45_DUELLO A EL DIABLO (Duel at Diablo) . Stati Uniti 1966; Regia di Ralph Nelson
Il
regista Ralph Nelson si cimenta con il Western e con questo Duello a
El Diablo riesce a centrare il difficile obiettivo di girare un film
rispettoso del genere, ma al contempo attento alle nuove tendenze. Se vengono osservati alcuni
cliché ritenuti tipici del western (indiani dalla parte sbagliata della battaglia,
finale con l'arrivano i nostri risolutivo), Nelson introduce alcuni elementi
inconsueti. Non tanto che il protagonista (James Garner, molto bravo) abbia una
moglie indiana, questo si è già visto altre volte; una delle novità più
interessanti è la nonchalance con cui nel film viene accettato che uno dei
protagonisti sia un uomo di colore (Sidney Poitier). In genere, in casi simili, vi sono
riferimenti al passato, per esempio a come l’individuo di colore si sia affrancato da una
precedente condizione di schiavitù: in Duello a El Diablo non succede niente
di tutto ciò. Toller, il personaggio interpretato da Poitier, è rappresentato
con pregi e difetti e non si fa mai sostanzialmente riferimento al suo essere
afroamericano. In una contesa come la conquista del west, con le due note culture
contrapposte, la presenza di un nero balza subito all’occhio quasi fosse un corpo un po' estraneo. Come balza
all’occhio il suo interesse per il denaro ed il benessere (l’ossessione per la
vendita dei cavalli, il vestito elegante): come dire che l’integrazione sociale
delle etnie di minoranza passi o debba passare dal riscatto economico.
Per gli
Apaches questa soluzione sembra lontana, visto che viene ribadito (da
Jess/James Garner, lo scout sposato ad una comanche) che le condizioni di vita
nella riserva indiana sono insostenibili. La società americana è vista in modo
assai negativo, curiosamente peggio negli ambiti civili (il paese, il marito
della donna rapita dagli indiani, lo sceriffo) che in quelli militari, ai quali
viene riconosciuta una certa nobiltà, seppur vanagloriosa (la folle carica
solitaria del tenente). Nonostante questi spunti siano forse poco coerenti tra
loro, la pellicola, intensa e coinvolgente, inchioda al suo posto lo spettatore
quasi quanto lo sono gli assediati nel drammatico finale.
Il film
si chiude nello stesso modo in cui si apre, con uno squarcio sullo schermo, e
con un uomo bianco legato a testa in giù. Il che potrebbe farci dedurre che
nulla è cambiato, nonostante le vicende viste in mezzo a queste immagini. In
realtà, nel finale, vediamo Jess, vedovo della sua squaw, e Ellen, la donna
bianca rapita, che se ne vanno a cavallo, con il bimbo che lei ha avuto dal
figlio del capo Apache. Infatti, delle due unioni miste, sopravvivono solo
l’uomo e la donna bianca, mentre anche il figlio del capo, padre del piccolo,
muore, proprio come la squaw moglie di Jess. La coppia rimasta quindi è
totalmente bianca, ma il bambino è comunque un meticcio.
In sostanza, nonostante sembra proprio che non ci sia posto per gli indiani nella società bianca, nel
futuro qualcosa di loro rimarrà. A patto che l’uomo bianco impari a vedere le cose anche da un punto di
vista diverso, magari addirittura opposto o sottosopra. Come forse simbolicamente
raffigurano i due uomini legati a testa in giù che si vedono all’inizio e alla
fine del film.
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