37_IL TRENO (The Train). Francia, Stati Uniti, 1964; Regia di John Frankenheimer.
In prima istanza, il regista ingaggiato per
dirigere Il treno fu Arthur Penn, che
dopo una quindicina di giorni venne sostituito dalla produzione, pare su
consiglio del protagonista (e co-produttore) Burt Lancaster e dello
sceneggiatore Walter Bernstein. La storia è quella dei quadri custoditi nella Galleria nazionale del Jeu de Paume di
Parigi che i nazisti, in fuga per l’arrivo degli alleati, provano a trafugare
su un treno (quello del titolo, appunto). Naturalmente i francesi non
approvano, essendo la collezione considerata l’orgoglio di Francia; ma c’è
anche chi, come Paul Labiche (Burt Lancaster), un capostazione francese, non
comprende come si possano rischiare vite umane per semplici quadri. Il tema
cruciale dell’opera, ovvero, semplificando, se l’arte possa valere più della
vita umana, resta naturalmente presente, ma nelle mani di John Frankenheimer,
il regista chiamato a sostituire Penn, rimane sullo sfondo. Il regista
americano sembra apparire perplesso tanto quanto il protagonista del film, di
fronte alla natura troppo sofisticata di questo quesito e, probabilmente,
rimanendoci attinente, non sarebbe riuscito a cavarne un film riuscito come
invece è il suo.
Frankenheimer sposta così il perno della vicenda,
facendone una questione di principio, di rispetto, del popolo francese che non
vuole cedere qualcosa che è suo di diritto: a questo punto sì, si può anche morire
per dei quadri, siano di valore o meno, ma in ballo c’è la dignità umana
personale dei francesi e nazionale della Francia. Il sacrificio di Papa Boule
(Michel Simon), le sue durissime parole prima di essere fucilato, rivolte sia
al colonnello nazista Von Waldheim (Paul Scofield) e soprattutto al suo
figlioccio Labiche (accusato di essere un collaborazionista) imprimono la
svolta alla vicenda.
Il lungometraggio è teso, avvincente, asciutto,
fila dritto (come un treno, appunto) per la sua strada, il regista mette in
campo tutti i suoi virtuosismi con la macchina da presa, spara i suoi primi
piani suoi volti dei personaggi per scandire gli umori e i sentimenti
contrapposti tra francesi e tedeschi. La fotografia in bianco e nero è perfetta
per riportarci nel clima della seconda guerra mondiale; la colonna sonora
affidata al formidabile Maurice Jarre è calibrata al punto giusto; gli effetti speciali sono assai poco speciali, e le scene dei bombardamenti e
della corsa del treno sembrano dannatamente reali perché sono praticamente
reali per davvero.
Alla fine, il dubbio di fondo che Frankenheimer aveva
cercato di aggirare, gli rimane ancora tutto intero quando ci mostra i cadaveri
dei francesi fucilati, alternati alle casse contenenti i quadri vergate dai
nomi di pittori tanto illustri: ma valevano davvero la pena tutti questi morti,
che fosse per l’arte o per la dignità nazionale?
Naturalmente si, è la triste risposta, ma sembra rimanere in
sospeso al cospetto dell’orrore e della stupidità della guerra.
Jean Moreau
Jean Moreau
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