Shelley, la creatrice della creatura, (la madre quindi), che the monster’s mate, la compagna del
mostro. Un ruolo occupato anche dalla Mrs. Venable di Improvvisamente l’estate scorsa, visto che tra i protagonisti manca
ancora da citare Sebastian, il figlio di Violet, con il quale la donna
intratteneva un rapporto torbido e innaturale; mostruoso quanto le piante del
suo giardino, insomma. Sebastian sarà la figura incombente sulla storia, ma
anche mancante, visto che la sua morte è avvenuta improvvisamente l’estate scorsa e nei flashback non comparirà mai
in volto. Le scene citate sono solo due tra le tante eccellenti di questo lungometraggio, la cui origine teatrale giustifica che si giochi praticamente solo sulle straordinarie performance recitative degli attori in gioco. In sostanza si tratta di un testa a testa tra la Hepburn e la Taylor , dove, forse un po’ a sorpresa, quest’ultima supera la rivale non solo in bellezza e gioventù, ma anche in bravura.
E c’è pure una coincidenza che anticipa questo tema, sebbene
non possa avere alcuna valenza in più del semplice caso, visto che la sua
origine era già nella piéce teatrale
di Tenneesse Williams: il personaggio della Taylor si chiama Catherine, che
echeggia il nome della Hepburn; e nel film quest’ultima è Violet, ovvero il
colore dei famosissimi occhi della divina Liz. Insomma, il caso sembra quasi
che abbia scambiato i rispettivi ruoli. Non c’è nessuna casualità invece
nell’opera censoria, che ha eliminato dal film tutti i riferimenti espliciti al
tema portante del soggetto, ovvero l’omosessualità di Sebastian, e la sua
eventuale(?) connessione al rapporto con la madre. Il risultato può anche
essere soddisfacente, non solo per i censori: il film rimane così nei limiti
richiesti, ma ad un pubblico adulto appaiono chiarissimi tutti i riferimenti
sessuali.
La forza evocativa del racconto, magistralmente animato
dalla capacità recitativa della Taylor, ben contrappuntato dalle stravaganze
della Hepburn e supportato dalla disponibilità di Clift, esplode nel finale,
dove si raggiunge l’apice della tensione. Le scene della morte di Sebastian,
inseguito dai ragazzi di Cabeza de lobo
sono terrificanti; la musica incalzante, le inquadrature ossessive.
La mano di Mankiewicz sulla macchina da presa è discreta, la
sua regia fonda su altri fattori la forza da imprimere al lungometraggio: sull’alta
prova di recitazione di cui si è detto, ma anche sulle immagini, ad esempio
sull’abbagliante bianco e nero delle scene dell’isola; oppure sulla musica,
fino al ricorso ad alcune soluzioni classiche. Si prendano come riferimento in
tal senso la citata scena con i pazzi (che ricorda La fossa dei serpenti di Anatole Litvak) che è successivamente ripetuta,
quando Solo un dubbio ci lascia un ultimo brivido: perché Catherine, nel finale, parla ancora di se stessa in terza persona?
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