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lunedì 31 ottobre 2022

RACCONTI FANTASTICI: LA CADUTA DI CASA USHER

1149_RACCONTI FANTASTICI: LA CADUTA DI CASA USHER .Italia 1979;  Regia di Daniele D'Anza.

Per la chiusura della miniserie Racconti Fantastici liberamente tratta dall’opera di Edgar Allan Poe, Daniele D’Anza e Biagio Proietti mischiano un’ulteriore abbondanza di ingredienti, anche rispetto ai succulenti precedenti episodi. E va detto onestamente che La caduta di Casa Usher, forse anche per via dei tanti elementi in gioco, è forse il meno riuscito dei capitoli, il che è un vero peccato. I riferimenti a Poe rimangono preponderanti, tra questi La sepoltura prematura, La maschera della Morte Rossa, Il demone della perversità, oltre naturalmente al La caduta della Casa degli Usher, ripreso dal titolo dello sceneggiato stesso. Ma ci sono rimandi anche alla poetica di Luis Bunuel mentre la nuvola nera incombente sulla residenza degli Usher, più che al romanzo di Fred Hoyle sembra trarre ispirazione dai fatti di cronaca del periodo, come il disastro dell’Icmesa avvenuto pochi anni prima in quel di Seveso. L’ecologia e il discriminato inquinamento dell’ambiente erano temi che assumevano il tenore di oscura minaccia sulla società da tempo ma la presa di coscienza collettiva avvenne proprio nella seconda metà degli anni Settanta e un racconto horror era certamente legittimato ad attingervi. Le colpe degli Usher, a cui nel racconto si fa riferimento, possono essere paragonate alle responsabilità della nostra società in tema ambientale: in questo modo la caduta di Casa Usher diviene, con la presenza della nuvola che terrorizza i partecipanti alla festa, un efficace metafora della Natura che si rivolta contro l’operato dell’uomo. Come detto, per quanto i propositi alla base siano effettivamente lodevoli, non è semplice poi amalgamarli a tutto il contesto e forse è qui che il film perde un po’ il filo del discorso. Bene Philippe Leroy nella parte di Roderick Usher ed eccellente come suo solito Jane Agren in quelli di sua sorella Eleanor. In tutta questa ridda di passaggi fantastici e fantasiosi del racconto, pensare che possano aver seppellito prematuramente Eleanor è la cosa più incredibile. Cioè, assicuratevi per bene prima di metter via la gente; specie se ha le fattezze della nostra Janet.    


Janet Agren 



domenica 30 ottobre 2022

RACCONTI FANTASTICI: IL DELIRIO DI WILLIAM WILSON

1148_RACCONTI FANTASTICI: IL DELIRIO DI WILLIAM WILSON .Italia 1979;  Regia di Daniele D'Anza.

Per il terzo episodio della miniserie Racconti Fantastici, liberamente ispirata all’opera di Edgar Allan Poe, Daniele D’Anza e Biagio Proietti riescono ulteriormente a stupire con un’ambientazione sulla carta lontanissima dalle pagine dello scrittore americano. Il delirio di William Wilson prende come spunto il tema del doppio presente nel racconto William Wilson di Poe ma nell’attualizzarlo ai giorni nostri, epoca d’ambientazione della serie, lo trasferisce nel mondo delle corse automobilistiche. Per la verità William Wilson (un pimpante e credibile Nino Castelnuovo) è solo un collaudatore ma l’attore lombardo è bravo a tratteggiare la figura del pilota bello e dannato che, negli anni Settanta, complice il successo mondiale della Formula 1, era tra le più carismatiche del periodo. La vita di eccessi tipica dei piloti del cosiddetto circus iridato, forse indotta anche dai costanti rischi connessi con la professione, era l’ideale per proporre l’argomento del sosia, dove appunto specchiare una condotta sempre al limite con una legata ai dettami del buonsenso. Nel racconto di Poe Wilson è prossimo alla morte mentre nel film di D’Anza la sua esistenza è comunque sempre in pericolo, visto i rischi che il giovane si assume nel collaudare i bolidi da corsa oltre i loro limiti. Giorgio Biavati si incarica di dar corpo al secondo William Wilson, quello più coscienzioso: una sorta di grillo parlante che, esattamente come nel racconto di Poe, arriva addirittura a smascherare pubblicamente il suo alter ego quando bara alle carte. Biavati incarna perfettamente l’antitesi della figura carismatica ma il suo personaggio rivela come egli sia semplicemente una sorta di coscienza dell’altro, dal quale è completamente dipendente. Non è, quindi, una contrapposizione tra buono vs cattivo, anche perché quando Wilson, quello vero, elimina il rivale in duello nel finale, sancisce in quello stesso momento la sua fine. L’individuo è quindi incline al male ma ha una coscienza che lo può aiutare; e reprimerla non è una soluzione praticabile. Nel film da segnalare la presenza di Janet Agren nei panni di Eleanor Usher, sorella di Roderick (Philippe Leroy) insieme al quale ci riporta alla residenza che era stata al centro dei primi due episodi della serie. La Agren era splendida ma, tutto sommato, poco valorizzata da una parte non particolarmente interessante. Peccato; in ogni caso Janet è sempre un valore aggiunto e il suo contributo è particolarmente utile a rendere comunque interessante questo terzo episodio, leggermente meno efficace dei precedenti. 



Janet Agren 



sabato 29 ottobre 2022

RACCONTI FANTASTICI: LIGEIA FOREVER

1147_RACCONTI FANTASTICI: LIGEIA FOREVER .Italia 1979;  Regia di Daniele D'Anza.

Nonostante formalmente sia ispirata ai racconti di Edgar Allan Poe, la miniserie Racconti Fantastici già al secondo episodio si concede una sostanziale digressione. Il tema portante di Ligeia forever, infatti, ricorda maggiormente il testo Rebecca – La prima moglie, sia che lo si intenda come romanzo di Daphne du Maurier o, forse più opportunamente, come pellicola di Alfred Hitchcock. In effetti Victoria Zinny nei panni della governante ha più di qualcosa che ricorda anche nei modi la Judith Anderson del film di Hitchcock. Peraltro, anche con il tema dell’avvelenamento famigliare si rimane nel terreno frequentato dal geniale cineasta inglese, basti pensare a Il sospetto. E poi, anche un altro tema proposto del film lascia intendere che il maggior riferimento di questo Ligeia forever sia cinematografico: la donna chiamata Ligeia (una meravigliosa Dagmar Lassander) è una star del cinema muto alle prese con il suo primo film sonoro – che si rivelerà essere un fiasco. La cosa ha un fondamento storico: furono numerosi gli interpreti che non ressero l’arrivo del sonoro nel cinema e i problemi riguardarono anche una delle dive dell’epoca, Greta Garbo. La carriera della Garbo non fu certo stroncata dalla fine del cinema muto ma è un dato di fatto che la MGM attese quattro anni prima di rischiare di bruciare la diva in un film sonoro, forse per via del suo accento svedese. Tra l’altro il riferimento alla Garbo, evidente nei manifesti cinematografici che nel film ritraggono Ligeia, sembra davvero esplicito. 

Tornando al tema centrale del racconto filmico, Ligeia è la prima moglie, quella che muore ma rimane aleggiante sulla dimora. La casa è quella degli Usher vista nel primo film della serie, ma la storia è tutta un enorme flashback in cui Roderick Usher (Philippe Leroy) rivive le gesta del padre Robert (Umberto Orsini) alle prese con le sue donne. Dopo il suicidio di Ligeia, l’uomo si sposa con Morella (Silvia Dionisio) ma quando la porterà nella sua residenza cominceranno i prevedibili problemi, con la governante, la casa stessa e con lo spirito inquieto della prima moglie. Come si può facilmente notare i nomi delle due donne sono presi da racconti di Poe, mentre altri elementi peculiari dei racconti dello scrittore americano vengono utilizzati ai fini del canovaccio preparato da D’Anza e Biagio Proietti, coautori della sceneggiatura. Nel pozzo, che fa coppia con l’inconfondibile pendolo che si vede incombere più volte, Robert prova a gettare la chiave dell’ala della residenza dedicata a Ligeia, sebbene la chiave stessa ritorni poi magicamente al suo posto. Nel finale ci prova Roderick: non ne abbiamo la certezza, ma il dubbio che sia stato anche questo un tentativo infruttuoso rimane evidente. L’idea di spostare l’ambientazione del racconto ai ruggenti anni Venti del XX secolo è intrigante, Orsini regge alla grande, bene anche la Dioniso ma è soprattutto Dagmar Lassander a sbaragliare il campo: la sua interpretazione della grande diva è credibilissima e gronda puro glamour d’epoca. Insomma, un altro bel film televisivo Rai, confezionato per bene anche grazie alle scenografie di Elena Poccetto Ricci e alle musiche dei Pooh. Forse meno riuscito del capitolo d’esordio, ma comunque molto positivo.  


Dagmar Lassander





Silvia Dionisio 




venerdì 28 ottobre 2022

RACCONTI FANTASTICI: NOTTE IN CASA USHER

1146_RACCONTI FANTASTICI: NOTTE IN CASA USHER .Italia 1979;  Regia di Daniele D'Anza.

Competenza, capacità, coraggio, ambizione e anche un pizzico di irriverenza: queste alcune delle armi con cui Daniele D’anza capeggia un’equipe televisiva di altissimo livello è riesce in un’impresa sorprendente. Notte in Casa Usher, il primo film televisivo dei Racconti Fantastici, non è una trasposizione di un racconto di Edgar Allan Poe, come sarebbe naturale pensare riferendosi ad una miniserie dedicata al grande scrittore americano. Piuttosto è l’amalgama di alcuni elementi tipici della poetica di Poe, conditi con particolari coreografici comunque attinenti alla sua opera, per ottenere qualcosa che se è originale, lo è anche grazie alla diversa ricomposizione dei citati ingredienti. In Notte in Casa Usher più che La caduta di Casa Usher come sarebbe prevedibile dal titolo, i riferimenti strutturali del racconto sono principalmente Il ritratto ovale e Il cuore rivelatore. Ma c’è ovviamente anche Roderick Usher (uno strepitoso Philippe Leroy), personaggio principale de La caduta di Casa Usher che qui assume il ruolo del pittore de Il ritratto ovale oltre ad ospitare gli altri due protagonisti del film. Il Giudice (Gastone Moschin, forse il migliore del lotto) e il Giovane (Vittorio Mezzogiorno, inquietante), viaggiano in coppia e, rimasti in panne con l’auto, vagano in una improbabile e inquietante nebbia finendo per trovare l’imponente residenza degli Usher. Il film ha un’ambientazione contemporanea eppure l’atmosfera tra le antiche mura della magione ci ripiomba direttamente nelle pagine di Poe. 

Anche perché il décor trabocca di riferimenti ai suoi racconti, tra cui il gigantesco e mortale pendolo è solo il più evidente. In regia D’Anza padroneggia le riprese da par suo, snodandosi nei corridoi, nei passaggi segreti, nelle camere avvolte dall’oscurità; in sede di sceneggiatura fondamentale la collaborazione di Biagio Proietti per una vicenda che, come detto, riesce ad imbastire diversi spunti tratti da Poe pur mantenendo un filo del discorso autonomo. Notevoli le scenografie di Elena Poccetto Ricci e fondamentali anche le musiche dei Pooh che accompagnano il racconto con una certa autorevolezza. Pur avendo già affrontato il tema del cast del film, manca ancora da citare il comparto femminile, ma andava necessariamente lasciato in chiusura per poter finire quanto mai in bellezza. A cominciare da Erika Blank, stratosferica nella malsana parte della gestrice del bar della stazione di servizio dove arriva il Giovane. Ambigua, lasciva, audace, l’uomo che prova a sedurre non ha evidentemente tutte le rotelle a posto, come dimostrerà in seguito, per scegliere di lasciarla perdere. D’Anza riesce poi a fornirci le immagini di una Maria Rosaria Omaggio, nei panni della donna del ritratto, forse più bella di sempre. Il bianco e all’apparenza pudico vestito che l’avvolge ne sottolinea le sinuose ed eleganti forme e il risultato riesce pienamente a soddisfare il pretesto, invero assai difficile da concretizzare sullo schermo, che era alla base del racconto di Poe. Ma una Maria Rosaria Omaggio così ha la magia sufficiente per giustificare l’arte sublime del maestro americano, del resto valorizzata da tutto quanto il film. Eccellente.   

Erika Blank 

Maria Rosaria Omaggio 

giovedì 27 ottobre 2022

SIGNORI SI NASCE

1145_SIGNORI SI NASCE .Italia 1960;  Regia di Mario Mattoli.

Non solo la voce fuori campo dell’introduzione anticipa quello che sarà il tema di Signori si nasce di Mario Mattoli, ovvero il legame spesso conflittuale tra fratelli, ma fornisce già una spiazzante e sconsolante chiave di lettura. Vengono citati vari casi della Storia, da Caino e Abele a Romolo e Remo, e i personaggi in questione vengono mostrati via via coi volti di Peppino De Filippo e Totò. Curiosamente, nell’adattamento caricaturale delle raffigurazioni, la parte del fratello cattivo capita sempre a Peppino De Filippo, quella della vittima a Totò. Lo sconforto sorge spontaneo, o almeno dovrebbe, guardando il resto della pellicola. Come nelle altre nostrane commedie piuttosto insipide, almeno da un punto di vista strettamente morale, è infatti interessante notare come il cattivo sia sempre colui che lavora (in questo caso Pio degli Ulivi, ovvero Peppino) mentre chi si dà alla bella vita (Ottone degli Ulivi detto Zazà, Totò) si ritrova nella parte del buono. In questo caso la curiosità è raddoppiata, in quanto il personaggio di Pio degli Ulivi fa il sarto, quindi un lavoro pratico e concreto, che per una persona di sangue blu rappresenta una decisa evoluzione; il raddoppio è dovuto al fatto che nel film Pio viene deriso proprio per il suo lavorare manualmente dal fratello, che pure ha bisogno dei suoi soldi per potersela spassare. Naturalmente non ci sono intendimenti di critica sociale nella pellicola, che è un mero pretesto per mettere in scena la classica commedia degli equivoci tra Totò e Peppino; ma proprio perché scevra da ogni interesse, questa impostazione dei ruoli risulta essere più sincera e aderente a quanto, aimè, comunemente accettato, almeno nei nostri lidi.
Nel cast, oltre a Totò in gran forma e Peppino de Filippo che gli tiene testa, c’è da ricordare una frizzante Delia Scala che ruba il ruolo di primadonna nello spettacolo di varietà alla procace Liana Orfei. 





Delia Scala 






Angela Luce




Liana Orfei 



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mercoledì 26 ottobre 2022

SWIMMING POOL

1144_SWIMMING POOL .Francia, Regno Unito 2003;  Regia di François Ozon.

L’incipit londinese di Swimming Pool, film di François Ozon del 2003, è da un punto di vista visivo piuttosto sconfortante. Dal canto suo non è che la storia decolli subito, con Sarah (Charlotte Rampling), scrittrice di romanzetti gialli, che viene invitata dal suo editore, John Bosload (Charles Dance), a prendersi una vacanza in terra francese per ricaricare le pile e trovare nuova linfa ispiratrice. Ma non sono certo queste timide schermaglie a destare perplessità: più che altro è la fotografia anonima da videocamera che sembra ciò che c’è di meno stimolante al cinema. Poi Sarah arriva nella casa francese di John che l’editore le ha messo a disposizione e il film, come per magia, lentamente ma inesorabilmente, si accende, proprio insieme alla creatività letteraria della donna. Si comincia ad intravvedere l’uso più attivo della profondità di campo, i giochi compositivi dell’immagine, la fotografia che, a sottolineare la presenza del sole francese, diviene più calda. Sulla scena irrompe poi Julie (Ludivine Sagnier) che si presenta in forma smagliante, sia fisicamente che dal punto di vista dialettico. Memorabile il suo “cazzo, sta tizia ha proprio una scopa infilata nel culo” riferito all’impettita Sarah/Charlotte Rampling. Il confronto tra le due donne che si trovano a condividere la casa, Julie è la figlia di John, è uno dei temi del film e se la Sagnier sciorina una giovanile bellezza mozzafiato, la Rampling su questo terreno lascia fare, subisce per la maggior parte del tempo ma alla fine tira fuori la classe innata, oltre ad un fisico altrettanto sorprendente, considerato l’età. 

Ozon si sofferma molto sugli aspetti erotici della vicenda, forse un po’ gratuitamente e forse no; è interessante, ad esempio, notare come le scene più stuzzicanti siano quelle ammiccanti alla fisicità di Julie, più che le sue scorribande sessuali con il ben-capitato di turno (il termine malcapitato sarebbe quanto mai improprio). Nella casa, tra Sarah e Julie la situazione è dapprima tesa, poi via via si scioglie ma in seguito subentra un’improbabile traccia gialla, o giallo-erotica per essere fiscali. Ma non è tanto la storia, del tutto sconclusionata, a intrigare: è la capacità di Ozon di creare suggestioni, tra rimandi al cinema (addirittura a Hitchcock, per certe pennellate) e soluzioni narrative appena accennate che lasciano ampi spazi all’interpretazione. Che la mano in regia più significativa, in sostanza quella con l’ambientazione francese, voglia significare che non vediamo la realtà ma siamo tra le pagine di Sarah? In effetti il libro che la donna scrive durante il soggiorno in Francia si chiama Swimming Pool, proprio come il film di Ozon, di cui condivide anche la copertina. Meta-cinema o no? Difficile dirlo con certezza, perché il regista francese, con il suo stile autocompiaciuto, si diverte a giocare con lo spettatore, con il cinema, con il thriller così come con le sue protagoniste. In ogni caso vale la pena accettare questo approccio: Swimming Pool è un film davvero intrigante. E poi sullo schermo c'è Ludivine.  



Ludivine Sagnier










Charlotte Rampling 



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