Sebbene il regista del film sia David Hand, chiunque intende
Biancaneve e i sette nani come un
film di Walt Disney, che dell’opera
era invece il produttore. Il che sembra una cosa assai secondaria, minore,
legata ad un aspetto tecnico, da addetti ai lavori, e invece è uno passaggi
chiave per comprendere il perché un’opera apparentemente dedicata al pubblico
infantile, sia uno dei massimi capolavori della settima arte. Il punto
nevralgico è questo: nella realizzazione di un film mainstream (non amatoriale, insomma), spesso il produttore è la
figura più importante. Certo, poi sullo schermo vediamo gli attori e la storia
ce la racconta il regista; per cui, a seconda della propria sensibilità, ci
sarà chi valuterà un’opera per la presenza di questo o quell’attore, o chi
andrà a vedersi i film di un certo regista piuttosto che di un altro. Tutto
vero, ma queste figure sono dipendenti dal produttore, senza il quale, questi
signori non si metterebbero nemmeno al lavoro. E’ vero anche che, abitualmente,
si pensa che il produttore interferisca poco con l’aspetto artistico; e in
genere quando lo fa, lo fa in modo nocivo per la qualità dell’opera (almeno
questa è l’idea diffusa anche perché è sempre il regista di turno a riportarci
questi retroscena). Quindi, banalizzando un poco, si potrebbe dire che il
produttore è una figura che si muove in ambito professionale, mentre regista ed attori hanno compiti più artistici; ma estremizzando ancora, si
può azzardare che il primo abbia un
approccio più adulto (legato agli
affari) e i secondi più infantile
(raccontare storie, fingersi personaggi) e del resto in inglese gli attori sono
chiamati players, giocatori.
Ecco, forse Biancaneve
e i sette nani costituisce in questo senso un’eccezione: Walt Disney non
solo fu determinante in sede di produzione, investendo capitali propri (pare
che abbia addirittura dovuto ipotecare la casa) arrivando a costi fuori dai
normali budget dell’epoca; egli infatti ebbe un rilevanza assoluta anche in
termini artistici nella realizzazione
del lungometraggio, il suo fu un controllo quasi totale sul prodotto finito. Il film è un
indiscutibile capolavoro e vanta una serie di primati, è infatti il primo
lungometraggio animato prodotto in America, il primo a colori, ma quelli più
interessanti sono prettamente tecnici e strettamente legati all’uso del rodovetro e della multiplane camera.
La tecnica del rodovetro
consente di dare maggiore profondità alle immagini animate, ma è la multiplane camera a elevare il cartone
animato a vero e proprio film d’animazione, arrivando non solo a superare i
limiti abituali del disegno (le due dimensioni rispetto alle tre della realtà),
ma a quel punto, a superare i limiti della realtà stessa (ora fissati dalla
fantasia dell’autore).
Le scene realizzate
con la multiplane camera hanno una
profondità di campo realistica, e nel caso di un carrello (ovvero quando il nostro punto di vista si sposta
lateralmente alle immagini) gli oggetti si spostano nello schermo in modo diverso
(a velocità diverse) a seconda della
distanza dal nostro punto di vista, per cui gli oggetti in primo piano
passeranno davanti allo schermo in modo veloce, mentre lo sfondo molto più
lentamente (e il protagonista, seguito nel suo movimento dal carrello, apparirà costantemente in
centro allo schermo stesso, in pratica fermo).
Inoltre, con la multiplane
camera si può giocare anche sulla
messa a fuoco, sfocando cioè le parti
non al centro dell’attenzione della ripresa, e rendendo così ancora più
realistica l’animazione.
Può sembrare paradossale che, nel parlare di un film per
bambini, ci si soffermi su aspetti tecnici che magari possono anche annoiare.
Ma è un rischio che va corso, perché è qui che si gioca la vera partita di Biancaneve e i sette nani: se il
discorso precedentemente fatto sulla infantilità del lato artistico di un film,
può anche essere messo facilmente in discussione, difficilmente si potrà
obiettare per questo specifico caso. Biancaneve
e i sette nani è un film destinato ai più piccoli, con una storia semplice
ma ben calibrata, i personaggi simpatici e riuscitissimi, la cattiva
carismatica, le musiche e tutto il resto, insomma.
Ma tutto quanto funziona a meraviglia per le intuizioni del produttore Walt Disney e per il ricorso
all’uso di tecniche innovative: è in sostanza la dimostrazione tangibile di
quanto l’aspetto professionale (per
non usare il termine abusato commerciale)
possa influenzare quello artistico.
In questo caso, diciamo così, a fin di bene, visto che il film è un capolavoro, ma la cosa può
comunque suonare un po’ inquietante. Insomma, tutte queste riflessioni sono
semplici conferme e sono comunque già riassunte dal concetto già visto e che è
alla loro base: Biancaneve e i sette nani
è un capolavoro, ma è l’opera di un produttore e dei suoi tecnici, di un
professionista tra i professionisti, e non di un cosiddetto artista, come potrebbe esserlo il
regista.
Ma allora, se Biancaneve
è un capolavoro del cinema ma non è creato da un artista, può definirsi arte? E, per estensione, è il cinema
stesso arte? Naturalmente, perché il
concetto di ‘arte’ è molto lasco, e in genere comprende, ad esempio, anche
l’artigianato che è legato per natura alla professione, al mestiere,
dell’artigiano; ma nel cinema o nelle arti di massa, spesso la corrente artistica viene messa in contraddizione
con quella commerciale.
Una contrapposizione difficile da accettare, se, come
abbiamo visto, Biancaneve e i sette nani,
uno dei capisaldi del cinema alto,
è in realtà, completamente un prodotto dell'industria americana per eccellenza. Quella del cinema.
Grimilde
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