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sabato 11 novembre 2017

MONDI PRIVATI

28_MONDI PRIVATI (Private worlds). Stati Uniti, 1935;  Regia di Gregory La Cava.

Gregory La Cava, prima dell’entrata in vigore del Codice Hays, era un regista che, sullo schermo, si concedeva spesso qualche libertà; questo Mondi privati è però sottoposto al visto del codice di autocensura dei produttori (il certificato n. 644, per la precisione, come ci avverte una schermata ad inizio film) perciò non aspettiamoci ragazze disinibite che sgambettano per lo schermo. In compenso, La Cava, che si dimostra un autore a suo modo irrequieto, dopo i titoli di testa e altri fotogrammi introduttivi (prima una citazione, poi l’insegna dell’istituto in cui è ambientato il racconto) il film lo comincia lo stesso con un carrello fuori dall’ordinario. La macchina da presa scorre infatti il suo obiettivo su alcune malate di mente, riprese in quello che è un realistico ospedale psichiatrico, cosa mai vista prima d’allora al cinema. Solo dopo vengono inquadrati i due protagonisti del film, Claudette Colbert (la dottoressa Everest) e Joel McCrea (il dottor MacGregor), due medici che utilizzano metodi innovativi, e più umani, per trattare i malati. La vera cima, in questo, sembra essere Jane, che forse non a caso si chiama Everest; ma il candidato ufficiale ad assumere il vacante ruolo di primario è MacGregor. In ogni caso la direzione nominerà un medico estraneo all’istituto, il dottor Monet (Charles Boyer) il quale è un fautore della vecchia scuola ed è contrario all’impiego di donne nella medicina psichiatrica. 
Abbiamo quindi già visto come, da queste poche notizie, i Mondi privati del titolo siano già più d’uno: in realtà, una citazione introduttiva ci diceva che ognuno si crea personali universi in cui c’era il rischio di perdersi, ma sullo schermo vengono mostrati anche altri tipi di ‘sistemi chiusi’ in contrasto tra loro: i medici da una parte e i malati dall’altra, oppure i medici progressisti contro i medici conservatori. Ci sono un paio di personaggi che rimangono un po’ fuori dai giochi: Sally, la moglie di MacGregor (una deliziosa ma un po’ troppo triste Joan Bennett) e Claire, la sorella del dottor Monet (una decisamente accattivante Helen Vinson). Isolate, fuori dalla possibilità di fare gruppo, le due giovani rischiano, o hanno precedentemente rischiato, di perdersi nel proprio mondo privato: Sally nel colpo di scena finale, mentre Claire nel suo passato scabroso.

I temi portanti, al di la delle storie d’amore che comunque piacciono a La Cava, sono l’importanza della comunicazione e il lavoro di squadra. Anzi, per la precisione, il lavoro di squadra per migliorare la comunicazione tra esseri umani e combatterne l’isolamento. L’ospedale funziona perfettamente per questi due motivi: la dottoressa è maestra nel riuscire a comunicare con pazienti che nella chiusura mentale hanno proprio il loro maggiore limite, ma è anche molto in gamba nel lavoro in equipe, come dimostra il supporto dato alla candidatura di MacGregor quando è evidente che sia lei la persona più capace.
Da queste considerazioni si potrebbe pensare che La Cava faccia in qualche modo un discorso femminista; in realtà, il regista delle donne in quanto tali sembra essere più interessato all’aspetto estetico (nel film ci sono ben tre attrici bellissime con parti di rilievo), mentre per gli aspetti professionali si limita ad uno sguardo neutrale, molto moderno (la Everest lo dice pure, nel film: “vorrei essere giudicata per i miei meriti professionali, e non per il sesso di appartenenza”). Il tutto è organizzato in un dramma con risvolti sentimentali (ma non eccessivi quanto un melodramma), con qualche passaggio degno di un film dell’orrore (le scene finali, quando, sotto un pesante temporale, Sally rivive le scene della sua infanzia ripetendo quelle della ragazza malata).
Un La Cava come sempre affidabile e interessante.


Claudette Colbert


Joan Bennett


Helen Vinson


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