28_MONDI PRIVATI (Private worlds). Stati Uniti, 1935; Regia di Gregory La Cava.
Gregory La Cava, prima dell’entrata in vigore del Codice
Hays, era un regista che, sullo schermo, si concedeva spesso qualche libertà;
questo Mondi privati è però sottoposto
al visto del codice di autocensura dei produttori (il certificato n. 644, per
la precisione, come ci avverte una schermata ad inizio film) perciò non
aspettiamoci ragazze disinibite che sgambettano per lo schermo. In compenso,
La Cava, che si dimostra un autore a suo modo irrequieto, dopo i titoli di testa
e altri fotogrammi introduttivi (prima una citazione, poi l’insegna
dell’istituto in cui è ambientato il racconto) il film lo comincia lo stesso
con un carrello fuori dall’ordinario.
La macchina da presa scorre infatti il suo obiettivo su alcune malate di mente,
riprese in quello che è un realistico ospedale psichiatrico, cosa mai vista
prima d’allora al cinema. Solo dopo vengono inquadrati i due protagonisti del
film, Claudette Colbert (la dottoressa Everest) e Joel McCrea (il dottor
MacGregor), due medici che utilizzano metodi innovativi, e più umani, per
trattare i malati. La vera cima, in
questo, sembra essere Jane, che forse non a caso si chiama Everest; ma il
candidato ufficiale ad assumere il vacante ruolo di primario è MacGregor. In
ogni caso la direzione nominerà un medico estraneo all’istituto, il dottor
Monet (Charles Boyer) il quale è un fautore della vecchia scuola ed è contrario
all’impiego di donne nella medicina psichiatrica.
Abbiamo quindi già visto come, da queste poche notizie, i Mondi privati del titolo siano già più
d’uno: in realtà, una citazione introduttiva ci diceva che ognuno si crea
personali universi in cui c’era il rischio di perdersi, ma sullo schermo
vengono mostrati anche altri tipi di ‘sistemi
chiusi’ in contrasto tra loro: i medici da una parte e i malati dall’altra,
oppure i medici progressisti contro i medici conservatori. Ci sono un paio di
personaggi che rimangono un po’ fuori dai giochi: Sally, la moglie di MacGregor
(una deliziosa ma un po’ troppo triste Joan Bennett) e Claire, la sorella del
dottor Monet (una decisamente accattivante Helen Vinson). Isolate, fuori dalla
possibilità di fare gruppo, le due giovani rischiano, o hanno precedentemente rischiato, di
perdersi nel proprio mondo privato: Sally nel colpo di scena finale, mentre
Claire nel suo passato scabroso.
I temi portanti, al di la delle storie d’amore che comunque
piacciono a La Cava, sono l’importanza della comunicazione e il lavoro di
squadra. Anzi, per la precisione, il lavoro di squadra per migliorare la
comunicazione tra esseri umani e combatterne l’isolamento. L’ospedale funziona
perfettamente per questi due motivi: la dottoressa è maestra nel riuscire a
comunicare con pazienti che nella chiusura mentale hanno proprio il loro
maggiore limite, ma è anche molto in gamba nel lavoro in equipe, come dimostra
il supporto dato alla candidatura di MacGregor quando è evidente che sia lei la
persona più capace.
Da queste considerazioni si potrebbe pensare che La Cava
faccia in qualche modo un discorso femminista;
in realtà, il regista delle donne in quanto tali sembra essere più interessato
all’aspetto estetico (nel film ci sono ben tre attrici bellissime con parti di
rilievo), mentre per gli aspetti professionali si limita ad uno sguardo
neutrale, molto moderno (la Everest lo dice pure, nel
film: “vorrei essere giudicata per i miei
meriti professionali, e non per il sesso di appartenenza”). Il tutto è
organizzato in un dramma con risvolti sentimentali (ma non eccessivi quanto un
melodramma), con qualche passaggio degno di un film dell’orrore (le scene
finali, quando, sotto un pesante temporale, Sally rivive le scene della sua
infanzia ripetendo quelle della ragazza malata).
Un La Cava come sempre affidabile e interessante.
Claudette Colbert
Claudette Colbert
Joan Bennett
Helen Vinson
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