34_IL FASCINO DISCRETO DELLA BORGHESIA (Le charme discret de la bourgeoisie). Francia, Italia, Spagna, 1972; Regia di Luis Bunuel
Un gruppo di persone, sei per l’esattezza, camminano di buon
passo lungo una strada asfaltata, in aperta campagna. Durante la visione de Il fascino discreto della borghesia, impariamo a conoscerli, sono:
don Rafael Acosta (Fernando Rey), un diplomatico dello stato latinoamericano di
Miranda; Francois Thevenot (Paul Frankeur) e la moglie Simone (Delphine Seying)
una coppia borghese, a cui si aggiunge la sorella minore della donna, Florence
(Bulle Ogier); chiude il sestetto un’altra coppia, i coniugi Senechal, Henri
(Jean-Pierre Cassel) e Alice (Stéphane Audran). Nel film succede un po’ di
tutto, Bunuel dà libero sfogo alla propria fantasia surrealista, giocando a
costruire una serie di scatole cinesi oniriche ricche di sponde e rimandi, ma
in questo dedalo di sogni e interruzioni, ci sono appunto tre stacchi, tre momenti nei quali Bunuel
smette il flusso del suo raccontare per mostrarci appunto i suoi sei personaggi
che camminano per la campagna francese. Perché, viene da chiedersi? Per quale motivo il geniale
regista spagnolo mette in scena questi tizi che camminano, senza fare altro,
senza che si sappia dove stiano andando, se non che vanno, che camminano, in
silenzio, al solo rumore dei passi sull’asfalto? Queste scene saltano
all’occhio per la mancanza di connessione con il resto del film; ne sono
evidentemente slegate.
Tutto il flusso del resto racconto procede, al contrario,
con una miriade di collegamenti: le trame si intrecciano e ritornano, (il
sacerdote che nel finale trova l’assassino dei genitori); oppure ci sono mille
rimandi tra surrealismo (il cappello di Napoleone, le armi finte e il pollo di
plastica, a dar vita ad una sorta di quadri animati in serie), ripetuti sogni e
sogni nei sogni; alcuni dei quali si succedono, altri che ripristinano la
situazione precedente (come la scena del cappello di Napoleone, che ricomincia
da capo dopo il risveglio di Henri); tra i tanti riferimenti ci sono anche
quelli al cinema stesso del regista (l’occhio crivellato come in L’age d’or o il pianoforte a coda di Un chien andalou). Nel complesso però
questo groviglio non sembra avere una coerenza narrativa nel senso canonico del
termine; gli intrecci imbastiti da don Luis vertono su cardini più astratti,
rispetto alla semplice funzione narrativa di una storia che sia il logico
succedersi di avvenimenti.
Un aspetto della trama che appare più lampante è la
difficoltà del nostro gruppo di consumare un pasto; l’atto di mangiare è uno
dei capisaldi della borghesia, e proprio su questo tema vertono anche molti
dialoghi tra i personaggi del film. Curiosamente, i ripetuti tentativi di celebrare
questo rito borghese, nello charme
vengono sempre frustrati dai motivi più disparati: nella prima occasione per la
paradossale assenza del padrone di casa, che invita gli amici a cena il giorno
in cui ha un impegno, poi perché nel ristorante c’è impiantata una sorta di
camera ardente del titolare del locale, fino a motivi anche più assurdi come il
pollo di plastica o l’intrusione nella casa dell’esercito per le manovre di
addestramento. Difficoltà si riscontrano anche a consumare un qualcosa
(qualsiasi cosa) da bere, visto che nel locale dove si recano Simone, Florence
e Alice mancano sia the che caffè che qualunque altra consumazione.
Problemi in tal senso (di consumare) ci sono anche per gli appetiti sessuali: i sei
personaggi sono tre uomini e tre donne, ma le cose non sono così scontate.
Florence appare fuori dai giochi, e così anche Francois; don Rafael ha una
tresca con la moglie di questi, ma non riesce ad andare al sodo ne’ con Simone,
ne’ con la rivoluzionaria che subentra nella scena; in effetti c’è un rapporto
che riesce ad andare a buon fine, ed è quello tra Henri e Alice, che pur
essendo coniugi, sono costretti ad andare nel giardino a congiungersi, quasi
abusivamente (il richiamo del sacerdote a Henri quando vede la busca nei
capelli dell’uomo suona come un rimprovero). Insomma, pur essendo il soggetto
per eccellenza della civiltà del consumo, la borghesia si trova a mancare i propri
riti (il di cibo, il bere, il sesso). E’ forse questa sorta di mancanza di
senso, l’incapacità di riuscire proprio nella propria specifica prerogativa, ad
essere il limite/cardine della borghesia? Insomma, come dire che è proprio
nelle mancanze della classe sociale oggi dominante, che, per assurdo, si
possono trovare le motivazioni del suo essere.
Siccome decifrare Bunuel è sempre difficile, proviamo però a
girare la domanda che ci siamo posti prima: non chiediamoci perché il regista
ha messo i tre stacchi, ma piuttosto perché noi, in mezzo ad un film con gente
perbene e rispettabile che traffica droga come niente fosse, racconti
dell’orrore, intrusioni militari, assalti criminali, moti rivoluzionari, insomma
in mezzo a tutto questa ricchezza di spunti, veniamo colpiti proprio da quelle
tre scene? Scene apparentemente prive di scopo, ma che, se non altro, sono più
plausibili di tutto il resto della storia, e quindi potenzialmente rivelatrici?
E’ forse questo, lo charme discret
della borghesia, il suo essere capace di passare incurante attraverso il nulla (i sei nella campagna deserta)
oppure il tutto (i tre stacchi dentro
il resto del film, con tutte le sue vicissitudini) senza venirne minimamente
intaccata?
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