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lunedì 27 novembre 2017

FAHRENHEIT 451

44_FAHRENHEIT 451 . Regno Unito 1966;  Regia di François Truffaut

La prima neve d’inverno imbianca una brughiera inglese, accanto ad un fiume che scorre pigramente. Alcuni individui passeggiano apparentemente non troppo preoccupati dal freddo, recitando versi in differenti lingue; l’unico a noi comprensibile dice: ho intenzione di narrare un racconto pieno di orrore. Lo sopprimerei volentieri se non fosse una cronaca. Sappiamo, visto che siamo al finale del film, che a parlare è Montag (Oskar Werner),  che sta leggendo I racconti del mistero e dell’immaginazione di Edgar Allan Poe. E’ quindi questa la chiave di lettura di Fahrenheit 451 di François Truffaut, tratto dall’omonimo romanzo di Ray Bradbury? E’ quindi una storia realistica e attuale, una cronaca appunto, ma piena di orrore, quella che l’autore francese ha necessità di raccontare? Il film è una storia di fantascienza distopica, apparentemente ambientata in un futuro non troppo lontano; è evidente che anche nella matrice letteraria dell’opera vi sia già insita una metafora su quanto accadeva nella società americana del dopoguerra. Truffaut la visualizza nella sua trasposizione con una mirata strategia: ipotizza alcuni elementi futuribili, come lo schermo gigante o i programmi televisivi che coinvolgano, non si sa come, direttamente gli spettatori; ma inserisce anche alcuni dettagli retrò, dagli apparecchi telefonici al veicolo dei vigili del fuoco, mischiandoli ad altri di gusto strettamente contemporaneo, come la casa di Montag, il protagonista dell’opera.

Il risultato è un pastiche poco omogeneo che non lascia intendere se quello che si veda sia un futuro possibile o magari un presente possibile; a darci la definitiva idea che stiamo osservando un presente senza passato, e quindi senza futuro, sarà poi il resto dello sviluppo del lungometraggio. Nella società della storia raccontata, è vietato leggere e possedere libri; quando vengono trovati, i testi, vengono bruciati da una unità operativa dedicata appositamente a questo scopo, ovvero i Vigili del Fuoco. La motivazione di questa messa all’indice della letteratura, è, per farla breve, legata alla volontà di controllo sulla popolazione da parte dell’elite dirigente.

La letteratura, attraverso le opere degli scrittori, frutto delle loro esperienze, custodisce il nostro passato; eliminata la quale, si potrà sostituire questo spazio vuoto con la contemporaneità del flusso delle immagini televisive. La simultaneità della televisione, enfatizzata efficacemente dalla scena in cui Linda (Julie Christie) guarda un programma da casa partecipandovi, è apparentemente solo un dettaglio, ma invece è cruciale. La donna si compiace pensando a cosa diranno le amiche avendola vista in diretta allo show televisivo; non è solo sua, se ne deduce, la partecipazione all’evento mediatico, ma collettiva. In questo senso c’è un riferimento anche agli sport che, proprio per la loro natura, tendono a uniformare il momento di fruizione; a differenza dei libri, che possono invece essere letti con tempi diversi e in tempi diversi.

E allora diventa chiaro che la lotta alla letteratura sia una lotta alla diversità, in luogo di un tentativo di uniformare invece gli individui per poterli meglio controllare. In un mondo così uniformato si perderà così la figura dell’altro: non a caso quando Montag incontra un’altra donna, Clarisse, questa è uguale alla moglie (e infatti è interpretata sempre dalla Christie): in un mondo di uguali, non si possono trovare persone diverse. L’esaltazione narcisistica derivante si nota poi negli atteggiamenti intimi dei vari personaggi, spesso intenti a massaggiarsi ora il viso ora il corpo. Insomma, il film è ricco di significati e rimandi alla nostra società, e vuoi per l’ottima base del soggetto, vuoi per la passione, l’inventiva, il talento di Truffaut, ci sono tantissimi aspetti interessanti.

Tra le trovate geniali e originali, c’è anche quella dei titoli di testa, non scritti ma affidati alla voce di un’annunciatrice televisiva; e si potrebbe continuare. Però, anche parlandone per ore, Fahrenheit 451 non riuscirà a sovvertire la sensazione di film non del tutto riuscito che rimane dopo la visione. I Pinewood Studios non valgono Hollywood, questo è certo, e non serve il film di Truffaut per capirlo; il punto è che Fahrenheit 451 porta con se alcune contraddizioni che non sembrano essere state risolte. Un tema come quello del libro di Bradbury, necessitava forse dei mezzi hollywoodiani; oppure si poteva farne un film d’autore, come in effetti prova a fare il regista francese.
Ma la produzione inglese sembra invece aver alzato la posta, senza, di contro, esserne stata poi all’altezza; e forse al parziale fallimento dell’obiettivo pieno ha contribuito anche l’inesperienza di Truffaut: prima grossa produzione, primo film straniero, prima volta con attori famosi, primo film a colori. Ma con questo non si deve assolutamente bocciare il lungometraggio: ci sono alcune idee addirittura geniali, alcuni passaggi di grande vigore, con influenze hitchcockiane che rivelano tutta l’ammirazione di Truffaut verso il maestro inglese e, nel complesso, un’impostazione dell'opera interessante. Avesse funzionato tutto, sarebbe stato un capolavoro.



Julie Christie





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