59_LA CARICA DEI CENTO E UNO (One Hundred and One Dalmatians) Stati Uniti, 1961; Regia di Wolfgang Reitherman, Hamilton Luske e Clyde
Geronimi.
Due anni dopo il maestoso, ma deludente al botteghino, La bella addormentata nel bosco, la Walt Disney prova
ad imprimere una nuova svolta nella galleria dei suoi celebrati film di
animazione. Se, con la storia della principessa Aurora, la casa cinematografica
di Burbank aveva alzato la posta, cercando di produrre una nuova fiaba che
eguagliasse e rilanciasse i fasti di Biancaneve
e i sette nani e Cenerentola,
attraverso la realizzazione di un’opera qualitativamente e artisticamente
superiore, il deludente riscontro al box-office poneva lo studio di
fronte a scelte più pragmatiche per il futuro. Questa premessa, che
effettivamente riguarda maggiormente il classico d’animazione Disney precedente,
è forse invece cruciale per capire l’origine di alcune scelte stilistiche e
artistiche che, a conti fatti, contribuiranno a rendere La carica dei cento e uno un
assoluto capolavoro. Di fronte alla necessità di produrre un film che costasse
poco, e non esponesse ulteriormente lo studio a possibili perdite, i tecnici
della Disney si inventarono la xerografia,
un metodo che permette di trasferire direttamente i disegni degli animatori
sui rodovetri; un sistema che
consente, in questo modo, un notevole risparmio di mano d’opera. Pare però che,
durante la lavorazione di One
Hundred and One Dalmatians, la tecnica fosse ancora poco raffinata, e ci fu
chi rimpianse la sontuosa mano degli inchiostratori, la cui abilità manuale non
era certo eguagliata dal processo con lo Xeros.
E’ difficile sostenere che alla fine questo possa essere
stato, piuttosto, un vantaggio ma, guarda caso, La carica dei cento e uno fa’ proprio di una certa ruvidezza
generale uno dei suoi punti di forza. Se La bella addormentata nel bosco aveva introdotto nella
galleria dei classici uno stile più angolato e meno arrotondato,
aveva però mantenuto una pulizia nel tratto e soprattutto una sublime
ricercatezza e ricchezza di dettagli nelle immagini, che rendeva la grafica di
altissima raffinatezza artistica. One
Hundred and One Dalmatians conserva lo stile angolato, ma smettendo
ogni forma di ricercatezza formale, lo utilizza al fine di ottenere una
stilizzazione che dia maggiore dinamicità alle immagini. Una rappresentazione
stilizzata è più rapida da eseguire, sebbene mantenga facilmente una maggior
dinamicità intrinseca nel disegno; questo è stato sicuramente comodo nel dover
rappresentare i 99 cuccioli della storia, ma gli autori, per coerenza
stilistica, hanno esteso questa veste grafica all’intero lungometraggio,
scenografie d’interni, paesaggi come Londra o la limitrofa campagna,
compresi.
Per giustificare e sfruttare al meglio una tale scelta
grafica, la storia è particolarmente dinamica, concede poche pause, comprese
quelle tipiche musicali, e la traccia avventurosa è preponderante su tutti gli
altri elementi narrativi dell’opera. Nonostante la Disney ci
abbia già mostrato un lungometraggio impostato dalla prospettiva animale (ad
esempio Bambi) l’incipit
di La carica dei cento e uno è
comunque sorprendente: a introdurci nella storia con la voce fuori campo, non è
infatti, come saremmo portati a pensare, Rudy, il bipede, per citare le
parole usate da quello che è appunto il narratore della storia, ovvero Pongo,
il dalmata e primo dei 101 a comparire nella pellicola. La sorpresa
può derivare da quella che è comunque una scelta coraggiosa e matura degli
autori: già in Lilli e il Vagabondo la Disney aveva proposto
una storia mista, con uomini e animali (e con protagonisti i cani, anche
in quell’occasione) ma per mettere in primo piano gli animali e seguirne le
vicende, per giustificare questa scelta narrativa o forse anche solo per
ritenere di poterlo fare, si era usato lo stratagemma di posizionare la
macchina da presa all’altezza dei quadrupedi.
Stavolta uomini e cani sono inquadrati nello stesso modo,
dallo stesso punto di vista, ma protagonisti sono gli animali; il piano in cui
si trovano è lo stesso, non si tratta di una storia vista con gli occhi degli
animali, ma una storia nella quale gli animali prendono il centro della scena
pur condividendola con gli umani. Una bella soddisfazione per i nostri dalmata,
che devono, tra l’altro, assumere iniziative, come ricercare i cuccioli rapiti
o contrastare i rapitori, che almeno inizialmente, anche in questo
lungometraggio, erano appannaggio degli umani. L’importanza della vita animale
è quindi rimarcata già da questi particolari prettamente narrativi e
cinematografici, e viene poi solo esplicitata in modo eclatante dalla
stigmatizzazione dell’odiosa intenzione di farsi pellicce o indumenti con pelle
animale.
E proprio quest’ultimo elemento permette di mettere
a fuoco un altro punto di forza del film, ovvero il cattivo, o meglio la
cattiva (femmina, com’è quasi consuetudine dei classici Diseny) di turno:
Crudelia De Mon. Introdotta da una canzone azzeccatissima, Crudelia entra di
diritto nel novero delle cattive più carismatiche della Storia del
Cinema, d’animazione e non. Perfettamente rappresentata dalla grafica
stilizzata dell’opera, Crudelia è sbilenca, decadente, rinsecchita, antipatica,
spocchiosa, oltre che crudele, dispotica, sadica, irascibile, falsa, insomma
tutte le peggiori caratteristiche umane che si possano trovare. Non ha quindi
poteri magici, Crudelia, come invece avevano la regina di Biancaneve o altre
cattive Disney: no, Crudelia è prettamente e anche un po’ pateticamente,
volendo ben vedere, del tutto umana. Per questo è così affascinante, perché
volenti o nolenti, finiamo anche noi spettatori a credere alle sue arie da gran
diva, anche se forse può farcela divenire simpatica il suo essere onestamente cattiva.
Oltre a ciò, i vari personaggi, tutti perfettamente
caratterizzati, a partire dagli scagnozzi di Crudelia, Gaspare e Orazio, al
trio pseudomilitare formato dal Colonnello (un cane pastore), dal
Capitano (un cavallo) e dal Sergente Tibbs (un gatto), danno vita ad una
pimpante e avvincente trama piena zeppa di suspense e avventura. Le gag sono spesso
legate magistralmente una all’altra, come, ad esempio, quando il Capitano,
guidato dal Sergente Tibbs, che lo manovra tramite le orecchie, scalcia Gaspare
e Orazio facendoli volare contro la parete della stalla. Sembra l’ulteriore e
forse definitiva sconfitta per il duo di bricconi, che si era visto sfuggire da
sotto il naso i cuccioli poco prima .
Invece proprio dal pertugio nella parete della stalla, creato dall’impatto dopo il volo causato dal calcio del cavallo, i due intravvedono i dalmata in fuga, e l’inseguimento può così continuare. Se l’impostazione generale è indovinata, i personaggi ben
assemblati, la trama è incalzante, mancano solo da citare alcuni tra i dettagli
che confezionano il capolavoro. Ad esempio la già menzionata canzone Crudelia
De Mon; o le pubblicità del cibo per cani Kanine Krunchies, che si vedono
in televisione e sulle insegne al neon, che rendono credibilmente moderna la
storia; oppure il cucciolo teledipendente, il più contemporaneo tra i
piccoli dalmata ad avere una caratterizzazione spiccata. Anche se il passaggio
migliore di tutti è lo spettacolo televisivo che stanno guardando Gaspare e
Orazio: Qual’è il mio reato? A parte l’idea genialmente folle del
programma in sé, apparentemente il tema della trasmissione è narrativamente
giustificato dal precedente passaggio televisivo del film. Infatti, prima del rapimento dei cuccioli, la famiglia di dalmata è riunita davanti alla televisione a guardare un telefilm western di Fulmine, un cane che come medaglietta porta la stella di sceriffo.
Se è normale che i
cani guardino la tv, allora è normale che anche il protagonista del telefilm
sia un cane; e la pubblicità che vi si veda non può essere che cibo per cani. E
questo passaggio, da un punto di vista di logica narrativa tipicamente disneyana,
legittima che la coppia di malfattori guardi un programma in cui al centro
della scena ci siano dei criminali. Che poi Qual’è il
mio reato? in un interpretazione leggermente diversa, ovvero
dell’innocente che non si capacita di quale sia la propria colpa a fronte di
una punizione, sia una definizione perfetta anche per esprimere il sentimento
dei cuccioli, in quel momento prigionieri dei due figuri, e destinati a
diventare giacchette di pelo dalmata, o volendo, per tutta la categoria degli
animali ingiustamente maltrattati dall’uomo, è solo uno dei tanti passaggi
sopraffini di un assoluto capolavoro del Cinema.
Crudelia de Mon
è bello sapere che c'è stato un tempo in cui si è avuto nostalgia del "sontuoso lavoro degli inchiostratori", un qualcosa che oggi, con il dilagante e irrefrenabile successo del digitale pieno di effettacci speciali, mi sembra impossibile da ripetersi...
RispondiEliminadi questo cartoon non ho molti ricordi, non era fra quelli di cui avevo la videocassetta, ricordo bene invece la versione "a film" con glenn close nei panni di crudelia...