27_RISO AMARO. Italia, 1949; Regia di Giuseppe de Santis.
Capolavoro in senso assoluto del Cinema, Riso amaro di Giuseppe De Santis, può
essere innegabilmente portato come vanto della produzione italiana; considerato
uno dei frutti più prestigiosi della corrente cinematografica neorealista, ha però alcuni aspetti che
lo rendono un caso abbastanza singolare. Quello più eclatante è anche il più
prevedibile, perché parlare di Riso amaro
significa parlare di Silvana Mangano, probabilmente al di là delle reali intenzioni
di De Santis; che per altro si dice ricercasse una nostrana Rita Hayworth. Perché
Riso amaro, era e in fondo è, nelle
intenzioni del regista, una severa critica alla cultura americana che influenza
in modo pesante il belpaese. Ma il
ruolo ritagliato per la giovane attrice, ne ha sancito lo stato di Diva nel movimento
cinematografico nazionale al di là di ogni previsione, finendo per mettere un
po’ in secondo piano gli intenti impegnati
dell’autore. Moltissime sequenze sono focalizzate sulla Mangano, e alcune sono
davvero memorabili: su tutte quelle in cui la favolosa Miss Roma 1946 è in
piedi in mezzo alla risaia, la maglia attillata, calzoni corti e calze
strappate; o quella in cui si aggiusta le stesse calze, prima di mettersi al
lavoro; ma anche le scene in cui balla il boogie
woogie non saranno facili da dimenticare. Non è tanto o soltanto questione
di bellezza: Silvana è una bella ragazza, questo è evidente, ma ciò che fa la
differenza è come riesca a bucare lo
schermo; inoltre, sembra che in molti passaggi il regista metta completamente la
sua arte al servizio dell’attrice, esaltandone il carisma fotogenico.
E la statura futile ma al contempo legata ad un destino tragico, regala a Silvana, il personaggio interpretato dall’attrice che forse non a caso si chiama come lei, un posto di rilievo tra le immagini simbolo del nostro cinema. Dicevamo come forse questa celebrazione della sua attrice protagonista che è Riso amaro, finisca, almeno in parte, per sviare lo sforzo di De Santis:
La pellicola comincia come un noir americano, ma la matrice neorealista prende poi il
sopravvento; le scene della miseria in cui sono costrette le mondine, la loro
vita nei campi, il taglio quasi documentaristico, sono caratteristiche tipiche
di questa corrente. Però De Santis lascia qualche dubbio anche in questi suoi
passaggi: gli intenti saranno anche di mostrare la cruda realtà delle donne
durante la raccolta del riso, ma forse c’è anche qualche indugio compiaciuto
sulle gambe delle ragazze, sui corpi chinati, sulle forme sudate. Niente da
ridire, beninteso: il cinema è anche questo.
Nel film ci sono, ed è giusto che vengano citati solo dopo uno spazio abbastanza consistente rispetto alla Mangano, Vittorio Gassman (Walter), Doris Dowling (Francesca) e Raf Vallone (Marco): Walter è un poco di buono che aspira a fare il gangster, Francesca la sua raffinata fidanzata nonché complice e Marco un onesto sergente in congedo.
Nel film ci sono, ed è giusto che vengano citati solo dopo uno spazio abbastanza consistente rispetto alla Mangano, Vittorio Gassman (Walter), Doris Dowling (Francesca) e Raf Vallone (Marco): Walter è un poco di buono che aspira a fare il gangster, Francesca la sua raffinata fidanzata nonché complice e Marco un onesto sergente in congedo.
In una secca metafora potremmo dire che Silvana è l’Italia,
Walter rappresenta gli ideali del consumismo, Francesca potrebbe incarnare
l’esterofilia (volendo guardare l’attrice è in effetti statunitense) o comunque
un qualcosa in antitesi con l’Italia, e Marco interpreta gli ideali della
tradizione italiana. Silvana è bellissima, ma futile: potrebbe avere chiunque,
Marco compreso, ma invidia Francesca, la sua collana e il suo fidanzato; sogna
di fare la bella vita e di arricchirsi, leggendo le riviste come Grand Hotel, ballando il boogie woogie, e mettendosi sempre in
mostra.
Ai suoi occhi la porta di accesso per quel mondo è Walter;
il quale, sfrutta chiunque gli possa tornare utile, con una filosofia che è
esattamente quella con cui funziona il libero mercato. Come l’Italia del
dopoguerra è sedotta dal Sogno Americano, così Silvana cede a Walter, in una
scena ad alto contenuto drammatico, nella quale, sotto la pioggia scrosciante,
prova a giocare con l’uomo brandendo un frustino improvvisato, ma finisce per
esserne frustata per davvero, umiliata e…
Silvana illusa, delusa, violata, truffata (la collana
falsa), ormai fatalmente perduta ha però un ultimo sussulto: prima spara a
Walter, che finisce la sua vita appeso ad un gancio come il porco che è; poi
sale sull’enorme, altissima impalcatura preparata per il concorso di bellezza
(ulteriore metafora dell’arrivismo della società americana) e si getta di
sotto, suicidandosi. Commovente ed efficace la scena in cui le mondine rendono
omaggio al cadavere di Silvana, gettando una manciata a testa del proprio riso
(compenso avuto per il lavoro nei campi) fino a coprirne il cadavere. Il timido
lieto fine tra Francesca e Marco è poco consolatorio; con quella drammatica
uscita di scena Silvana mantiene il centro dell’attenzione anche in quei
frangenti.
Solo un appunto a De Santis: è insperabile che l’Italia, quella
vera, possa mostrare una simile statura tragica ma dignitosa di fronte ai
propri errori.
Silvana Mangano
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