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martedì 28 novembre 2017

DUELLO A EL DIABLO

45_DUELLO A EL DIABLO (Duel at Diablo) Stati Uniti 1966;  Regia di Ralph Nelson

Il regista Ralph Nelson si cimenta con il Western e con questo Duello a El Diablo riesce a centrare il difficile obiettivo di girare un film rispettoso del genere, ma al contempo attento alle  nuove tendenze. Se vengono osservati alcuni cliché ritenuti tipici del western (indiani dalla parte sbagliata della battaglia, finale con l'arrivano i nostri risolutivo), Nelson introduce alcuni elementi inconsueti. Non tanto che il protagonista (James Garner, molto bravo) abbia una moglie indiana, questo si è già visto altre volte; una delle novità più interessanti è la nonchalance con cui nel film viene accettato che uno dei protagonisti sia un uomo di colore (Sidney Poitier).  In genere, in casi simili, vi sono riferimenti al passato, per esempio a come l’individuo di colore si sia affrancato da una precedente condizione di schiavitù: in Duello a El Diablo non succede niente di tutto ciò. Toller, il personaggio interpretato da Poitier, è rappresentato con pregi e difetti e non si fa mai sostanzialmente riferimento al suo essere afroamericano. In una contesa come la conquista del west, con le due note culture contrapposte, la presenza di un nero balza subito all’occhio quasi fosse un corpo un po' estraneo. Come balza all’occhio il suo interesse per il denaro ed il benessere (l’ossessione per la vendita dei cavalli, il vestito elegante): come dire che l’integrazione sociale delle etnie di minoranza passi o debba passare dal riscatto economico.
Per gli Apaches questa soluzione sembra lontana, visto che viene ribadito (da Jess/James Garner, lo scout sposato ad una comanche) che le condizioni di vita nella riserva indiana sono insostenibili. La società americana è vista in modo assai negativo, curiosamente peggio negli ambiti civili (il paese, il marito della donna rapita dagli indiani, lo sceriffo) che in quelli militari, ai quali viene riconosciuta una certa nobiltà, seppur vanagloriosa (la folle carica solitaria del tenente). Nonostante questi spunti siano forse poco coerenti tra loro, la pellicola, intensa e coinvolgente, inchioda al suo posto lo spettatore quasi quanto lo sono gli assediati nel drammatico finale.
Il film si chiude nello stesso modo in cui si apre, con uno squarcio sullo schermo, e con un uomo bianco legato a testa in giù. Il che potrebbe farci dedurre che nulla è cambiato, nonostante le vicende viste in mezzo a queste immagini. In realtà, nel finale, vediamo Jess, vedovo della sua squaw, e Ellen, la donna bianca rapita, che se ne vanno a cavallo, con il bimbo che lei ha avuto dal figlio del capo Apache. Infatti, delle due unioni miste, sopravvivono solo l’uomo e la donna bianca, mentre anche il figlio del capo, padre del piccolo, muore, proprio come la squaw moglie di Jess. La coppia rimasta quindi è totalmente bianca, ma il bambino è comunque un meticcio.
In sostanza, nonostante sembra proprio che non ci sia posto per gli indiani nella società bianca, nel futuro qualcosa di loro rimarrà. A patto che l’uomo bianco impari a vedere le cose anche da un punto di vista diverso, magari addirittura opposto o sottosopra. Come forse simbolicamente raffigurano i due uomini legati a testa in giù che si vedono all’inizio e alla fine del film.   




Bibi Andersson




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